Riportiamo dal CORRIERE della SERA, di oggi, 03/05/2011, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Solo Egitto e Hamas non si uniscono alla festa degli arabi ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Lo storico Uzi Rabi: 'La rappresaglia arriverà di sicuro. Difficile che si ripeta l’ 11 settembre' ", a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Hamas rende onore a 'un eroe islamico' ". Ecco i due articoli:
La STAMPA - Francesca Paci : "Hamas rende onore a 'un eroe islamico' "

Ismail Haniyeh : " Condanniamo ogni omicidio di un combattente della guerra santa musulmana "
Sollievo, frustrazione, paura. La morte di Osama bin Laden accende nel mondo arabo-musulmano sentimenti contrastanti. Se i governi di alcuni Paesi, dallo Yemen all’Iraq all’Arabia Saudita, si rallegrano della svolta nella lotta al terrorismo auspicandone l’epilogo, le piazze del Cairo, Beirut, Amman, dove la cronaca si mescola volentieri alla leggenda, moltiplicano dubbi, scetticismo, inquietudini. L’11 settembre 2001 ha stravolto il rapporto tra la umma, la grande famiglia del Profeta, e l’Occidente, e pochi credono che sia sufficiente eliminarne il simbolo detestato o ammirato per riportare indietro l’orologio della Storia.
«È stata la primavera araba a dare scacco matto ad Al Qaeda, il fanatismo è stato sconfitto a piazza Tahrir, ma adesso gli Stati Uniti non avranno più scuse per considerarci terroristi» commenta Samir Ibrahim, uno dei mille giovani volti della rivoluzione egiziana. L’argomento è all’ordine del giorno, dibattuto dal suq Khan el Khalili ai piani alti del governo provvisorio. Il ministro degli Esteri Nabil el Arabi condanna genericamente «tutte le forme di violenza, compresa quella internazionale in tutti i Paesi del mondo», i Fratelli Musulmani invocano la fine dell’occupazione Usa in Afghanistan e dall’università Al Azhar, il Vaticano dell’Islam sunnita, i teologi definiscono «oltraggiosa» la decisione di gettare in mare il corpo di un musulmano, fosse anche il capo di Al Qaeda. In strada la gente s’interroga su cosa accadrà.
Sebbene descritto spesso come un monolite, il mondo arabo-musulmano non è affatto compatto. Il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa ha un bel ribadire l’atteggiamento «collegiale» dei suoi membri «mai partigiani di Al Qaeda», le voci sono tante e diverse. Mentre l’Arabia Saudita, patria dello sceicco del terrore, confida in un’accelerazione della lotta al terrorismo che magari confermi i regnanti di Riad sempre più contestati dalla propria gente e i ribelli libici chiedono che Gheddafi riceva lo stesso trattamento di Osama, i Territori palestinesi mancano ancora l’occasione per parlare coralmente, gettando un’ombra sull’imminente firma della riconciliazione. Se nel quartier generale dell’Anp a Ramallah la scomparsa di Osama è «una buona notizia, la fine di un periodo tenebroso», a Gaza Hamas denuncia «la politica oppressiva degli Stati Uniti» e, pur differenziandosi da Al Qaeda, denuncia: «Condanniamo ogni omicidio di un combattente della guerra santa musulmana». Israele esulta doppiamente: per la morte di Osama che «rende il mondo migliore» e per la «grande vittoria dei Paesi che credono nella democrazia».
Chi doveva aver più paura di Osama, l’Occidente minacciato o il Medioriente travolto suo malgrado dalla jihad globale? L’entusiasmo del presidente afghano Karzai è meno plateale nelle capitali arabe dove l’interventismo americano non è mai ben visto e qualcuno inizia a temere un colpo di coda di Al Qaeda che favorisca gli attuali tentennanti regimi. Il 2 maggio 2001 è una data storica. Se ne rende conto anche Teheran che biasimando «ogni forma di terrorismo» approfitta per chiedere la fine della presenza occidentale in Medioriente. Ma è la Turchia, altro Paese non arabo, a tirare le file della giornata che teoricamente chiude l’era iniziata l’11 settembre 2001. «Al Qaeda e Bin Laden sono responsabili del nesso tra Islam e terrorismo, un accostamento che è forse il peggior effetto dei loro atti terroristici nel mondo» commenta il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu. Il futuro inizia domani.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Solo Egitto e Hamas non si uniscono alla festa degli arabi "

Osama bin Laden
Chi esulta meno, è chi li ha avuti in casa. I talebani che promettono vendetta. Il Sudan di al-Bashir, che per cinque anni ospitò Bin Laden in due palazzine che ormai nessuno voleva più abitare. O l’Egitto del dopo-Mubarak, che è anche l’Egitto del dopo Bin Laden. Che passaporto avevano molti terroristi dell’ 11 Settembre? Egiziano. Dov’è nato il dottor Ayman al-Zawahiri, futuro capo di Al Qaeda? Al Cairo. Ecco allora il nuovo ministro degli Esteri cairota, Nabil al Arabi, rifilare un «no comment» sull’esecuzione che tutto il mondo sta commentando. Ci opponiamo «a ogni forma di violenza» , dice al Arabi, più o meno la stessa opinione del più grande partito fondamentalista del Paese, i Fratelli musulmani, che si spingono a «condannare l’assassinio» : «L’Islam non è Bin Laden — spiega Mahmud Ezzat — il terrorismo è stato confuso con l’Islam. Ma noi siamo contro la violenza, gli assassinii e a favore di processi equi» . Osama è morto, osanna a Osama. Oltre a quelle egiziane, le condoglianze più indignate arrivano da Ismail Haniyeh, capo di Hamas a Gaza. Che, pressato dalle minoranze salafite, quelle che hanno ammazzato Vittorio Arrigoni, si unisce alla condanna «dell’omicidio di qualunque combattente islamico e di qualsiasi individuo, musulmano o arabo, nella richiesta ad Allah di accordargli la sua misericordia» . Per il signore della Striscia, l’uccisione è l’ennesima «politica d’oppressione musulmana fondata sul versare il sangue degli arabi e dei musulmani» . La dichiarazione mette in imbarazzo l’Autorità palestinese di Abu Mazen, che proprio domani al Cairo firmerà una nuova alleanza coi fondamentalisti di Gaza e che ora, invece, per bocca di Salam Fayyad, celebra questa morte come «L’inizio della fine di un’epoca buia» : di sicuro, per le due fazioni, è l’inizio di una problematica convivenza. Gli altri, no. Dai turchi ai giordani, dallo Yemen all’Algeria, dal Niger alla Mauritania, dal Mali all’Iraq, è tutta un’esultanza. I dubbi sul cadavere trattato a quel modo, certo: «Ha pur sempre una sua dignità» , dicono gli imam sunniti del Cairo. Agl’insorti di Bengasi, importa poco: vorrebbero che Obama facesse «lo stesso con Gheddafi» . Perfino l’Iran sciita, che considera i salafiti una minaccia, a suo modo è soddisfatto: «Adesso non ci sono più scuse per mantenere la presenza americana nella regione» . «Giustizia è fatta» , è l’eco del premier israeliano Bibi Netanyahu, per una volta in sintonia con Obama. Da Tel Aviv, i servizi avevano offerto collaborazione nel blitz d’Abbottabad. «Ma adesso — chiede il ministro degli Esteri, Lieberman— i pachistani spieghino che cosa sapevano» .
La STAMPA - Aldo Baquis : " Lo storico Uzi Rabi: 'La rappresaglia arriverà di sicuro. Difficile che si ripeta l’ 11 settembre' "

Uzi Rabi
Il parere di Uzi Rabi, Direttore della Cattedra di storia mediorientale nel Centro Dayan dell’Università di Tel Aviv è che l’uccisione di Osama Bin Laden «avrà un impatto massiccio sul piano morale e simbolico per i sostenitori di Al Qaeda, ma non altrettanto su quello pratico»: il leader dell’organizzazione infatti manteneva un legame aleatorio con le organizzazioni di Jihad attive nel Maghreb, nello Yemen, in Africa, o anche a Gaza. Anzi, adesso «è prevedibile una reazione, o una vendetta e la questione principale riguarda la sua ampiezza, il suo calibro. Non penso in termini di un nuovo attacco alle Torri Gemelle, ma forse ad attacchi più immediati e più facilmente realizzabili contro ambasciate o contro turisti. L’allerta decretata dagli Stati Uniti è ben fondata».
Al Qaeda resta comunque sul terreno fin tanto che prosegue il confronto fra il mondo arabo e l’Occidente. Ma deve compiere sforzi per non trovarsi marginalizzata: «Ha già conosciuto una fase di declino: adesso in particolare deve misurarsi con una serie di insurrezioni in diversi Paesi arabi dove i leader vengono affrontati e abbattuti non mediante il terrorismo, ma con la mobilitazione di massa».
Anche per questa ragione c’è da temere nuovi attacchi di Al Qaeda, perché «oggi più che mai è costretta a dimostrare che i suoi ideali e i suoi metodi restano validi, anche nel dopo Bin Laden».
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