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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Il Foglio Rassegna Stampa
23.04.2011 Egitto-Iran, relazioni pericolose
I commenti di Fiamma Nirenstein, Pio Pompa

Testata:Il Giornale-Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein-Pio Pompa
Titolo: «Tra Egitto e Iran relazioni pericolose (soprattutto per noi)-Così l'Iran cerca di liberarsi dei regimi che limitano la sua superpotenza»

Iran, Egitto: quali saranno le relazioni fra questi due paesi  è la domanda angosciante che l'Occidente tarda a porsi. Affrontano l'argomento Fiamma Nirenstein sul GIORNALE di oggi, 23/04/2011, a pag.13, in una analisi dal titolo " Tra Egitto e Iran relazioni pericolose (soprattutto per noi)", sul FOGLIO, a pag. 4, Pio Pompa, in un articolo dal titolo " Così l'Iran cerca di liberarsi dei regimi che limitano la sua superpotenza".

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Tra Egitto e Iran relazioni pericolose (soprattutto per noi)"


Fiamma Nirenstein

Verrebbe un po’ da ridere di questo conti­nuo «si stava meglio quando si stava peggio» che accompagna gli sviluppi della primavera islamica se non si trattasse di eventi pericolo­si per il nostro stesso futuro. Siamo di fronte a una svolta che promette solo vento e tempe­sta: l’Iran e l’Egitto si apprestano, dopo trent’anni di ostilità, a scambiarsi ambascia­tori. Quando due navi iraniane sono entrate nel Mediterraneo tramite il Canale di Suez, ne abbiamo avuto l’arrogante segnale.Sull’aper­tura delle rispettive ambasciate a Teheran e al Cairo hanno negoziato il ministro degli esteri iraniano Ali Akhbar Salehi e la sua contropar­te egiziana Nabil el Arabi, che appena nomi­nato disse che intendeva ripristinare le rela­zioni con Teheran. In seguito El Arabi ha in­contrato il rappresentante iraniano Mugtabi Amani nella prima visita ufficiale da quando Mubarak è stato defenestrato. Pare che l’am­basciatore iraniano sarà un diplomatico di carriera, Ali Ahbar Sbuyeh. L’egiziano è igno­to, anzi,l’Egitto fa sapere che l’annuncio è pre­maturo. Questo fa pensare a una discussione sui nuovi accordi: per esempio, l’atteggia­mento egiziano verso Hamas, figlioccio del­­l’Iran, è cambiato, non si impedisce più l’im­portazione di armi a Gaza attraverso i tunnel. Ma può darsi che l’Iran voglia un sostegno più esplicito per i suoi pupilli, o magari che non venga disturbata la pista di armamenti che corre in Sudan, percorsa da convogli iraniani. Ci sono seri molti motivi di preoccuparci. L’Egitto e l’Iran sono i due pilastri storici, due grandi forze ben armate, della parte sunnita e di quella sciita dell’Islam.Si sono controbilan­ciati l’un l’altro. La parte sunnita, per quanto ambigua verso i suoi Fratelli Musulmani o Al Qaeda, ha con l’Occidente un rapporto mi­gliore. E stata anche muraglia contro il suo proprio estremismo. Invece il caposaldo scii­ta è il regime degli Ayatollah, esplicito campio­ne della distruzione d’Israele e della costru­zione di un regime islamista, sostenitore di gruppi terroristi anche sunniti, come Hamas. Le posizioni di Ahmadinejad, ripetute lunedì, sono di pura minaccia antioccidentale e suo­nano così: «Gli Stati Uniti e altre nazioni occi­de­ntali fomentano le rivoluzioni mediorienta­li per salvare il regime sionista, vogliono rove­sciare la Siria perché è amica nostra... la rivol­ta del mondo arabo comunque porterà al col­lasso del regime sionista... gli Usa sono infede­li e saranno cacciati dal Medio Oriente».
Questa teoria non deve essere apparsa tanto peregrina all’attuale governo egiziano: infatti l’Egitto, per decenni fedele all’amicizia con gli Usa, ancora si chiede come il presidente Obama non ci abbia pensato più di un attimo prima di abbandonare Mubarak che, certo raìs e dittatore, era stato per l’America il più disponibile, il più mediatore fra gli amici nel mondo arabo. Non a caso Obama era volato al Cairo nel suo primo viaggio presidenziale. Inoltre il nuovo Egitto, alla ricerca di alleati, lo fa in base alla spinta di un pubblico confuso ma molto più islamista di prima, se è vero, e lo è, che ormai si può valutare fino al trenta per cento la Fratellanza Musulmana, che quindi dominerà il Parlamento. Due giorni fa il segre­tario e vice guida suprema dei Fratelli Musul­mani ha annunciato che la sharia, con il taglio della mano, la lapidazione, le imposizioni ter­ribili alle donne, sarà presto imposta.
Da questo nuovo Egitto promana un certo di­sgusto per la pace con Israele: l’ambasciata israeliana al Cairo è stata oggetto di dimostra­zioni e anche i ministri non si tengono più. Quello delle finanze, Samir Radwan, ha detto «noi non abbiamo bisogno degli investimenti del nemico». «Nemico? - ha reagito Bibi Ne­tanyahu da Gerusalemme - Mi risulta che avessimo un trattato di pace». Le relazioni fra Iran e Egitto si ruppero dopo il trattato di pace con Israele, è logico che le nuove nozze poggi­no sull’odio antisraeliano. Il governo irania­no dedicò un monumento a Khaled al Istam­buli, assassino di Sadat in nome della Jihad Islamica egiziana. Membri del commando co­me Abboud al Zumar sono tornati in libertà. Al Zumar ha detto che gli dispiace che il risul­tato della loro rivoluzione sia poi stato Muba­rak. Un attimo: deve ancora vedere i risultati di questa.

Il Foglio-Pio Pompa: " Così l'Iran cerca di liberarsi dei regimi che limitano la sua superpotenza "


Pio Pompa

Il silenzio dell’Iran, sui sommovimenti che stanno ridisegnando gli equilibri mediorientali, ha il sapore di una insidia incombente fatta di uranio arricchito, di atomica e dell’attesa di raccogliere in un grumo, “per la distruzione dello stato di Israele”, il puzzle fondamentalista che sostiene, in attesa di assumerne la guida, la cosiddetta “primavera araba”. E’ l’occasione, per Teheran, di liberarsi in un solo colpo di quei regimi che sinora ne hanno limitato le ambizioni di supremazia sul medio oriente. Per di più con l’aiuto dell’occidente che nella sua deriva bellica in Libia, affatto umanitaria, e nelle sue affrettate prese di posizione rischia di affondare in una palude densa di incognite dimostrando una stucchevole superficialità politica e strategica. Il boomerang di tanta superficialità è dietro l’angolo. L’intervento armato, ipocritamente umanitario, sta di fatto favorendo il ricompattamento del fronte arabo antioccidentale e minando alle fondamenta il sistema di alleanze con quella parte del mondo islamico impegnato a fare da argine al terrorismo qaidista che oggi si sente tradita e abbandonata dopo aver pagato, in tal senso, un pesante tributo di sangue. La leadership iraniana è conscia di tutto ciò e cercherà di trarne il massimo vantaggio evitando persino aperte prese di posizione a sostegno del suo alleato a Damasco, il presidente siriano Bashar el Assad. I leader possono cambiare così come i regimi. Quel che conta, per la Repubblica islamica d’Iran, è la convinzione, rafforzata da una profonda conoscenza del territorio, che la “primavera araba” possa trasformarsi in una affermazione delle forze integraliste e anti israeliane, sul modello degli exploit elettorali di Hezbollah in Libano e di Hamas nella Striscia di Gaza, legittimata dal consenso popolare e con la certezza che si tratterà di una parvenza di democrazia. A quel punto l’intero scacchiere mediorientale risulterebbe stravolto dall’influenza e dalle prerogative del regime iraniano rafforzandone enormemente il peso internazionale e il ruolo di potenza nucleare. Di qui la grande preoccupazione di Israele, stretto tra una simile prospettiva e l’atteggiamento ondivago dei suoi alleati e di una comunità internazionale divisa e percorsa al suo interno da pulsioni antisemite.

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