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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Libero - Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.04.2011 Attentato terroristico di al Qaeda a Marrakech. 16 morti
Cronache e analisi di Redazione del Foglio, Andrea Morigi, Antonio Ferrari, Guido Olimpio

Testata:Il Foglio - Libero - Corriere della Sera
Autore: Redazione del Foglio - Andrea Morigi - Guido Olimpio - Antonio Ferrari
Titolo: «Gheddafi aveva avvertito: aspettatevi degli attentati - Al Qaeda, salafiti, cani sciolti: i tre cerchi della guerra santa - Il brutale messaggio di al Qaeda al Marocco che guarda avanti»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 29/04/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Campagna di al Qaida per riprendersi la scena. Si comincia dal Marocco ". Da LIBERO, a pag. 11, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Gheddafi aveva avvertito: aspettatevi degli attentati ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Al Qaeda, salafiti, cani sciolti: i tre cerchi della guerra santa ", a pag. 56, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Il brutale messaggio di al Qaeda al Marocco che guarda avanti ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - "  Campagna di al Qaida per riprendersi la scena. Si comincia dal Marocco"

Roma. Almeno quindici morti e decine di feriti è il bilancio dell’attentato che ieri mattina alle 11.50 ha sventrato l’Argana café, nella centralissima piazza Jamaa al Fna a Marrakech. In prima battuta la versione ufficiale delle autorità marocchine riferiva di una “esplosione accidentale di bombole a gas del ristorante”, ma poco dopo Khalid Naciri, ministro portavoce del governo, ha ammesso: “E’ un attentato; per circa un’ora abbiamo lavorato sull’ipotesi di un incidente; ma i primi risultati delle indagini hanno confermato che abbiamo a che fare con un vero atto criminale”. Discordanti le prime versioni delle meccanica dei fatti da parte dei testimoni scampati alla strage: secondo alcuni, “il kamikaze ha ordinato un’aranciata e pochi minuti dopo si è fatto saltare in aria”; ma secondo un altro testimone, citato dalle radio marocchine, “una persona avrebbe lasciato una valigia all’interno del locale prima di allontanarsi”. Secondo la ricostruzione iniziale degli inquirenti, l’esplosivo, che ha causato una deflagrazione devastante che ha maciullato alcuni corpi, sarebbe stato contenuto in quattro bombole, avvolte in frammenti di ferro, valutazione confermata da una fonte ospedaliera che ha riferito: “Abbiamo trovato chiodi e pezzi di ferro nei corpi”. La maggior parte dei morti sarebbero turisti e solo tre paiono essere marocchini, proporzione che spiega anche la scelta dell’obiettivo dei terroristi che da sempre in Marocco puntano a fare strage di “infedeli”. Il café Argana, infatti, è al centro della Medina, la città storica, e campeggia sulla bella piazza Jamaa al Fna (“Raduno dei morti”, probabilmente perché vi si tenevano le esecuzioni capitali), su cui si allungano i banchi del suq e in cui a partire da poco prima del tramonto si riversano decine di carretti spinti a braccia con fornelli a legna. E’ quindi meta preferita e ammirata da folle di turisti, attratte da una atmosfera dal fascino unico (la Medina di Marrakech è stata proclamata “capolavoro dell’umanità” dall’Unesco). Dunque, piena continuità con gli obiettivi scelti con gli attentati del 16 maggio 2003 a Casablanca (l’hotel Safir, il ristorante “Casa de España”, il consolato belga e due obiettivi ebraici) che provocarono 24 morti, con quello del 12 marzo 2007, sempre a Casablanca contro un Internet café (morto solo il kamikaze Abdelfattah Raydi), mentre l’11 aprile 2007 tre kamikaze furono intercettati, sempre a Casablanca, dalle forze di sicurezza e morirono nello scontro – tra loro Mohammed Mentala, mente dell’attentato del 2003. Non vi è ancora una rivendicazione dell’ultima strage, ma è probabile che sia opera del Groupe Islamique Combattant Marocain (Gicm), componente di al Qaida del Maghreb, formato da mujaheddin reduci dalla guerra in Afghanistan, la cui emanazione spagnola portò a termine la strage con 191 vittime della stazione di Atocha a Madrid l’11 marzo del 2004. Il terrorismo islamico è dunque endemico in Marocco ed evidentemente non è stata sufficiente la forte pressione delle forze di sicurezza che pure il 5 gennaio scorso, con un blitz, hanno arrestato i 27 componenti di una cellula a Amghala. L’attentato del ristorante Argana segnala la scelta di al Qaida di farsi sentire in un paese interessato da quella rivolta araba che marginalizza la sua presenza – quantomeno dal punto di vista mediatico – da mesi.

LIBERO - Andrea Morigi : " Gheddafi aveva avvertito: aspettatevi degli attentati"


Andrea Morigi

Un’alleanza con Al Qaeda, o con i terroristi islamici in genere, era stata già ventilata dal leader libico Muammar Gheddafi, dopo la risoluzione dell’Onu che aveva dato inizio alle ostilità da parte della coalizione detta dei “volentero - si”. C’è una pista libica, quindi, che va ad aggiungersi alle ipotesi più classiche, da non escludere. Andrebbe ascoltato meglio Anwar al-Awlaki, il predicatore statunitense di Al Qaeda, infallibile termometro dell’umore dei terroristi islamici. «In tutto il mondo i mujahedin sono in un momento di esultanza», affermava nel suoultimo scritto,Lotsunami delcambiamento, sulla rivista Inspire, alla fine di marzo. Erano appena quattro pagine di analisi delle rivolte in corso nel Medio Oriente, che contenevano una predizione, più che un auspicio: «Mi domando se l’Occidente si sia reso conto della crescita dell’attività dei mujahedin in Egitto, Tunisia, Libia, Yemen, Arabia, Algeria e Marocco». Un interrogativo tanto retorico quanto beffardo, che sottolineava l’incapacità dei media e delle stesse agenzie di intelligence non solo di prevedere i movimenti di massa, ma perfino di comprenderne la natura una volta esplose le proteste. «Molto probabilmente l’organizza - zione che ha messo a segno l’attentato a Marrakesh è un gruppo relativamente giovane, marocchino, chiamato “Giustizia e Benevolenza”, che si riconosce nel progetto politico qaidista pur non facendone direttamente parte nè essendo inserito formalmente all’in - terno di Aqim (Al Qaeda in the Islamic Maghreb)», dice ad Adnkronos Andrea Margelletti, presidente del CeSi - Centro Studi Internazionali. «Questo attentato », spiega l’esperto di geopolitica, «non ha una connessione con l’ondata di richieste di libertà e democrazia che sta attraversando Nord Africa e Medio Oriente, né tantomeno è correlato alle proteste che hanno portato in piazza migliaia di persone a Rabat e Casablanca, chiedendo riforme costituzionali al governo marocchino». «Ciò che pare invece ovvio», conclude «è che i terroristi abbiano potuto sfruttare questo momento di massiccio impegno delle forze di sicurezza in funzione di altri contesti, per mettere a segno questo terribile attentato». Potrebbe trattarsi, semmai, di una reazione alle traformazioni già in atto, suggerisce la parlamentare di origine marocchina del PdL, Souad Sbai che, nell’esprimere il proprio sgomento e la propria rabbia di fronte alle immagini del vile attentato terroristico, invita a riflettere sul fatto «che il Marocco si trova alle prese con l’elaborazione di riforme molto importanti», il che rende l’atten - tato «ancor più significativo nella volontà di porre fine al processo di cambiamento del Marocco stesso». Del resto, oltre alle minacce contro l’industria turistica del Marocco, accusato dai fondamentalisti di eccessivo moderatismo e di sospetta vicinanza all’Occidente, vi sono quelle contro gli occidentali. In fondo, gli attentati a Madrid dell’11 marzo 2004, compiuti da marocchini, erano intesi come punizione islamica anche verso il Marocco, accusato di collaborare a stretto contatto con i servizi segreti spagnoli.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Al Qaeda, salafiti, cani sciolti: i tre cerchi della guerra santa "

WASHINGTON— Il terrore è ricomparso nell’unico paese nordafricano dove la «primavera» non si è tramutata in rivolta. Uno Stato, il Marocco, dove i servizi di sicurezza hanno carta bianca. Ma i loro nemici sono all’altezza. Non una sola formazione ma una serie di gruppi che sintetizzano tendenze qaediste, ideologia salafita e terrorismo fai-da-te. Una realtà dove si mescolano laureati, disoccupati, veterani di Iraq e Afghanistan, stranieri. La polizia li sbatte in galera e loro risorgono. Dalla strage di Casablanca — nel 2003 — sono state smantellate 60 cellule e sono finiti in prigione più di mille islamisti. Un esperto, infatti, ha ipotizzato che la strage sia una risposta alla mancata liberazione di alcuni di loro. Il fronte eversivo, anche se frammentato, non va sottovalutato. Un luogo ne è diventato il simbolo negli anni scorsi. Tétouan con il suo quartiere di Mezouak: da qui sono partiti quasi 30 kamikaze poi morti in Iraq. Altri hanno partecipato all’attentato di Madrid. Una filiera che si è poi sviluppata in altre regioni con un modus operandi classico. I gruppi reclutano volontari per le guerre lontane e riservano una quota per azioni in Marocco. Tante le sigle: Salafia Jihadia, Sirat al-Mustaqim, Ansaar al-Mahdi, Al Murabitun, Fatah al-Andalus. Gruppi che ritengono sia legittimo uccidere i turisti e punire il Marocco troppo vicino all’Occidente. Alcuni potrebbero anche essere manipolati. Un sospetto che sfiora la Libia, interessata a dimostrare che la rivolta ha favorito il terrore puro. Ipotesi a parte, la minaccia più insidiosa viene da Al Qaeda nella terra del Maghreb, fazione algerina diventata il «cartello» regionale di Osama. Raccoglie nelle sue fila africani, tunisini, libici e marocchini. Uno di loro aveva creato un campo ad Amghala frequentato anche da giovani della comunità sahraui. La «falange» è stata bloccata a gennaio ma altri sono pronti ad agire, sfruttando anche l’instabilità del Nord Africa e del Sahel. La seconda freccia arriva dai salafiti. Piccole «unità» che si formano attorno ad un uomo di esperienza. Talvolta collaborano con Al Qaeda alla quale forniscono la carne da cannone. Infine ci sono i «cani sciolti» , spesso amici cresciuti nello stesso quartiere, il cui legame con la jihad è rappresentato da Internet. Possono diventare pericolosi: come il «gruppo degli ingegneri» di Meknes che sognava di massacrare i turisti. Alcuni di loro erano talmente esaltati da indossare costantemente la cintura da kamikaze. Lungo queste linee si sono poi infiltrati i militanti stranieri, a volte mimetizzatisi dietro attività economiche legali. C’è stato il caso di un saudita, poi di tre palestinesi complici di elementi locali. Nazionalità diverse e una sola causa.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Il brutale messaggio di al Qaeda al Marocco che guarda avanti "


Antonio Ferrari

Quanto è accaduto non può essere casuale. Il gravissimo attentato nella dolce Marrakesh, che pullula di turisti primaverili, soprattutto francesi, è il brutale messaggio che i fanatici terroristi regionali, legati ad Al Qaeda, lanciano al re progressista del Marocco. Il giovane sovrano, Mohammed VI, primo fra i suoi coronati colleghi, ha deciso di affrontare di petto le proteste popolari, che seppur con intensità minore non hanno risparmiato il suo regno, confidando su un coraggioso piano di riforme che, per la prima volta, cambierebbero il volto austero e apparentemente immutabile del suo Paese. Nella prima metà di marzo il sovrano aveva infatti annunciato di voler imboccare la strada che, nelle sue intenzioni, dovrebbe condurre il Marocco sui binari di una monarchia costituzionale. Passo indubbiamente difficile, con la necessità di procedere per gradi. Anticipati dal capo dello Stato: liberazione dei detenuti politici, aumenti salariali, creazione di posti di lavoro per i giovani, e soprattutto separazione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario), con la sola eccezione istituzionale del premier, che viene designato dal re. Un piano di riforme costituzionali che Mohammed VI vuole sottoporre a referendum, per ottenere dal suo popolo la fine delle proteste e un convinto sostegno. È un piano che gli estremisti hanno ritenuto contagioso e pericoloso, perché toglierebbe ai terroristi-sabotatori la possibilità di penetrare efficacemente in un Paese giustamente considerato tra i più importanti dell’intero mondo musulmano. Il Marocco potrebbe diventare davvero l’alfiere di quella spinta verso la democrazia e il rispetto dei diritti umani che le giovani generazioni del Nord Africa e del Medio Oriente, assai più istruite e colte dei loro genitori, chiedono. Anzi pretendono. Ed è questa ondata incontenibile che i terroristi islamici stanno cercando di frenare. Sanno infatti che sarebbe impossibile dominarla e guidarla.

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