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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
06.04.2011 Vittime di sharia e legge sulla blasfemia in Pakistan
islam democratico ?

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Redazione del Foglio - Francesca Paci
Titolo: «Una Ruby pachistana contro gli imam - Il Pakistan deve abolire la legge sulla blasfemia»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/04/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Una Ruby pachistana contro gli imam ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Il Pakistan deve abolire la legge sulla blasfemia".
Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - " Una Ruby pachistana contro gli imam "


Veena Malik

Roma. “Nessuno in Pakistan può vedere le tue fotografie alla presenza delle proprie figlie. E non penso che tuo figlio in futuro guarderà le fotografie di sua madre”. “Imam, non ho fatto nulla di male, non ho infranto alcuna legge o la legge islamica. Sono tutti contro di me perché sono una donna e un bersaglio facile? Cosa dice il suo islam, sir?”. Veena Malik è una soubrette senza chador in uno dei paesi più islamizzati del mondo, in Pakistan. In diretta tv, chiamata a raccontare la propria partecipazione al programma indiano “Big Boss 4”, Veena è stata attaccata in quanto “puttana” da un celebre imam locale, Abdul Qavi, che l’ha condannata come una “Ruby” Karima El Marough. Vergognosa, ovvero “bayghairti, baysharmi, bayhayai”, gridava il religioso islamico contro la ragazza pachistana. La colpa della velina? Aver indossato un paio di shorts in televisione. Diventata bersaglio dei fondamentalisti islamici, l’attrice Veena Malik non si è fatta intimorire. E ora guida una battaglia pubblica per i diritti delle donne pachistane. Come era lecito aspettarsi, ha ricevuto minacce di morte dagli islamisti. Il Times of India ha scritto che alcuni religiosi hanno emesso una fatwa di morte contro di lei per avere “umiliato l’islam” e disonorato il proprio paese. Ha pure ricevuto una lettera dai talebani che minacciano di infliggerle una punizione esemplare – per la sua partecipazione al “Big Boss Show” – e che prendono di mira anche la sua famiglia. Veena ha risposto che ritiene il governo pachistano responsabile di ciò che potrebbe succederle, e che si rimette nelle mani del suo dio. Veena ha reagito alle accuse dell’imam, che continuava a gridarle “begairat”, vergognosa, ricordando al chierico che “ci sono tante maniere per essere islamici”, che lei “faceva la carità con i soldi che guadagnava onestamente”, che “ha mantenuto una famiglia con quattro fratelli e una madre vedova”, mentre “mi risulta che molti imam barbuti abusino di bambini nelle scuole coraniche”. Da quando Memri ha mandato in onda quei sette minuti e trentanove secondi di dibattito televisivo in contraddittorio con l’imam Qavi, sottotitolati in inglese e disponibili su YouTube, il video è stato uno dei più cliccati della rete. “Visto che parla di islam, mi lasci dire che a lei non è consentito posare gli occhi su di me”, ha scandito la donna contro il religioso. “Dovrebbe essere punito in pubblico. Lei merita di essere punito. Se lei vuole fare qualcosa in nome dell’islam ha molte possibilità. Cosa fanno i politici? Uccidono in nome dell’islam. Ci sono molte cose di cui parlare. Perché Veena Malik? Perché Veena Malik è una donna? Il Pakistan è un posto infame per molte ragioni che non sono Veena Malik. Mi mostri una sola immagine in cui faccio cose inappropriate”. E ancora: “Io sono soltanto una presentatrice, in quel programma televisivo non rappresentavo nessuno se non me stessa”. Oggi Veena sa di rischiare grosso. Shabana, la più famosa delle ballerine di Mingora, poco a nord di Peshawar, nella meravigliosa e una volta turistica valle di Swat parallela al confine afghano, è stata trascinata in piazza e poi giustiziata dai fondamentalisti islamici. Sul corpo hanno gettato pallottole, banconote, cd, dvd e foto con le sue performance “anti islamiche”. Ora si scopre che anche su Facebook ci sono già pagine contro Veena. Una pagina recita: “Odiamo Veena Malik, non è una musulmana”. Un utente la chiama “kuffar”, infedele, quindi passibile di morte. Come Veena rischia anche il suo miglior difensore, Miss Pakistan Annie Rupani, che ha giustificato la partecipazione dell’attrice allo show indiano. “Le donne sono costantemente represse in nome dell’islam”, ha dichiarato Rupani. Oggi Veena deve tenere un profilo basso. Ma in un’intervista successiva allo scontro con l’imam ha rincarato la dose: “Non ho paura di nessuno, non sono una ipocrita, non ho fatto nulla di male e volevo essere la prima a portare un po’ di pioggia liberatrice alle nostre povere donne oppresse da decenni. Sono convinta che nulla di male possa venirmi fintanto che Allah continuerà a proteggermi”.

La STAMPA - Francesca Paci : " Il Pakistan deve abolire la legge sulla blasfemia"


 Shahbaz Bhatti

Prima d’essere assassinato il 2 marzo scorso, il ministro pachistano per le Minoranze Shahbaz Bhatti aveva visto germogliare alcuni dei semi piantati in vent’anni d’attività politica, la normativa che garantisce alle minoranze il 5% del pubblico impiego, l’apertura di luoghi di preghiera non musulmani nelle carceri, il giorno nazionale delle minoranze l’11 agosto. «C’è ancora molto da fare», ammette Paul Bhatti passeggiando nel cortile della Comunità di Sant’Egidio di Roma, dove ha appena ricordato il fratello insieme al ministro degli Esteri Franco Frattini e il grande imam di Lahore Syed Muhammad Abdul Khabir Azad. Qualche giorno dopo il funerale ha raccolto il testimone della lotta contro l’intolleranza religiosa accettando l’incarico di consigliere speciale del premier Yusuf Raza Gilani. La prima sfida è la maggiore, l’infame legge sulla blasfemia, quella per cui rischia la pena capitale Asia Bibi, la Sakineh del Punjab. Paul, un medico che ha vissuto a lungo in Italia, è convinto che le malattie avanzate vadano curate con gli antibiotici: «C’è speranza, dopo la morte di Shahbaz ho sentito perfino tra i partiti religiosi qualche voce favorevole a una modifica della legge». Prima la cura, poi la riabilitazione dell’organismo che ha accolto il virus.

Con 180 milioni di abitanti, di cui il 2% cristiani, l’1% indù e qualche migliaio di zoroastriani, buddisti, sikh e ahmadiyya, il Pakistan è una famiglia complessa. Il ministro Bhatti ne ascoltava paziente i borbottii per tenerla insieme, ricorda il fratello. Come faceva in casa propria: «Una notte, poco tempo fa, mi spazientii con mio padre che si lamentava per nulla: pover’uomo, ultimamente non stava bene, era mentalmente inquieto. Shahbaz mi rimproverò. Eppure era l’unico dei cinque fratelli che viveva con i nostri genitori a Islamabad, doveva essere il più stressato. Invece mi disse che non aveva mai alzato la voce con mio padre. Era fatto così già nella vita quotidiana, figurarsi in quella politica: la mano tesa al posto del pugno».

Paul non minimizza il nemico: «Il terrorismo che fronteggiamo in Pakistan lotta contro l’America, l’Europa, e bersaglia i cristiani pachistani perché li associa all’Occidente. I personaggi trasversali come mio fratello, che diventano portavoce di molte comunità, intralciano e vanno eliminati». Ma sa che a costruire ponti con Shahbaz c’erano molti musulmani, come il governatore del Punjab Salman Taseer, ucciso da un uomo della scorta poco prima di Bhatti, di cui era grande amico, per essersi pronunciato contro la condanna di Asia Bibi. «Più che nella teoria dello scontro delle civiltà, credo nello scontro delle inciviltà», insiste. L’esistenza stessa delle minoranze è in fondo un freno alla tentazione assolutista degli Stati islamici.

«Prendiamo per esempio la primavera araba», continua Paul Bhatti. Un processo da seguire anche da chi arabo non è: «Il Pakistan, in deficit di democrazia, guarda con simpatia le rivolte egiziana e tunisina. Ma c’è indubbiamente il rischio che i fanatici musulmani si avvantaggino dal crollo dei regimi. E’ già successo in Pakistan e Afghanistan: quando c’era il re non avevamo la libertà ma neppure il caos, poi sono arrivati i fondamentalisti». Come uscirne? Paul ha apprezzato il fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi, che ha definito martire non chi rischia la vita ma chi continua ad amare nonostante i rischi. Come Shahbaz Bhatti, la cui Bibbia è da ieri sera esposta nella basilica di San Bartolomeo all’Isola, sorta di talismano contro l’odio religioso del XXI secolo.

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