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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
22.04.2011 Gli italiani difendano le figlie dei musulmani, o saranno complici
Commenti di Magdi C. Allam, Suad Sbai

Testata:Il Giornale - Libero
Autore: Magdi C. Allam - Souad Sbai
Titolo: «Gli italiani difendano le figlie dei musulmani, o saranno complici - Un’odiosa cultura repressiva e l’Italia tace in attesa della tragedia»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 22/04/2011, a pag. 1-17, l'articolo di Magdi C. Allam dal titolo "Gli italiani difendano le figlie dei musulmani, o saranno complici  ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Souad Sbai dal titolo " Un’odiosa cultura repressiva e l’Italia tace in attesa della tragedia ".
Ecco gli articoli:

Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Gli italiani difendano le figlie dei musulmani, o saranno complici "


Magdi C. Allam

Lo sanno gli italiani che di fatto sono assoggettati alla sharia , la legge coranica, ogni qual volta ci scontriamo con le posizioni intransigenti degli islamici? Che sia­mo proprio noi a rassegnarci facendo primeggiare la sharia sulle nostre leggi, a discapito del rispet­to dei diritti fondamentali della persona, perché sostanzialmente siamo ingenui, ignoranti, pavi­di e persino ideologicamente col­lusi? Che siamo proprio noi a sce­gliere di sottometterci a un’ideo­logia disumana che viola i valori non negoziabili che sono il fonda­m­ento della nostra comune uma­nità (la sacralità della vita, la di­gnità della persona, la libertà di scelta) perché essenzialmente noi abbiamo paura di loro?

L’ennesima conferma ci giunge dal più recente caso di violenza domestica consumatosi a Parma. Que­sti i protagonisti di una storia che ormai è un copione che si ripresenta con epiloghi tal­volta tragici in varie parti d'Italia. Una ragazzina mu­sulmana pachistana di tredi­ci anni «colpevole» di essere troppo bella, di essere dotata di un fisico che attrae gli istin­ti sensuali dei suoi coetanei. Un padre-padrone-padreter­no che crede nel primato as­soluto del Corano e della sha­ria che non ha esitato a pic­chiare selvaggiamente la fi­glioletta fino a lasciarle i lividi sulla pelle, dopo aver sentito dei ragazzini rivolgerle degli apprezzamenti. Le autorità scolastiche che decidono di non denunciare le violenze corporali alle forze dell'ordi­ne per paura che la famiglia possa vendicarsi rispedendo in quattro e quattr’otto la figlioletta in Pakistan come se si trattasse di un pacco posta­le. Preferiscono piuttosto, in­sieme alle istituzioni della co­siddetta società civile, sinda­cati e associazioni di volonta­riato attive nella sedicente mediazione linguistico-cul­turale, avviare dei colloqui con i genitori finalizzati al per­seguimento del compromes­so «costi quel che costi», non importa se il padre ha com­messo violenze sulla figlia e se la madre è tacitamente compiacente; l’importante è rabbonirli, tranquillizzarli, rassicurarli: la vostra bambi­na non è una sgualdrina an­che se madre natura l’ha fatta particolarmente bella, vi supplichiamo di non punirla per le attenzioni rivoltele da coe­tan­ei che rispondono agli im­pulsi propri della nostra uma­nità, consentitele di conti­nuare a frequentare la scuola in Italia e non cacciatela in un Paese che ormai non le appar­tiene più, dove lei non si senti­rebbe se stessa. Ed è così che gli adulti stipulano il compro­messo sulla pelle della ragaz­zina: noi adulti italiani non li denunciamo per aver commesso un reato picchiando selvaggiamente la figlioletta innocente; loro adulti islami­ci accolgono la nostra suppli­ca acconsentendo alla figlio­letta di restare in Italia.

Chi ha vinto? Loro, senza ombra di dubbio. Sono riusci­ti a imporci il fatto che la sha­ria è fonte legittimante del lo­ro comportamento e che la sua applicazione in Italia è va­lida e non è sanzionabile. Che fine ha fatto la nostra Co­stituzione che recita che «la legge è uguale per tutti»? Che fine ha fatto il nostro Stato che garantisce la certezza del diritto e la certezza della pe­na? Se consideriamo un se­condo recentissimo caso che riguarda una diciannovenne musulmana, anche lei pachi­stana residente a Brescia, ri­soltosi «positivamente» il 16 aprile con un incontro in Que­stura tra i familiari di lei, il console del Pakistan e le no­stre autorità di pubblica sicu­rezza, emerge come l’ordine perentorio che ispira il com­portamento di chi è preposto a garantire l’ordine sul territo­rio nazionale è «calmare le ac­que a tutti i costi», fare in mo­do che «qui e ora» tutto appa­ia a posto, che nessuna voce sia eccessivamente al di so­pra del consentito. Non im­porta se tutto ciò si traduce nel nascondere i cadaveri nel­­l’armadio: quelle ragazzine sottratte alla protezione del primato della nostra legge e consegnate all’arbitrio della sharia qui a casa nostra, fini­scono per diventare di fatto delle morte viventi, la loro esecuzione capitale nel no­me di Allah è stata solo sospe­sa.

E il nostro governo? E il no­stro Parlamento? E il nostro capo di Stato? E i nostri magi­strati? Lo sanno che in Italia è da vent’anni che la sharia si impone ai cittadini italiani che si innamorano di una musulmana e che per poter­la sposare sono obbligati a convertirsi all’islam? Lo san­no che queste conversioni forzate, anche se di comodo, sono dettate dalla nostra stes­sa legge che ingiungendo al­la donna straniera di avere il nulla osta da parte delle sue autorità diplomatiche, que­ste ultime non acconsento­no fintantoché lei non esibi­sce il certificato di conversio­ne all’islam dell’aspirante marito? C’è una proposta di legge approvata solo dalla Camera dei deputati che do­vrebbe porre fine a questo or­rore, ma attende l’approva­zione del Senato. Sbrigatevi cari parlamentari, affran­chiamoci dalla sharia al più presto prima che ci ritrovere­mo tutti costretti a prostrarci nelle pubbliche piazze al lo­ro Allah! Sono almeno 10mi­la gli italiani che sono stati co­­stretti a convertirsi all’islam per ragioni matrimoniali e so­no proprio loro a testimonia­re la nostra sottomissione al­la sharia .

Caro ministro Maroni, lei è un politico perbene e saggio. Prenda atto che il tema del­l’integrazione non può esse­re gestito dalle forze dell’ordi­ne, la cui unica preoccupa­zione è prevenire che sul ter­ritorio qualcuno metta le bombe o comunque com­metta dei reati. Prenda atto che oggi in Italia non esiste una strategia d’integrazione semplicemente perché non esiste un processo che si fon­di sulla consapevolezza, sul­la certezza e sull’orgoglio di chi siamo, sulla fede nei no­stri valori non negoziabili, sulla certezza delle nostre re­gole che si sostanziano di di­ritti e di doveri. Se continue­remo ad affidare ai poliziotti la questione cruciale del no­stro modello di convivenza in un mondo sempre più glo­balizzato e dove noi siamo sempre più fragili perché ci vergogniamo delle nostre ra­dici e tradiamo la nostra identità cristiana, faremo la fine delle ragazze pachistane: sa­remo anche noi dei morti vi­venti in attesa del colpo di grazia.

LIBERO - Souad Sbai : " Un’odiosa cultura repressiva e l’Italia tace in attesa della tragedia"


Souad Sbai

Attendere la tragedia. Questa è la parola d’ordine in Italia. Attendere che un’altra giovane donna immigrata, colpevole solo di essere integrata e di voler esserecomei suoi compagni, perda la vita, strappata via da una furia oscurantista cieca anche di fronte agli affetti più stretti. Ecco la situazione che emerge da questi giorni di episodi di oppressione e violenza sulle giovani immigrate. Ieri Jamila a Brescia, segregata dalla famiglia perché troppo bella e quindi corteggiata, oggi un’altra ragazza pakistana a Parma, riempita di botte dal padre perché al centro di qualche scherzo fra compagni. Ecco i prodromi della tragedia. Ecco i segnali di un clima di permissivismo multiculturale che miete vittime senza pietà ogni giorno. Ma lo scandalo vero sta nella risoluzione di questi casi; per Jamila addirittura il Console pakistano si è permesso di operare una mediazione con la famiglia, impartendo una pseudo-lezione di religione e mettendo le mani in una vicenda a lui estranea, in quanto interna italiana. Questa vicenda ha creato un precedente clamoroso, in base al quale ogni padre o fratello potrebbe segregare o pestare una ragazza, cavandosela con una semplice sgridata. È il fallimento assoluto del multiculturalismo. E cito l’articolo 605 del codice penale che prevede la pena della reclusione per il reato di sequestro di persona, aggravato fino a dieci anni se in danno di un familiare. Perché i responsabili non sono stati puniti a dovere? Perché si è deciso autonomamente di procedere ad una “mediazione”strappando via letteralmente una pagina di diritto italiano, permettendo che l’in - tegralismo facesse altre vittime? Come la povera Begm Shnez, lapidata nel giardino di casa a Novi, Italia e non Pakistan, dal maritoimamper difendere la figlia diciassettenne Nosheen. È arrivato il momento di intervenire al più presto con provvedimenti concreti, come la concessione della cittadinanza a tempo indeterminato a chi è nato in Italia e abbia compiuto gli studi oppure della carta di soggiorno indeterminata a chi stia studiando in Italia, per non cadere nel ricatto delle famiglie e delle comunità, e rimanere quindi clandestine a vita. Solo con la mano ferma e decisa del legislatore si può stoppare sul nascere la volontà repressiva degli integralisti domestici e il loro odioso senso di controllo sulle ragazze che vogliono essere una seconda generazione integrata. Il dolore di queste giovani e il loro grido di allarme, nonostante le forzature delle famiglie, deve rimbombare nelle orecchie di chi perpetra queste orribili pratiche e permettere alleautorità di stroncarle, attraverso unprovvedimentosolido, non interpretabileenon negoziabilesecondoinaccettabili “attenuanti culturali”. Qui siamo in Italia e non in Pakistan, lo sappia bene il Console e lo sappiano altrettanto bene coloro che intendono ancora perpetuare atti del genere. Mai più Jamila, mai più Hina, mai più Begm. Ma siamo noi a doverle proteggere, con la civiltà e la cultura della libertà.

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