Il nuovo regime egiziano preoccupa il mondo democratico, non il quotidiano comunista di Rocca Cannuccia, che con Michele Giorgio ( che definisce Hamas un movimento islamico) registra con evidente soddisfazione il "gelo di Israele". Dalla STAMPA di oggi, 30/04/2011, a pag.16, la cronaca di Aldo Baquis, dal FOGLIO, il commento di Giulio Meotti:
La Stampa-Aldo Baquis:" L'Egitto riaprirà il valico di Rafah"

Il valico di Rafah
Il nuovo Egitto cancella la politica di Hosni Mubarak nei confronti di Hamas. «Le condizioni umanitarie a Gaza sono miserevoli. La decisione di sigillare il valico di Rafah, fra il Sinai e la Striscia, era non solo non-etica, ma anche disumana». Con queste chiare parole, in una intervista televisiva, il ministro egiziano degli Esteri Nabil el Arabi ha elettrizzato la popolazione di Gaza che vi ha intravisto la fine, almeno graduale, del blocco imposto da Israele dal 2007 in seguito al putsch di Hamas contro Abu Mazen.
Entro dieci giorni, ha aggiunto El Arabi, il valico di Rafah sarà riaperto per il transito di persone, mentre le merci torneranno ad attraversarlo in un secondo tempo. Ma al punto di frontiera ci saranno solo agenti egiziani e palestinesi: non più dunque gli osservatori internazionali la cui presenza, in passato, aveva garantito a Israele una certa dose di sicurezza. Questi sviluppi sono seguiti con un senso di apprensione a Gerusalemme, anche perché seguono a ruota il successo dell'Egitto nel concludere a sorpresa un accordo di riconciliazione fra Hamas e Al Fatah.
In una intervista alla tv, un alto funzionario del ministero della Difesa israeliano, Amos Ghilad, ha ribadito che Abu Mazen compirà un grave errore quando mercoledì sottoscriverà l'accordo di riconciliazione con Hamas. Al tempo stesso ha consigliato ai connazionali di non perdere il senso della proporzione: «La nuova leadership egiziana sta puntando alla democrazia, ed è ancora legata agli Stati Uniti», ha assicurato Ghilad. Ma che la coabitazione di Hamas e Al Fatah in un nuovo esecutivo non sarà semplice: i disaccordi su politica e sicurezza non tarderanno a emergere.
Il Foglio-Giulio Meotti:" Like an Egyptian "

Roma. “Primavera egiziana, inverno israeliano”, recita il titolo del saggio che uno dei maggiori storici e analisti israeliani, Benny Morris, ha scritto per la rivista National Interest. “Per gli israeliani, questa primavera araba, come la chiamano alcuni – che può trasformarsi in un autunno arabo – ha un chiaro, oscuro sottinteso che in occidente si preferisce ignorare”. Non lo ha ignorato il New York Times, che ieri in apertura ha raccontato il nuovo corso egiziano simpatetico con Iran e Hamas. Un segnale importante è la riapertura da parte dell’Egitto del valico di Rafah. Durante il regime di Hosni Mubarak il blocco era decisivo per impedire il passaggio di armi ad Hamas. L’ex regime aveva iniziato anche la costruzione, appena interrotta, di un muro d’acciaio e cemento contro gli islamisti di Gaza. Israele si è detto “allarmato” per la decisione dell’Egitto di riaprire in modo permanente l’unico valico non controllato dall’esercito di Gerusalemme. La decisione potrebbe avere conseguenze strategiche importanti per la sicurezza israeliana. Senza il blocco è infatti impossibile per l’Egitto impedire l’importazione di armi a Gaza. Secondo il New York Times, anche l’accordo firmato da Fatah e Hamas dice molto del nuovo corso egiziano. “E’ un grande cambiamento politico”, titola uno dei maggiori quotidiani del Cairo, al Masri al Youm. E’ stato infatti il ministro degli Esteri del Cairo, Nabil Elaraby, a mediare fra le parti, sebbene già Mubarak avesse cercato di favorire un riavvicinamento, sperando di rafforzare la leadership indebolita di Abu Mazen. L’accordo tessuto dal Cairo non prevede né il riconoscimento d’Israele né la rinuncia alla lotta armata. Poi c’è la questione dell’Iran: l’Egitto era rimasto l’unico paese arabo senza relazioni con Teheran. Pochi giorni fa l’Iran ha nominato il primo ambasciatore al Cairo dal 1979. Nella regione le minacce aumentano: per l’attentato a Marrakesh si fa avanti l’ipotesi degli islamisti salafiti di “Giustizia e Carità”, fuorilegge in Marocco. Fonti d’intelligence parlerebbero anche del coinvolgimento di un cittadino italo-marocchino, Kassem Britel. La più prestigiosa agenzia per i sondaggi in medio oriente, il Pew Forum, ha diffuso un sondaggio secondo il quale il 54 per cento degli egiziani ritiene che l’accordo di pace con lo stato ebraico “va interrotto”. Nabil Fahmy, preside della Scuola di pubblica amministrazione dell’American University del Cairo, al Washington Post ieri ha dichiarato che “se avessimo avuto un sistema democratico al tempo di Anwar Sadat il presidente non avrebbe potuto siglare gli accordi di Camp David”. Sta entrando in crisi il patto che aveva sancito la fine del conflitto panarabo contro Israele. Mercoledì centinaia di egiziani, provenienti dall’università e da varie forze politiche, hanno dimostrato di fronte all’ambasciata israeliana del Cairo, chiedendo un’immediata e unilaterale interruzione di ogni rapporto diplomatico ed economico con Israele. “Il gas deve cessare” è stato lo slogan più gridato, alludendo alle esportazioni egiziane di gas naturale verso lo stato ebraico. Il gas egiziano costituisce il quaranta per cento dell’intero fabbisogno d’Israele. Il gasdotto ha subito già due attentati nel Sinai e il premier egiziano, Essam Sharaf, ha appena annunciato che l’intesa “è oggetto di revisione”. Il ministro israeliano per le Infrastrutture, Uzi Landau, ha fatto sapere che il suo paese “dovrà prepararsi ad altre interruzioni del rifornimento di gas dall’Egitto”. Quella con Israele ma anche quella con la Giordania. Le sole esportazioni a Israele costituiscono un terzo delle intere vendite all’estero del gas egiziano. Secondo la rivista finanziaria israeliana Globes, ammonta a un milione e mezzo di dollari al giorno il prezzo pagato da Israele per l’interruzione della fornitura di gas. Gerusalemme deve infatti sopperire bruciando petrolio e attingendo da compagnie private. L’accordo sul gas fra il Cairo e Gerusalemme era stato il primo di questo genere dalla firma della pace trent’anni fa a Camp David. Mubarak l’aveva soprannominato “gasdotto della pace”, perché per la prima volta un accordo commerciale univa arabi ed ebrei. Il nuovo ministro delle finanze del Cairo, Samir Radwan, ha appena fatto sapere che “noi non abbiamo bisogno degli investimenti del nemico”. “Nemico? – ha replicato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, da Gerusalemme – Mi risulta che avessimo un trattato di pace”.
Il Manifesto-Michele Giorgio:" Apriremo il valico di Rafah alle merci, il Cairo gela Israele "



Immagini del prossimo stato palestinese ?
Dopo l’annuncio della riconciliazione tra Fatah e Hamas, Benyamin Netanyahu è stato costretto a inghiottire un altro boccone amaro. Il premier israeliano ha appreso giovedì sera che l’Egitto riaprirà al più presto, «entro sette-dieci giorni», il valico di frontiera con la Striscia di Gaza, a Rafah, per alleggerire il blocco imposto ai palestinesi da Tel Aviv. Ad annunciarlo è stato ilministro degli esteri egiziano, Nabil al-Arabi, durante una intervista alla televisione satellitare Al Jazeera. Parole che, se verranno seguite da azioni concrete, porteranno alla fine del blocco egiziano della Striscia di Gaza e, di fatto, anche di quello israeliano. El Arabi ha parlato infatti di passaggio senza restrizioni, libero, non solo per le persone ma anche per le merci. L’apertura senza alcun limite del valico di Rafah inoltre farebbe automaticamente decadere l’accordo del 2005 tra Usa, Israele, Egitto e Ue - successivo al ritiro unilaterale di soldati e coloni israeliani da Gaza - che assegna a un gruppo di supervisori europei il monitoraggio del transito delle persone e dei loro bagagli da e per Gaza, in costante contatto con i servizi di sicurezza israeliani. «Siamo molto preoccupati» per la decisione dell’Egitto di riaprire in modo permanente il suo valico con la Striscia di Gaza - ha dichiarato all’agenzia France presse un alto responsabile israeliano -. Ci preoccupa la situazione nel nord del Sinai, dove Hamas è riuscito a costruire una mostruosa macchina militare, malgrado gli sforzi dell’Egitto per impedirglielo». Siamo di fronte alle fine delle relazioni speciali, nel settore della sicurezza, tra Egitto e Israele? Forse. In ogni caso sono terminati i giorni della partecipazione attiva del Cairo all’assedio della Striscia di Gaza, allo scopo di contribuire all’isolamento del movimento islamico Hamas che dal 2007 controlla questo lembo di territorio palestinese (dove vivono, di fatto prigioniere, oltre un milione e mezzo di persone). El Arabi ha lasciato intendere che l’Egitto non terrà più in alcun conto la richiesta israeliana di un rigido filtro delle merci. Tel Aviv e il Cairo sino ad oggi hanno collaborato per impedire l’ingresso a Gaza di prodotti ritenuti dai servizi di sicurezza israeliani «pericolosi », perché utilizzabili dai gruppi armati palestinesi per fabbricare i razzi. Con questa motivazione, ad esempio, dal 2009 fino a oggi sono state fatte entrare poche tonnellate di cemento, che pure è fondamentale per la ricostruzione della Striscia diGaza devastata dall’offensiva militare «Piombo fuso » (dicembre 2008-gennaio 2009) in cui sono rimasti uccisi circa 1.400 palestinesi e sono state distrutte o danneggiate gravemente oltre 10mila abitazioni. Qualche giorno fa l’influente ex ambasciatore egiziano a Washington, Nabil Fahmi, intervistato dal quotidiano kuwaitiano al Rai al Aam, aveva assicurato che, nonostante l’uscita di scena del presidente HosniMubarak, «le relazioni strategiche dell’Egitto con gli Usa e Israele non cambieranno» e che i Fratelli Musulmani rispetteranno gli accordi di Camp David. Ma aveva anche spiegato che l’attuale governo egiziano, rispetto a quello passato, «guarda alle questioni regionali sotto una diversa angolatura, perché le cose non possono rimanere inalterate per sempre». «La rivoluzione egiziana non può servire gli interessi della destra israeliana » aveva aggiunto Fahmi, lasciando capire che non saranno più privilegiate le esigenze israeliane a danno di quelle palestinesi (come faceva Mubarak). Ma la questione dei rapporti futuri tra Tel Aviv e il Cairo è ampia, va dalla ridefinizione del prezzo del gas che gli egiziani vendono a prezzi stracciati a Israele fino al possibile allacciamento di relazioni diplomatiche tra l’Egitto e l’Iran. «Tutti i paesi hanno relazioni con Tehran, ad accezione di StatiUniti e Israele, perciò non c’è nulla di strano nell’avvicinamento tra Egitto e Iran» aveva detto la portavoce del ministero degli esteri egiziano Minhah Bakhum commentando le parole di Netanyahu che aveva parlato di «tendenza ostile» nei confronti di Israele registrata negli ultimi tempi in Egitto.
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