Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Pakistan, i suoi legami con il terrorismo di al Qaeda sono evidenti commenti di Matt Walden, Dimitri Buffa, Redazione del Foglio
Testata:Il Foglio - L'Opinione Autore: Matt Walden - Dimitri Buffa - Redazione del Foglio Titolo: «Chiara come il sole - Gli Usa considerano il Pakistan come uno Stato traditore - Ora consegnate il Mullah Omar»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/05/2011, a pag. II, l'articolo di Matt Walden dal titolo " Chiara come il sole ", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Ora consegnate il Mullah Omar ". Dall'OPINIONE, a pag. 1-3, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Gli Usa considerano il Pakistan come uno Stato traditore". Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Matt Walden : " Chiara come il sole "
L’autore ha condotto interviste a Kabul e Kandahar da febbraio a maggio del 2010 e ha incontrato nove comandanti talebani che hanno partecipato all’insurrezione in Afghanistan: tre operavano nel sud del paese (nella provincia di Kandahar), tre facevano base nel centro del paese (nella provincia di Wardak) e tre nel sudest (due a Khost, uno a Ghazni). L’ultimo era un alto funzionario dei talebani. Tutti sono stati contattati e intervistati separatamente. Anche se alcuni dei comandanti operano nella stessa provincia, nessuno ha confidato ai commilitoni di essere stato intervistato. Data la mancanza di ricerche che prendono in considerazione insorti attivi, i loro commenti sono stati riportati in modo estensivo. La struttura dell’articolo ha lo scopo di fornire materiale di ricerca, e di corroborare così i risultati ottenuti. Ha partecipato allo studio un assistente ricercatore afghano che ha condotto altre sei interviste ad altri insorti: tre a Kandahar con comandanti che operano in quella provincia e tre a Quetta, con un ufficiale di alto grado dei talebani, oltre a comandanti che operano nelle aree di Kandahar e Helmand. L’autore ha anche condotto diverse interviste con dieci ex ufficiali talebani (sei ministri, due ambasciatori, un servitore dello stato e un comandante militare); ventidue leader afghani, leader tribali, politici e analisti; tredici diplomatici stranieri, esperti e ufficiali della sicurezza. Il Consiglio supremo dei talebani afghani è noto come “Rabari” o “Markazi Shura” (leadership o consiglio centrale). Comunque, la maggioranza degli insorti intervistati per questa ricerca ha chiamato l’organismo “Quetta Shura”. Un individuo che è stato un vice ministro sotto l’ex regime talebano, e che ha rapporti con il movimento, ha detto che tra i tre e i sette ufficiali dell’Isi hanno partecipato al Quetta Shura come osservatori. L’intervistato crede inoltre che l’Isi sia responsabile per l’organizzazione degli incontri e che faccia pressione su diversi individui affinché partecipino, specialmente quando devono essere prese delle decisioni importanti. Come ha detto un comandante intervistato: “Abbiamo sentito che l’Isi era presente alla Quetta Shura ma non prendiamo ordini da loro. L’Isi ha il ruolo di osservatore e non prende iniziative”. Un analista del conflitto afghano, con anni di esperienza nel sud dell’Afghanistan e contatti con i talebani, si è mostrato d’accordo e ha evidenziato che l’Isi “usa persone che hanno lo stesso aspetto, linguaggio, comportamento e abitudini degli afgani, in modo che appaiano ai talebani come musulmani che combattono gli infedeli”. Infatti, sia lui sia gli altri intervistati hanno suggerito che gli osservatori dell’Isi potrebbero essere afghani e probabilmente anche leader talebani che lavorano con o per l’Isi. Quasi tutti i comandanti intervistati credono che l’Isi sia rappresentato al Quetta Shura. Un comandante della regione del sud di alto grado ha detto: “ Tutti i comandanti dei vari gruppi conoscono la realtà dei fatti. che è ovvia a tutti noi: l’Isi è la forza dietro ai talebani, ha costruito e sostiene i talebani”. L’intervistato ha anche spiegato perché il fatto sia così conosciuto: “Tutti i comandanti conoscono il ruolo dell’Isi nella leadership, ma non la discutono perché non si fidano l’uno dell’altro, e loro sono molto più forti di noi. Hanno tutti paura che le parole contro i talebani o l’Isi siano percepite come un’offesa ai comandanti di rango più elevato, che potrebbero essere rimossi o assassinati. Tutti vedono il sole nel cielo, ma non possono dire che è il sole”. Le pressioni dei servizi sui talebani. Apparentemente, l’Isi ha istituito dei rigidi parametri che regolano la condotta e la strategia dei talebani, direttive rafforzate dalla costante minaccia di arresto. Contatti indipendenti fra l’ex comandante militari talebano, Mullah Baradar, e il governo afghano, probabilmente con l’intento di aprire un negoziato, hanno apparentemente infranto i limiti con la conseguenza che l’ex comandante e altri sette di Matt Walden leader talebani sono stati arrestati dall’Isi all’inizio del febbraio 2010. Sembra che gli arresti avessero l’obiettivo di mandare un messaggio sia agli Stati Uniti sia ai talebani: i negoziati avranno luogo solamente se l’Isi avrà un ruolo da protagonista, se non il controllo totale sui negoziati. Hanno fatto eco i comandanti talebani, molti dei quali dubitavano il sostegno del Pakistan per i negoziati. Come ha fatto sapere il comandante di una provincia centrale: “Gli arresti dell’Isi sono stati compiuti secondo gli interessi dell’agenzia; non vogliono la pace in Afghanistan e non vogliono che parlino al governo afghano. Se ci fosse la pace, non sarebbe nell’interesse del Pakistan”. Secondo un analista del conflitto: “Non c’è una relazione paritaria tra l’Isi e i talebani – L’Isi è molto più potente. I talebani non hanno altra scelta tranne quella di vivere in Pakistan; dove altro possono andare?”. Un ex vice ministro talebano ha detto che pensava che i leader talebani che vivono in Pakistan “sono sotto pressione: hanno paura del governo pachistano e che le loro famiglie siano portate in prigione”. Questa dichiarazione è confermata da uno studio americano, della Nato e dell’intelligence afghana. Che, nel giugno del 2006, ha concluso: “Un vasto numero dei combattenti sta agendo sotto coercizione dell’Isi”. Quant’è profonda la relazione. Gli analisti sono divisi sull’estensione che le politiche dell’Isi hanno nei confronti degli insorti afghani. Alcuni pensano che sia determinata indipendentemente dagli ufficiali civili, specialmente dopo che il nuovo governo del Pakistan ha cercato di portare il controllo dell’Isi sotto il ministero dell’Interno nel giugno 2008. Seth Jones ha scritto che “ci sono stati dei rapporti che mostravano come ufficiali di alto rango dell’Isi e del governo pachistano fossero a conoscenza del ruolo dell’agenzia nel sostenere i talebani e lo stavano incoraggiando”. Un incidente alla fine di marzo o all’inizio di aprile suggerisce che la politica è stata approvata ai più alti livelli del governo civile pachistano. Secondo un militante che ha contatti regolari con alcuni membri della Quetta Shura, alla fine di marzo o all’inizio di aprile di quest’anno, il presidente Zardari e un ufficiale di alto grado dell’Isi hanno visitato cinquanta ufficiali talebani di alto grado tenuti in una prigione segreta in Pakistan. Trenta o 35 del totale erano stati arrestati nei mesi appena trascorsi, e dieci o quindici erano prigionieri da più tempo. Secondo i rapporti, “l’ufficiale dell’Isi ha detto che i talebani erano stati arrestati dopo molta pressione da parte degli Stati Uniti, e si è rivolto a loro in questo modo: ‘Voi siete i nostri uomini, noi siamo amici e dopo che sarete rilasciati vi aiuteremo nelle vostre operazioni’”. E’ un fatto inquietante, perché le parole di Zardari fanno da eco a ciò che il comandante generale dell’Isi, Mahmoud Ahmad, ha detto all’ambasciatore dei talebani in Pakistan, Abdul Salam Zaeef, nel 2001: “Vogliamo rassicurarvi che non siete da soli in questo jihad contro l’America. Saremo con voi”. Così ha detto secondo Steve Coll nel suo articolo (The New Yorker, 1 Marzo 2010). Il presidente Zardari ha detto ai prigionieri che li avrebbe rilasciati usando due categorie: prima quelli che non sono conosciuti dai media, e dopo quelli più conosciuti, che sarebbero stati rilasciati dopo, tramite degli scambi di prigionieri. Zardari si raccomandò fortemente di non far sapere ai media dell’incontro. Coerente con le promesse di Zardari, appena tre giorni dopo la visita, circa dodici talebani sono stati rilasciati (incluso l’individuo che è la fonte indiretta di questo resoconto). Questo rapporto è coerente con la storia politica del Pakistan, in cui i leader civili hanno attivamente sostenuto i gruppi della jihad che operano in Afghanistan e nel Kashmir. Come conclude Christine Fair: “L’esercito non opera da solo. I precedenti governi civili hanno tollerato e anche sostenuto alcune iniziative militari”. Quindi il rapporto dà credito alle accuse di due analisti americani, Thomas H. Johnson e M. Chris Mason, secondo i quali “il Pakistan sta seguendo i suoi interessi strategici che non coincidono con quelli degli Stati Uniti”. I due analisti sostengono anche che gli arresti costituiscono “non una cooperazione contro i talebani da uno stato alleato ma una collusione con i Talebani, da parte di uno stato nemico [Pachistan]” La strategia del controllo totale. Gli otto i talebani intervistati (sette comandanti di terra e un funzionario di alto rango) credono che l’Isi abbia una forte influenza sulla loro leadership. Quattro credono che i Servizi abbiano il controllo totale. Uno dei comandanti del sud ha detto che “soltanto chi ha problemi mentali può negare il ruolo dell’Isi nel sostenere e controllare i talebani. Tutti i nostri piani e le nostre strategie sono fatte in Pakistan. Il Pakistan non ha soltanto un rappresentante sul Quetta Shura, è in possesso di rappresentanti da tutte le parti. Riguardo l’arresto di Mullah Baradar è impensabile che non sapessero dove si trovasse prima dell’arresto. L’Isi ha più di due, tre o quattro rappresentanti nel Quetta Shura. Alcuni membri della Quetta Shura sanno che lavorano per l’Isi, ma non è un argomento discusso. La realtà è che l’Isi controlla la leadership. Il Mullah Omar gode di grande sostegno da parte del Pakistan. Eppure deve ascoltarli e fare ciò che gli dicono”. Una figura politica ha detto che “tutto è controllato dall’Isi. Senza il consenso dell’Isi i movimenti di insurrezione sarebbero impossibili. Il grosso problema è che il Pakistan ha creato i fondamentalisti ; il governo, i militari e l’Isi gli hanno sostenuti, tuttavia mentre i primi due hanno smesso di appoggiarli l’Isi continua a farlo. E’ certo che l’Isi partecipi alla Quetta di Shura”. Anche se molti afghani che sono stati intervistati hanno argomentato che l’Isi controlla la leadership talebana, questa è probabilmente un’esagerazione, date le potenti forze interne e le dinamiche del movimento. La leadership talebana è anche conosciuta per aver resistito alle pressioni pachistane – per esempio, il rifiuto del regime talebano di riconoscere la linea Durand o di consegnare Osama bin Laden agli Stati Uniti. Comunque, le inidcazini di un significativo coinvolgimento dell’Isi a un livello strategico sono inconfutabili e sono consistenti con i rapporti della loro influenza sul campo. Come nascono gli attacchi talebani. Gli insorti credono che l’Isi determini le loro operazioni in un modo potente, surrettizio e coercitivo. Credono anche che l’Isi sia rappresentato sul comandi dei loro Consigli. Certamente le qualità e le capacità degli insorti al livello delle operazioni e della tattica suggeriscono il coinvolgimento di personale militare addestrato. Come ha detto un ex ufficiale della sicurezza, “gli danno gli aereoplani, la strategia e le nuove tecniche. Se si segue la catena si ritorna all’Isi”. Bisogna ricordarsi che gli insorti cercheranno di dare la colpa di alcune delle loro più nefaste attività, come l’esecuzione dei decani o gli attacchi alle scuole, all’Isi la cui posizione può essere esagerata. E’ comunque difficile scontare la consistenza e la forza dell’opinione dei comandanti. L’analista del conflitto afghano descrive così la situazione: “Ho parlato con le truppe di terra e i comandanti di basso rango che hanno detto di non avere alcuna indipendenza se non ubbidiamo all’Isi siamo licenziati, rimpiazzati o trasferiti. Il controllo dell’Isi non si estende a tutti i livelli ma c’è una gerarchia che è disciplinata”. Senza dubbio quest’influenza è facilitata dalla frammentazione interna al movimento. Un comandante talebano del sudest: “L’Isi ha gruppi specifici sotto il suo controllo che hanno la funzione di bruciare scuole e atti simili. L’Isi ha anche persone che lavorano per l’agenzia che fanno parte del movimento talebano – è più chiaro del sole nel cielo”. Due comandanti del sud hanno fatto eco a queste dichiarazioni: “L’assassinio di leader tribali e dei leader religiosi ha rovinato le fondamenta del nostro paese. Dietro a tutto ciò c’è l’Isi: le scuole date alle fiamme, i bambini fuori dal sistema scolastico, le decapitazioni, tutti questi eventi sono legati ai talebani dell’Isi. L’emirato e l’islam non ordinato mai che persone innocenti siano uccise”. Un altro comandante ha aggiunto: “L’Isi dà gli ordini ai talebani di attaccare i costruttori delle strade, le scuole o i lavoratori delle Ong. Lo dicono ai nostri comandanti e loro ci ordinano di farlo. Dicono che è il piano dei talebani, ma sappiamo che è il nostro paese è come la nostra casa, nessuno della famiglia vuole distruggere la sua stessa casa. Se si vede questa distruzione è ovvio che è stato il vicino”. I santuari, le munizioni e le scorte. Molte delle interviste condotte suggeriscono che il governo pachistano sta dando fondi, munizioni e scorte agli insorti. Un comandante del sudest ha dichiarato di ricevere “molto addestramento, armi, munizioni e soldi dal governo pachistano. Tutti sanno che il Pachistan dona i soldi, passa dal governo centrale e poi giunge lla periferia”. Un altro comandante di una provincia centrale ha evidenziato che “certamente l’insurrezione è un enorme progetto e necessita grandi capitali, esplosivi improvvisati, munizioni, addestramento, tutto dato dal governo del Pachistan. Non abbbiamole infrastrutture per produrre tutto questo. Riceviamo 10.000 rupie pachistane ogni mese per ogni talebano. Questi soldi arrivano dal pachistan, prima al governatore provinciale, poi al comandante distrettuale poi al comandante del gruppo. Viene dal governo pachistano, ma forse anche altri paesi agiscono nell’ombra”. Un comandante del sud ha detto che i gruppi ricevevano dei bonus dopo per ogni attacco portato avanti con successo contro le forze della coalizione, solitamente di 2.000- 3.000 dollari che crediamo giungano da fonti dell’Isi”. Direttamente o indirettamente l’Isi sembra avere un ruolo primario nel sostenere il gruppo degli Haqqani. Un comandante di alto rango ha fatto sapere che ogni tre settimane ne passava due in Pakistan e una in Afghanistan. Tutti i mesi riceveva 60-80 scatole di munizioni per AK 47 e due o tre grandi scatole di granate e esplosivi improvvisati. Se aveva necessità altri munizioni o scorte, il comandante si recava al gruppo di comando (gli Haqqani e gli ex ufficiali dell’Isi) che gli davano una lettera di credito da presentare ai venditori di armi a Khost (nel sud est dell’Afghanistan) o a Miramshah. Per le spese operative, il comandante riceve un assegno mensile tra il mezzo milione e il milione di rupie pachistane. Il comandante intervistato crede che i soldi possono venire da due fonti principali. I paesi del Golfo, specialmente l’Arabia Saudita, ai cui fondi è possibile l’accesso tramite la Saudi Bank; e dall’Isi i cui fondi sono accessibili tramite la banca Islamica del Pakistan, in cui si dice che il network degli Haqqani abbia un rappresentante. Quindi, le dichiarazioni precedenti sono corroborate da un recente rapporto che dice che oltre 920 milioni di dollari sono confluiti da donatori in Arabia Saudita agli insorti afgani negli ultimi quattro anni, principalmente tramite il Waziristan. Quando gli è stato chiesto da chi provenissero i soldi ha risposto: “Gli americani. Da loro ai militari pachistani e poi a noi”. Gli risultava del tutto incomprensibile perché gli americani sostenessero le loro attività. Infatti molti afghani credono che gli americani stiano sostenendo gli insorti. Anche se non è credibile non è una sorpresa dato if ondi cospicui che gli Stati Uniti danno all’esercito pachistano. Il potere reale dell’Isi. Un controllo totale dell’Isi sugli insorti implica avere potere su tutte le maggiori dimensioni del movimento e la sua campagna, oltre all’abilità di farla cessare. Tuttavia, come paese che spesso dà rifugio ai ribelli e ne sostiene finanziariamente e logisticamente il movimento, si può concludere che l’Isi ha notevole influenza – una posizione rinforzata dalla coercizione. Esiste quindi un forte caso per sostenere che l’Isi e alcuni membri dell’apparato militare sono profondamente coinvolti nella campagna di insurrezione, e hanno molta influenza sul network degli Haqqani. E’ difficile capire come la coalizione internazionale possa continuare a sostenere il Pakistan. Dal 2001 gli Stati Uniti hanno dato al Pakistan un totale di 11,6 miliardi di dollari in aiuti per la sicurezza e 6 miliardi di dollari in aiuti economici, oltre ad aver promesso 7,5 miliardi per i prossimi cinque anni. Il governo pachistano sembra condurre un doppio giocvo di grandezza spropositata. Il conflitto ha portato alla morte di oltre mille americani e oltre settecento uomini di personale militare straniero, migliaia di soldati afghani, polizia, ufficiali e civili.
Matt Walden è stato alla guida dell’Oxfam International in Afghanistan, dove ha lavorato durante gli ultimi due anni. Dal 2004 al 2006 è stato consigliere per gli affari esteri del Partito liberale democratico sull’Afghanistan, l’Iraq e sui diritti umani.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Gli Usa considerano il Pakistan come uno Stato traditore "
Dimitri Buffa
Dopo gli stati canaglia quelli traditori. E il Pakistan, dopo l’epilogo della vicenda di Osama Bin Laden, è decisamente uno considerato tale dagli Usa. Che sono riusciti finalmente nell’impresa di uccidere lo sceicco del terrore, al netto delle modalità esatte che forse non sapremo che fra qualche decina d’anni, solo quando hanno evitato di avvertire l’Isi, cioè i servizi di sicurezza di Islamabad, di quanto bolliva in pentola. E sarà un caso che il deposto dittatore Parvez Musharraf, accusato più volte in passato di avere fatto il doppio gioco con la jihad e attualmente in predicato di venire giudicato per complicità con gli attentatori di Benazir Bhutto, parla di “ingerenza negli affari interni del Pakistan” e di “violazione della sua sovranità nazionale”? Di fatto la cittadina di Abbottabad, 150 chilometri a nord della capitale pakistana Islamabad, era il luogo scelto da Osama bin Laden per il suo ultimo rifugio. La residenza fortificata era a meno di un chilometro dall’accademia militare pakistana, dove si formano gli ufficiali di un esercito teoricamente impegnato anche nella lotta alla galassia qaedista. Inoltre la ridente cittadina è anche un posto di villeggiatura per gerarchi di regime, il che equivale a dire che è come se avessero preso Matteo Messina Denaro in una casa a Taormina. La cattura e l’uccisione di Bin Laden in territorio pakistano rivaluta anche le azioni sino a ieri assai basse del presidente dell’afghanistan Amid Kharzai. Che da tempo insisteva con gli americani indicando la luna pakistana con il dito che alcuni imbecilli a loro volta indicavano. Certo Karzai resta un uomo parzialmente affidabile, forse corrotto, sicuramente coinvolto nel traffico d’oppio. Però su bin Laden la sapeva lunga. Farzana Shaikh, un'esperta pakistana del think tank “Chatam House” a Londra, ha detto che la morte di Osama bin Laden conferma i “peggiori sospetti sulla complicità del Pakistan con il leader di al Qaida”. “Il fatto che non fosse in una gabbia – aggiunge - ma al centro di una accademia che rappresenta l'establishment militare pakistano, è profondamente imbarazzante per la leadership politica e militare del Pakistan”. E questo potrebbe spiegare anche un episodio apparentemente minore, o di contorno diciamo “culturale”, ma invece molto significativo della coda di paglia della classe dirigente pakistana: a fine ottobre quando venne al festival del cinema di Roma per presentare il film documentario sulla madre e sul complotto che ne portò all’uccisione, il figlio della Bhutto, BILHAWAL, si rifiutò categoricamente di rispondere alle domande dei giornalisti che potevano portarlo su un terreno molto scivoloso. Stessa cosa fecero i produttori del film che si rifutarono di replicare a chi scrive, anzi lo fecero in malo modo, a proposito del “lato B”, mancante nella pellicola: le complicità degli apparati statali pakistani con al Qaeda e il jihadismo internazionale. Di lì a poco i giornali stranieri, con un mese di anticipo come al solito su quelli nostrani, parlarono dell’incriminazione di Musharraf. E oggi il quadro dei sospetti è ancora più delineato. Forse manca la pistola fumante, ma poco importa. Per usare le parole di Edward Luttwak, vera e propria sibilla della geopolitica statunitense, “il fatto che Osama Bin Laden sia stato trovato in una grande casa, lussuosa per il luogo in cui sorge, in una città dove i pachistani vanno per ristorarsi e riposarsi, prova finalmente che è stato protetto dai pachistani”. E da oggi gli Usa potrebbero cominciare a stringere i cordoni degli aiuti economici con Islamabad.
Il FOGLIO - " Ora consegnate il Mullah Omar "
Mullah Omar
Bin Laden ad Abbottabad. Khalid Sheikh Mohammed a Rawalpindi. Abu Zubaydah a Faisalabad. Ramzi Binalshibh a Karachi. Tutti i grandi leader di al Qaida sono stati catturati o uccisi in Pakistan e in territorio metropolitano, lontani dalle brulle aree tribali dove i loro seguaci combattono e tentano di scampare alla campagna aerea della Cia. Tutti ospiti di ville e appartamenti sicuri. Serve altro per sospettare che fossero protetti dai servizi segreti di Islamabad? Ieri il presidente Ali Asif Zardari ha scritto sul Washington Post un editoriale di difesa del proprio paese, ricordando tutte le sofferenze patite per mano dei terroristi, ma l’excusatio non petita sembra un po’ poco adesso, con il senno di poi. Un mese fa il capo dell’esercito pachistano ha vantato i grandi risultati ottenuti dal Pakistan nella lotta al terrorismo nelle stessa accademia militare dirimpettaia di Osama bin Laden. Ci sarebbe da ridere, se non fosse in corso una guerra vera, poco più a nord, in Afghanistan, che soltanto ad aprile ha chiesto la vita di 52 soldati della Nato. Ecco: considerato che da anni s’inseguono voci sul fatto che il Mullah Omar, comandante supremo dei talebani, è ospite dell’esercito pachistano in qualche rifugio sicuro a Quetta (nel nord) o a Karachi (nel sud), e che si tratta di voci ben più consistenti di quelle sulla presenza di Osama in Pakistan, e che a questo punto la verosimiglianza sta diventando una quasi certezza imbarazzante, e che il numero due di Omar è stato pizzicato anche lui in Pakistan l’anno scorso, non sarebbe meglio che lo consegnassero, e la guerra finisse così, prima che i Navy Seal se lo vadano a prendere di persona?
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