Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Siria: anche l'Iran ha un ruolo nella repressione della rivolta Analisi di Pio Pompa, Giulio Meotti, Redazione del Foglio, Dimitri Buffa
Testata:Il Foglio - L'Opinione Autore: Pio Pompa - Redazione del Foglio - Giulio Meotti - Dimitri Buffa Titolo: «Università inglese, culla di nobiltà reale, nei guai per i soldi da Damasco - In Siria primi ammutinamenti dentro esercito e partito Baath - Ong filo occidentali e radicali contro il posto della Siria nel consiglio dei diritti umani Onu»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/04/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " In Siria primi ammutinamenti dentro esercito e partito Baath ", l'articolo di Pio Pompa dal titolo " I “mercenari del jihad” e Hezbollah. Strategia per tenere su Assad ", a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Università inglese, culla di nobiltà reale, nei guai per i soldi da Damasco ". Dall'OPINIONE, a pag. 13, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Ong filo occidentali e radicali contro il posto della Siria nel consiglio dei diritti umani Onu ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Pio Pompa : " I “mercenari del jihad” e Hezbollah. Strategia per tenere su Assad "
Pio Pompa
Roma. La Repubblica islamica di Iran osserva con attenzione quel che accade in Siria. In incontri riservati a Teheran, è stata stabilita una strategia. Ci sarà un coinvolgimento indiretto di Hezbollah, in funzione destabilizzante, e un coinvolgimento diretto dei cosiddetti “mercenari del jihad”, reclutati grazie anche all’aiuto di Hamas, nei Territori palestinesi, fresco di un accordo storico, quanto precario, con il partito del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. L’iniziativa internazionale, nei confronti della Siria, è fiacca e lenta. Le Nazioni Unite non si sono accordate sulle sanzioni, la condanna formale non è molto puntuta. Hezbollah invece, in Libano, galvanizzato dalla sua forza nel governo, potrebbe riaprire un’articolata offensiva terroristica contro Israele – come sostengono alcune fonti interne del Mossad – con l’obiettivo finale di scatenare una guerra, come quella del 2006. Le conseguenze sarebbero di incalcolabile portata, specie in presenza di un embrassons-nous mondiale tra movimenti integralisti e network occidentali antisionisti, relegando in second’ordine qualsiasi altro teatro di crisi e le stesse prerogative “rivoluzionarie” della cosiddetta primavera araba. I “mercenari del jihad” servono proprio a questo: starebbero arrivando soprattutto dall’Iraq (forse sarebbe meglio dire ritornando, ché proprio dalla Siria passarono quando il flusso era verso Baghdad), chiamati a difendere alcuni regimi e non altri. Indubbi i vantaggi, per Damasco, di una simile prospettiva: l’attenzione internazionale si sposterebbe altrove consentendo l’annientamento delle ribellioni interne e il rafforzamento dello status quo anche attraverso il rilancio delle mai sopite pulsioni nazionalistiche per le alture del Golan e il ritorno ai confini del ’67, il mantenimento dei rapporti privilegiati con l’Iran e, ciò, a maggior ragione se in versione di potenza nucleare. Ed è proprio il nucleare il vero ubi consistam della missione affidata dal regime degli ayatollah, forte anche dei mutati rapporti con l’Egitto del dopo Mubarak, a Hezbollah. Senza dimenticare che sul Partito di Dio sciita e sul regime siriano incombe la sentenza del Tribunale Hariri. Bashar el Assad, il rais da salvare dalla rivolta siriana, è lo stesso che, come testimoniato dalla giornalista libano- irlandese Lara Marlow, puntò una pistola alla testa dell’ex premier libanese Rafiq Hariri, minacciandolo di morte, nel corso di un incontro avvenuto a Damasco una settimana prima del suo assassinio, nel febbraio del 2005.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Università inglese, culla di nobiltà reale, nei guai per i soldi da Damasco "
Giulio Meotti
Roma. Nell’ex borgo medievale scozzese di St. Andrews sorge la terza università per età e prestigio nel mondo anglosassone. Fondata agli inizi del XV secolo in nome del patrono nazionale, considerata la principale rivale di Oxford e Cambridge, storica culla di cultura e nobiltà, l’università vecchia di 596 anni è stata anche il luogo di incontro dei convolanti a nozze Kate e William. Da ieri però è nei guai, perché ha accettato un lauto assegno di centomila sterline per finanziare un centro di “studi siriani” con l’assistenza del regime di Damasco. Decisivo per l’accordo è stato l’ambasciatore siriano a Londra, Sami Khiyami. Ieri la Casa reale britannica ha dovuto annullare in tutta fretta l’invito per il matrimonio di Kate e William che era stato inviato al misso di Damasco. A marzo c’era stato lo scandalo che ha coinvolto la London School of Economics, una delle più note e prestigiose università del mondo che aveva conferito un dottorato a Saif al Islam Gheddafi, figlio del dittatore libico, generando malumori e polemiche. Poco dopo aver ricevuto il dottorato, lo stesso Saif al Islam aveva sganciato una donazione all’università pari a un milione e mezzo di sterline, attraverso la nota Fondazione Gheddafi intitolata al padre. Non si tratta di casi isolati. Un devastante rapporto di Robin Simcox per il Centre for Social Cohesion ha fatto le pulci alle università britanniche che hanno accettato soldi dai regimi islamici in cambio di corsi di studio sul medio o r i e n t e . A d Oxford c’è un centro studi pagato dal regime di Teheran, mentre a Cambridge i fondi arrivano dall’Arabia Saudita, dall’Oman e da Teheran. Gli studi di arabistica alla London School of Economics sono foraggiati dagli Emirati Arabi. Finanziamenti sono arrivati anche dalla famiglia di Osama bin Laden. Il rapporto fra il regime di Damasco e la facoltà scozzese di St. Andrews è stato sottoposto a puntigliosi controlli dopo la repressione della dissidenza siriana che ha lasciato a terra 500 morti. A mediare fra St. Andrews e il clan Assad sarebbe s t a t o Fawaz Akhras, il suocero del dittatore siriano, che è anche un carismatico e noto cardiologo inglese. Akhras è stato catapultato sulla scena internazionale dieci anni fa, quando la figlia Asma ha sposato il leader siriano, che allora stava per succedere al padre malato Hafez al Assad. Da allora, il medico è stato il portavoce non ufficiale degli Assad in Inghilterra, dove organizza interviste per il presidente e filtra le richieste di colloqui con la figlia. Entrambi, Akhras e l’ambasciatore Khiyami, sono dentro al board del Centre for Syrian Studies dell’università scozzese oggi sotto accusa. Akhras è anche il fondatore della British Syrian Society ed è stato decisivo nel convincere l’imprenditore siriano Ayman Asfari a finanziare a St. Andrews il centro studi. Asfari è il potente capo della Petrofac, la compagnia energetica partecipata dal governo siriano. Il centro di St. Andrews aveva arruolato anche celebri intellettuali fra cui Patrick Seale, uno dei maggiori orientalisti inglesi. Fra le iniziative più controverse avvenute sotto l’ombrello della facoltà scozzese ci sarebbe stata una conferenza a Damasco con la partecipazione di ex consulenti di Hafez al Assad e alti ufficiali del regime. Cattedre, borse di studio e corsi di laurea sono ormai da anni armi predilette dai regimi islamisti per influenzare le accademie europee. Il parlamentare conservatore Robert Halfon chiede adesso una commissione d’inchiesta sui fondi alle università da parte dei regimi canaglia: “La compromissione dei soldi inevitabilmente influenza il nostro sguardo sul medio oriente”.
Il FOGLIO - " In Siria primi ammutinamenti dentro esercito e partito Baath"
Baath
Roma. Oggi il movimento di protesta in Siria ha indetto la quinta “giornata della collera”, promuovendo cortei dalle moschee in cui si tiene la preghiera del venerdì. Appuntamento cruciale, in un momento di svolta della rivolta, perché la straordinaria capacità di resistenza della protesta popolare di Deraa ha provocato per la prima volta l’ammutinamento di una intera divisione che ha rivelato crepe che si aprono a vari livelli del regime. Deraa, che diede inizio alla rivolta sei settimane fa, è sottoposta a un assedio feroce, una decina di carri armati ne presidiano il centro mentre alcuni quartieri sono stati bombardati dall’aviazione, manca l’acqua, la luce e anche le derrate alimentari, ma le truppe della Quarta divisione comandata da Maher el Assad riescono a controllare soltanto i quartieri centrali. Da 48 ore infatti devono fare fronte all’ammutinamento della Quinta divisione, composta da soldati sunniti, che ha rifiutato di sparare sui manifestanti, si è ribellata ed è passata al fianco degli insorti ingaggiando duri combattimenti con i militari lealisti. Le notizie da Deraa sono frammentarie e sempre più drammatiche: ieri – secondo quanto hanno riferito fonti ospedaliere ad al Arabiya – i morti nelle strade sarebbero stati 42, “ma non si possono nemmeno seppellire perché le forze speciali arrestano tutti i partecipanti ai cortei funebri che si recano al ‘cimitero dei martiri’”. Probabilmente collegata a questo ammutinamento, è la notizia riferita in termini nebulosi dalla agenzia ufficiale Sana della morte di tre militari e del ferimento di altri quindici durante “uno scontro a fuoco” a ridosso delle alture del Golan, che confinano con la regione di cui Deraa è capitale. L’entità delle perdite ammesse da Damasco, in una regione capillarmente presidiata dall’esercito siriano, è tale da escludere l’attentato terrorista evocato dalla Sana ed è forse conseguenza di un altro scontro a fuoco tra militari. Terza notizia che evidenzia tensioni dei vertici militari siriani: riguarda il movimento di una trentina di carri armati che mercoledì sera si sono disposti a presidio del raccordo anulare che circonda Damasco. Dispiegamento di forze “muscolare” che ha tutte le apparenze di un avvertimento non tanto ai manifestanti – che a Damasco non sono ancora riusciti ad assembrarsi in modo significativo – quanto ad altri reparti o forse anche a vertici militari che possono essere tentati dalla dissociazione dal regime. Altri carri armati, appoggiati da reparti delle forze speciali, hanno invaso ieri il centro di Douma, sobborgo periferico di Damasco, iniziando rastrellamenti feroci, così come a Banias. Proprio da Banias, che ha avuto nei giorni scorsi decine di morti (e in cui sono morti però anche nove militari, secondo fonti ufficiali), è iniziata la fronda interna al Baath, il partito unico. Mercoledì si sono dimessi in polemica “contro la violenta repressione del regime e le pratiche dei servizi segreti” una trentina di dirigenti locali che si sono aggiunti ai due parlamentari della regione di Deraa, che si erano dimessi l’altro ieri. Queste dimissioni hanno dato la stura a una serie di altre dissociazioni pubbliche dal Baath che ieri sono arrivate a 233. Un ennesimo segnale di possibile aggravamento delle tensioni interne nei vertici di Damasco è stata la decisione di ieri dell’esercito libanese di dispiegare molti reparti a presidio della frontiera con la Siria, lungo il fiume Nahr el Kebir con il pretesto debole di “contrastare il contrabbando”. Palese motivazione di facciata per una decisione senza precedenti tra frontiere di due paesi da sempre interdipendenti. Riprova di come la situazione politica interna libanese risenta i contraccolpi della crisi siriana. La dirigenza di Hezbollah si è infatti ufficialmente schierata al fianco del governo di Damasco e contro “gli agenti di Israele che manifestano” perché “senza sicurezza in Siria non ci sarà nemmeno sicurezza in Libano”, mentre lo schieramento anti siriano capeggiato dall’ex premier Saad Hariri teme che l’instabilità del regime baathista si scarichi sul Libano.
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Ong filo occidentali e radicali contro il posto della Siria nel consiglio dei diritti umani Onu "
Dimitri Buffa
Dopo le lodi al regime di Gheddafi per i suoi progressi nella tutela dei diritti umani adesso si discuterà dell’entrata del regime di Assad nel Consiglio per i diritti umani. I paradossi all’interno del Palazzo di vetro non sono più l’eccezione ma la regola. Il “Washington Post” recentemente ha rimarcato che tale Consiglio dei diritti umani ha indirizzato negli ultimi tempi 41 delle sue 65 risoluzioni contro lo stato d’Israele. Lo scrittore Joshua Muravchik sostiene che questo organismo è ormai “il perfetto microcosmo della tragedia e della corruzione delle Nazioni Unite”. Per questo da due giorni si sono mobilitate oltre 17 ong, provenienti da tutti e cinque i continenti, guidate da “Un Watch”, rappresentata dal duo direttore Hillel Neuer, e dal “Partito radicale transanzionale”, nella persona di Matteo Mecacci, per impedire questo ultimo scempio. Cioè che la Siria, che nella scorsa settimana ha visto morire 500 manifestanti per strada sotto il fuoco della polizia politica del figlio di Assad, possa sedersi come giudice dei diritti umani all’Onu. Tra i latori dell’iniziativa anche una delegazione degli ex giovani cinesi sopravvissuti a Tien an Men. Ma ieri intanto in sede di Consiglio di sicurezza, non c’è stato alcun accordo, proprio per il veto cinese e quello russo, a una condanna di quello che è successo nel “paese del sole” (“al shams”) negli scorsi giorni. Più precisamente il bilancio delle rivolte in Siria sarebbe salito a oltre 500 civili morti. Lo ha affermato sempre ieri l'organizzazione per i diritti umani “Sawasiah”. Secondo la Ong, fondata dall'avvocato per i diritti umani Muhannad al-Hassani, migliaia di persone sarebbero state arrestate, e molte date per disperse dopo le dimostrazioni per chiedere libertà politica e la fine della corruzione. Cina e India in sede di Consiglio di sicurezza hanno esortato a un fantomatico “dialogo politico” e ad una “pacifica soluzione della crisi”, ma non hanno voluto condannare le violenze. Dal canto suo, riferisce la Bbc, l'ambasciatore russo all'Onu, Alexander Pankin, ha avvertito che “interferenze esterne nella situazione interna siriana potrebbero condurre a minacce per la sicurezza regionale”. E i russi sono già convinti che in Libia Onu e Nato stiano agendo al di là del mandato iniziale. In questa miscela di fraintesa real politik e di ipocrisia allo stato puro, il testimone di “poliziotti dei diritti umani” passa pertanto nelle mani di meno di venti ong dichiaratamente filo occidentali che adesso promuovono petizioni on line perché nella prossima sessione del Palazzo di Vetro non si compia anche questo orrore di fare entrare il regime siriano nel Consiglio dei diritti umani. Con la Libia si è arrivati in extremis ad annullare la sessione che doveva ratificare le lodi per i progressi nella tutela dei suddetti diritti umani. Vedremo come andrà a finire con la Siria.
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