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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Libero Rassegna Stampa
23.04.2011 Siria, i massacri continuano
I commenti di Luigi De Biase, Carlo Panella

Testata:Il Foglio-Libero
Autore: Luigi De Biase-Carlo Panella
Titolo: «Venerdì di massacro-Le riforme di Assad, 76 morti»

Siria, il commento di Luigi De Biase a pag.1 sul FOGLIOdi oggi, 23/04/2011, e quello di Carlo Panella su LIBERO a pag.14:

Il Foglio- Luigi De Biase: " Venerdì di massacro "


Luigi De Biase

Roma. La macchina della repressione comandata dal presidente siriano, Bashar el Assad, e dal fratello Maher non è ancora riuscita a fermare le rivolte che agitano ormai l’intero paese. Ieri l’esercito ha stroncato proteste a Izra’a, nel sud, nella città di Homs e nei sobborghi di Damasco. Le organizzazioni umanitarie parlano di settanta morti – fra loro ci sarebbe anche un bambino di undici anni – e di ventidue “dispersi”. I manifestanti hanno riempito le piazze al termine della preghiera del venerdì, gridando slogan contro il governo e contro gli Assad. E’ da sei settimane che la scena si ripete senza grosse variazioni, e da sei settimane Assad manda le Forze di sicurezza per riportare la legge nelle strade siriane. Secondo al Arabiya, le vittime dall’inizio della protesta sono quasi trecento: nessuno vuole fare concessioni, né i fratelli Assad, decisi a conservare il potere con ogni strumento, né i giovani che lottano per “Dio, la Siria e la libertà”, come dice uno dei salmi di questa rivoluzione. Lo scontro pare inevitabile, e avrà ripercussioni su tutto il medio oriente. La protesta era in programma da giorni, così come la carneficina dell’esercito. Un appello lanciato su Facebook invitava musulmani e cristiani a manifestare uniti nel “Venerdì di Dio”, e il grosso degli scontri è avvenuto nella provincia meridionale di Daraa, che è il vero cuore della rivolta. Gli uomini di Maher el Assad, il comandante in capo della Guardia presidenziale, hanno ucciso almeno quattordici persone a Izra’a. Uno è morto nella vicina Hirak, quindici manifestanti sono stati massacrati nei sobborghi di Damasco, nove a Douma e sei fra Barzeh, Harasta e al Maadamiyah, a nord della capitale, come riportano fonti locali. Ci sono vittime anche a Latakia, il grande centro portuale sulla costa del Mediterraneo, e nella città di Hama, il teatro della repressione del 1982, quando il presidente era Hafez el Assad, il padre di Bashar. Questo movimento è la minaccia più grande capitata alla potente dinastia siriana: ieri, nella sola Douma, più di 40 mila persone sono scese in strada nonostante la certezza che l’esercito avrebbe sparato contro di loro.Per fermare le proteste Assad ha cancellato le leggi d’emergenza con le quali il paese è stato governato negli ultimi cinquant’anni. I provvedimenti speciali erano in vigore da quando il partito Baath è salito al potere, nel 1963, e hanno permesso alla dinastia Assad di cancellare l’opposizione con arresti politici e detenzioni arbitrarie. La tv pubblica ha anche annunciato il favore di Assad per una legge sul diritto a manifestare, e l’intenzione di dissolvere la Corte per le sicurezza nazionale, che è accusata di violare sistematicamente qualsiasi norma. Ma questa manovra non porterà ad alcun risultato senza la riforma della magistratura e degli organismi statali; in più, Assad avrebbe già predisposto una serie di norme che sostituiscono le leggi di emergenza e gli attribuiscono poteri molto simili a quelli che avrebbe appena perduto. “Questo cambiamento non serve a nulla perché le Forze di sicurezza non rispondono ad alcuna legge”, ha detto Malath Omran, uno dei blogger siriani più conosciuti all’estero, in un’intervista con al Arabiya. Il regime non si muove soltanto sul fronte interno per annullare le proteste. Negli ultimi giorni, gli ambasciatori di Assad sono riusciti a convincere gli altri paesi della regione a sigillare i confini per impedire che i manifestanti ricevano armi dall’estero. In Libano, il governo ha addirittura bloccato una manifestazione di solidarietà con i giovani siriani indetta da un gruppo sunnita. Proprio i sunniti libanesi e iracheni potrebbero garantire un sostegno vitale a questa rivolta: la Siria è amministrata dalla setta sciita degli alawiti, che rappresenta il dodici per cento della popolazione ma controlla ogni carica decisiva, e il governo sente la pressione aumentare di settimana in settimana. Giovedì, dopo l’annuncio di Assad, il ministro dell’Interno di Damasco ha detto che i manifestanti “vogliono stabilire con la forza una Repubblica islamica in Siria”. Le sue parole servono a giustificare la repressione, ma sembrano anche una richiesta di solidarietà – se non di aiuto.

Libero-Carlo Panella: "Le riforme di Assad, 76 morti"

Carlo Panella
Carlo Panella

Settantasei morti ieri nella quinta settimana di rivolta in una ventina di città della Siria, riprova che la sospensione delle leggi di emergenza in vigore dal 1963, unica concessione di Bashar al Assad, è stata una mossa di pura facciata di un regime che si comporta con uguale, se non con maggiore ferocia di quelli di Tunisia, Egitto, Libia e Yemen. Impressionanti soprattutto le notizie che giungono da Azara, un sobborgo di Deraa, la città del sud che diede inizio alla rivolta 40 giorni fa, che è tenuta in stato d’assedio dalle brigate speciali di Maher al Assad, il sanguinario fratello del presidente Bashar, che ha già avuto non meno di 200 morti, ma che non intende sottomettersi alla pax baathista. Le manifestazioni contro il regime, replica perfetta di quelle degli altri Paesi arabi, coinvolgono anche la minoranza curda (5.000 i manifestanti nella città di Qamshili) e quella drusa e coinvolgono decine di città del paese, in particolare Homs, Latakia, Hama e Banyas. Nel complesso i morti sono ormai più di 400. I CRISTIANI Ma vi è una differenza forte tra quanto accaduto a Tunisi, Cairo, Sanaa e Bengasi: il centro città di Damasco non è ancora stata raggiunto dal contagio della rivolta. Questo, anche grazie al forte appoggio al regime da parte dei cristiani, che abitano in larga parte nei quartieri centrali della capitale e grazie alla complicità col governo delle loro gerarchie (che hanno sospeso le tradizionali feste pubbliche nelle piazze per la Pasqua, pur di aiutare il regime). Inoltre, al Assad continua ad avere il consenso dell’immensa alta burocrazia damascena che si divide la maggior parte delle prebende dello stato (il 50% dei siriani è dipendente pubblico). Questo non ha impedito però che la settimana scorsa cortei di decine di migliaia di manifestanti, formatisi nei sobborghi popolari della capitale, abbiano tentato di impadronirsi della centrale piazza degli Abassidi, per trasformarla in una nuova “piazza Tharir”, ma la violenza dei reparti speciali (20 i morti) li ha bloccati. Il pieno controllo di Damasco ha così favorito la compattezza del vertice del regime che non dà segno di essere lacerato dalle contraddizioni che hanno segnato la fine di Ben Ali e Mubarak e segneranno la fine di Ben Saleh. Resta il fatto che le tante riforme che Bashar al Assad ha promesso si sono rivelate una cinica farsa. L’unica attuata è stata infatti l’abolizione dello Stato di emergenza, a cui però è seguito il divieto assoluto di manifestare («non ce ne è più ragione» è stata la beffarda motivazione del ministro degli Interni), seguito dall’uso delle armi contro i manifestanti. La giornata di ieri, le manifestazioni che ovunque sfidano le forze di sicurezza e gli squadristi in borghese di Nameer al Assad (narcotrafficante, cugino di Beshar al Assad) conferma dunque che la crisi siriana si è cronicizzata, che il movimento di protesta, anche se stenta a sfondare a Damasco, non è contenibile e che non si arresterà, anzi. «RIFORMISTA» In questo contesto è irresponsabile – soprattutto a fronte delle follie della Nato in Libia – il comportamento della comunità internazionale che si limita a dure note di protesta. Il fatto è che se tutti omaggiavano Gheddafi, tutti, a partire da Obama e Sarkozy consideravano Bashar al Assad un «riformista» come ha confermato a stragi iniziate una ineffabile Hillary Clinton. Oggi, quel «riformista» si comporta come Gheddafi e sarebbe indispensabile non certo fargli guerra, ma quantomeno dare un forte segnale al popolo siriano con un durissimo embargo sui capitali all’estero.

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