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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.04.2011 Libia, la guerra rischia di protrarsi più a lungo del previsto
Cronache e commenti di Redazione del Foglio, Maurizio Molinari, Fabio Cavalera, Guido Olimpio

Testata:Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Redazione del Foglio - Maurizio Molinari - Fabio Cavalera - Guido Olimpio
Titolo: «L’esercito di Gheddafi è indistinguibile dai ribelli. Così la guerra si fa lunga - Approda nel porto di Darna l’appello al jihad contro Gheddafi - Le forze speciali sono l’eredità oscura della guerra liberal - Obama, la Cia in campo per vincere la guerra»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/04/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo " L’esercito di Gheddafi è indistinguibile dai ribelli. Così la guerra si fa lunga ", a pag. 3, gli articoli titolati " Approda nel porto di Darna l’appello al jihad contro Gheddafi " e " Le forze speciali sono l’eredità oscura della guerra liberal ". Dalla STAMPA, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama, la Cia in campo per vincere la guerra ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 21, l'articolo di Fabio Cavalera dal titolo "Così gli 007 inglesi hanno fatto fuggire il 'maestro degli intrighi' di Tripoli", preceduto dal nostro commento, a pag. 20, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La Babele d'Occidente se le forze lealiste tengono il campo".

Il FOGLIO - "L’esercito di Gheddafi è indistinguibile dai ribelli. Così la guerra si fa lunga "


Muammar Gheddafi

Roma. Dopo il momento iniziale dello choc sotto le bombe degli aerei occidentali e sotto i missili americani Tomahawk lanciati dalla superficie del Mediterraneo, l’esercito di Muammar Gheddafi si sta rapidamente trasformando e adattando alla guerra. Il colonnello ha dato l’ordine ai suoi di diventare ribelli contro i ribelli, guerriglieri di stato, partigiani di una nuova guerra di liberazione contro il regime di Bengasi. E’ stato prontamente obbedito. I suoi soldati hanno spostato i carri armati e i blindati nelle vie strette tra le case, dove sono più difficili da colpire senza provocare vittime civili – e in quel caso quello che si perde sul piano militare si guadagna sul terreno immateriale della propaganda – e ora si spostano con le armi a bordo di macchine civili, di furgoni e di roulotte. Sabato e domenica hanno spalancato un enorme vuoto davanti all’avanzata dei ribelli, tanto da far dire loro che “entro la settimana espugneremo Tripoli” e al canale al Jazeera, che fin troppo festoso ne raccontava l’avanzata, che Sirte era già caduta (Sirte è quello che Tikrit era per Saddam Hussein, la città madre e anche la base dei suoi irriducibili sostenitori). Niente di tutto questo è successo. I ribelli sono stati messi in fuga e hanno dovuto ritirarsi precipitosamente di almeno 250 chilometri verso est, terrorizzati da un’arma primordiale come i missili Grad, semplici tubi spara razzi montati sul retro di camion. Sono tornati di nuovo al punto di partenza, quelle porte di Bengasi per salvare le quali gli aerei sono decollati. E’ la seconda volta negli ultimi 23 giorni. Il settimanale Time accosta già il portavoce dei ribelli e il suo ottimismo infondato al ministro dell’Informazione irachena che negava l’avanzata degli americani quando ormai i carri erano per le strade di Baghdad. Il serpente ha cambiato pelle. I soldati e i mercenari di Gheddafi si mescolano al traffico civile, dall’alto sono diventati virtualmente indistinguibili dai loro avversari e i caccia della Coalizione saranno costretti a mille cautele in più prima di colpire. I giorni delle colonne di carri armati da incenerire sono finiti. E’ anche per questo che americani e inglesi hanno schierato squadre speciali e servizi segreti a terra. Intanto i soldati di Gheddafi tengono d’occhio i ribelli per scoprire subito quando cominceranno a usare qualche segno di riconoscimento per non farsi bombardare, e copiarlo subito. E usano tattiche da guerriglia, come le imboscate. Secondo i ribelli, due giorni fa hanno sventolato bandiere bianche in segno di resa per attirarli, e poi hanno attaccato di sorpresa infliggendo perdite pesanti. Ora che hanno di nuovo conquistato i centri del petrolio, le truppe di Gheddafi hanno riaperto i manuali di dottrina rivoluzionaria più rodata dal tempo. I principi basilari sono almeno due: gli uomini e le idee politiche sono superiori alle armi; e non esistono vittorie lampo, la guerra si vince con una campagna protratta a sfinimento nel tempo – che è proprio quello che temono i pianificatori di “Odissea all’alba” al comando Nato che da ieri ha assunto la guida delle operazioni. Il petrolio e il corridoio a sud Con il petrolio e con il corridoio sud aperto verso tutto il resto dell’Africa, per far viaggiare avanti e indietro soldi e armi e mercenari, il regime può attendere che le debolezze della campagna aerea si manifestino. La guerra dall’aria con bombe e missili ha un difetto di nascita: non può essere sostenuta a lungo e non riesce a conseguire risultati definitivi, a meno che non sia seguita da un’operazione di terra su larga scala. Altrimenti finisce, soprattutto quando i bombardieri arrivano da paesi stranieri, per compattare il nemico e rafforzare la sua determinazione. Nessuno dei partecipanti è intenzionato a mandare un contingente di soldati con i loro anfibi sul terreno – la sola offerta, ma nel caso si tratterebbe di peacekeeper, arriva dall’Indonesia che non partecipa all’operazione – e tutti sono consapevoli del pericolo di essere invischiati in una guerriglia d’attrito. Ieri il segretario alla Difesa americano, Bob Gates, ha riconosciuto davanti al Congresso che “se Gheddafi resta al suo posto, la situazione potrebbe diventare uno stallo”. Gates, già capo del Pentagono durante l’ultimo mandato di George W. Bush, è il volto saggio dell’Amministrazione. Alla domanda sull’invio di truppe, Gates ha risposto: “Non finché io faccio questo mestiere”.

Il FOGLIO - " Approda nel porto di Darna l’appello al jihad contro Gheddafi"

Darna. Un gruppo di uomini fa la guardia al check point alle porte della cittadina di Darna, nell’est della Libia. I giovani indossano la jalabiya, tradizionale tunica araba, e portano una lunga barba. Con inusuale disciplina militare, chiedono i documenti agli stranieri che vogliono visitare la città e controllano il contenuto dell’automobile. Il piccolo porto di Darna, in disuso da 30 anni, non sembra avere nulla di diverso rispetto ad altri luoghi dell’est. Gli abitanti sono sempre stati in prima fila nell’opposizione al regime: negli anni Settanta, Darna fu teatro di una rivolta contro il regime di Gheddafi. E nel 1996 fu il campo di battaglia della lotta tra il Gruppo libico islamico per il combattimento (Lifg), movimento islamista legato ad al Qaida, e le forze governative. Di tutte le cittadine dell’est Darna è il luogo che più preoccupa gli occidentali. Nel 2007, le forze americane trovarono centinaia di file in un covo di al Qaida a Sinjar, in Iraq. I documenti rivelavano che, dopo i sauditi, la più alta percentuale di jihadisti stranieri nel paese era libica. E in un cablogramma del 2008, reso pubblico da Wikileaks, la città di Darna è definita da un diplomatico americano “una fonte di combattenti stranieri” per l’Iraq. Nelle scorse ore, Anwar al Awlaki, influente imam e guida spirituale di al Qaida, ha scritto sulla rivista Inspire, legata al movimento, che le rivolte arabe daranno più spazio ai jihadisti. E secondo fonti talebane raccolte dal Daily Beast centinaia di libici starebbero tornando dall’Afghanistan per combattere al fronte i fedelissimi di Gheddafi. A Derna nessuno nasconde che alcuni abitanti siano partiti in passato per l’Afghanistan e per l’Iraq e che tra loro c’è chi oggi combatte al fronte contro i sostenitori di Gheddafi, assieme a ex membri del Lifg. I nuovi vertici della cittadina negano però qualsiasi tipo di affiliazione ad al Qaida e accusano la propaganda del regime di voler dirottare la rivoluzione. Seduto al tavolo di uno dei pochi ristoranti aperti in città, Said al Sheari, 24 anni, jeans sgualciti e t-shirt verde, racconta di essere appena tornato dopo otto giorni al fronte. Ad addestrare i giovani di Darna, dice, è Abdel Hakim Hasidi, il nuovo responsabile della sicurezza della città, “un uomo di guerra – spiega – che ha combattuto in Afghanistan”. Hasidi ha 45 anni, indossa una giacca di pelle sulla mimetica. Ha i modi di fare e le maniere rudi dell’uomo d’armi. Ha lasciato la Libia nel 1995, proprio quando iniziava lo scontro tra Gheddafi e gli islamisti. Era ricercato dal regime per la sua assidua frequentazione della moschea, dice lui. Dopo qualche tappa in diversi paesi arabi, Hasidi è in Afghanistan dove secondo quanto rivelato a diversi giornali ha combattuto contro gli americani. “Non ho preso le armi, insegnavo arabo e mi sono sposato”, ha invece detto al Foglio. Nel 2002, racconta, è però arrestato dagli americani e consegnato due anni dopo ai libici di Saif al Islam Gheddafi. In Libia finisce in carcere due volte. Oggi coordina l’addestramento dei giovani di Darna che partono al fronte. “Sono circa 300”. Il regime nei primi giorni della rivolta lo ha accusato di essere l’emiro di “uno stato islamico di Darna”. Lui smentisce di avere legami con qualsiasi gruppo fondamentalista. Se un tempo odiava l’America al 100 per cento, dice, oggi la percentuale è scesa di molto sotto il 50. “Stiamo già combattendo assieme”. Alcuni degli uomini che sono stati in Afghanistan, Iraq e gli islamisti che negli anni 90 presero le armi contro le forze del regime sono oggi al fronte ma sono molto meno ostili verso l’occidente. “Quelle su al Qaida sono tutte voci messe in giro dalla propaganda di Gheddafi. Qui in strada, anche tra le persone più religiose, l’ideologia di al Qaida non passa – dice Mansour Hasidi, membro del comitato cittadino e parente di Abdel Hakim–- Sì, ci sono persone che sono state in Afghanistan e in Iraq e molte di loro sono state pagate dal regime”. Tarek al Majari racconta di aver combattuto a Baghdad. Nel 2003, poco prima dell’invasione americana, è partito per l’Iraq tre settimane. Si è arruolato all’università di Darna, dove c’era un ufficio speciale del regime libico che rilasciava tessere ai volontari. Ci è andato a sue spese, racconta il trentenne, un cappellino con i colori della rivoluzione in testa. Mostra una lunga cicatrice sullo stinco sinistro. “Sono stato colpito in uno scontro a fuoco con gli americani vicino all’aeroporto di Baghdad”. Ha combattuto con l’esercito e i feddayn di Saddam Hussein, “non per il dittatore, ma per il popolo iracheno. Quando ho capito che gli iracheni volevano l’aiuto americano, ho lasciato il paese”. Negli anni 80, il colonnello Gheddafi aveva incoraggiato migliaia di libici a unirsi al jihad in Afghanistan, nel tentativo di ottenere il ruolo di leader del mondo islamico, scrive sul Daily Telegraph Praveen Swami. Al loro ritorno, però, molti dei combattenti avevano usato le loro abilità militari contro il regime, facendo scattare la repressione del governo. Oggi, spiegano molti analisti, non ci sono nel paese movimenti islamisti organizzati o una chiara leadership. Tuttavia, “se c’è un vuoto di potere, ci sarà mercato per al Qaida”, ha detto alla Cnn Noman Benothman, ex membro del Gruppo islamico libico per il combattimento.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama, la Cia in campo per vincere la guerra "


Maurizio Molinari

Barack Obama e David Cameron autorizzano Cia e MI6 ad operare in Libia mentre Nicolas Sarkozy raffredda l’entusiasmo per armare i ribelli: il fronte della guerra segreta a Gheddafi lascia intendere che la Nato si prepara ad affrontare una crisi dai tempi lunghi.

A svelare la decisione di Casa Bianca e Downing Street sono «New York Times» e «Washington Post» secondo i quali entrambi i capi di governo avrebbero dato mandato ai rispettivi 007 di operare in pianta stabile contro Gheddafi. I compiti sarebbero però diversi perché mentre gli uomini MI6 sarebbero impegnati a identificare gli obiettivi per i jet della Nato, guidando con strumenti elettronici gli attacchi verso le truppe di terra del Colonnello, la Cia avrebbe invece avuto l’incarico di contattare i ribelli per stabilire un canale operativo capace di garantire l’addestramento a combattere come anche di ottenere maggiori informazioni su di loro. Obama avrebbe dato mandato alla Cia firmando un documento denominato «Finding» (Ricerca) sulla base del quale da settimane sarebbero decine gli agenti speciali attivi sul terreno, esponendosi al rischio di catture e scontri armati. Deponendo a Capitol Hill, il capo del Pentagono Robert Gates si è rifiutato di confermare o smentire tali indiscrezioni, precisando tuttavia che «nessun soldato americano si trova in Libia come chiesto da Obama». La sottile separazione fra militari e 007 consente dunque alla Casa Bianca da un lato di ribadire l’impegno a non mandare contingenti di terra in Libia e dall’altro a sostenere i ribelli, in evidente difficoltà nel confronto con le forze di Gheddafi.

La fuga di notizie coincide con il passo indietro di Parigi sulla fornitura di armi ai ribelli compiuto dal ministro della Difesa Gerard Longuet, secondo il quale non sarebbe «compatibile» con il mandato della risoluzione Onu 1973 che legittima l’intervento. L’impressione è che Parigi abbia deciso di evitare un aperto contrasto con la Nato che si era detta contraria a fornire armi, come il premier turco Erdogan ha ribadito osservando che «armare i ribelli porterebbe ad una situazione non appropriata». D’altra parte la guerra segreta iniziata da Cia e MI6 crea di fatto le premesse per armare i ribelli in maniera clandestina, come avvenuto in Afghanistan negli anni Ottanta con i mujaheddin.

La raccolta di informazioni sui ribelli da parte della Cia può inoltre aprire la strada ad un riconoscimento dell’opposizione bengasina sul modello di quanto è stato già fatto dalla Francia.

Nello scenario della guerra di 007 che sarebbe in atto rientrano le notizie pubblicate dal sito israeliano Debka secondo cui gruppi di ribelli avrebbero venduto proiettili chimici libici a Hezbollah e Hamas attraverso la mediazione di agenti iraniani.

Il FOGLIO - "Le forze speciali sono l’eredità oscura della guerra liberal "


Barack Obama

New York. Ai presidenti democratici la guerra dall’alto è sempre piaciuta. Con le bombe guidate si colpiscono le infrastrutture del nemico, si mette in ginocchio l’area che si vuole pacificare limitando al minimo i danni collaterali e un minuto dopo si vola via con l’impressione di aver fatto qualcosa di efficace e pulito, forse persino umanitario. Altro che le occupazioni di terra per decreto unilaterale. Barack Obama e “l’operazione militare cinetica” in Libia non fanno eccezione alla regola della guerra liberal fatta da Bill Clinton nei Balcani sul paradigma della doppia velocità: bombardamenti dall’alto e operazioni d’intelligence a terra. Anche Kennedy, di fronte all’instabilità asiatica, aveva scelto la via del potenziamento delle operazioni chirurgiche e clandestine creando i leggendari Navy Seals, i reparti speciali che si occupano delle operazioni più rischiose. Pubblicamente, Obama ha fatto della “no fly zone” il pezzo migliore del suo corredo presidenziale, in opposizione ideologica ai “boots on the ground”, gli anfibi che calpestano il terreno della guerra lunga, fatta di occupazione, regime change, protezione della popolazione dal basso e non soltanto grappoli lasciati cadere dal cielo; in conformità alla tradizione democratica, l’agenzia Reuters ha rivelato che per ordine del presidente certi anfibi americani il suolo della Libia lo hanno effettivamente toccato. Qualche settimana fa Obama ha firmato un “finding” presidenziale, un ordine segreto che autorizzava gli agenti della Cia a entrare nel territorio libico per raccogliere informazioni: individuare le strutture di Gheddafi da colpire, prendere contatto con il fronte dei ribelli, verificare la presenza di uomini legati ad al Qaida e agire di conseguenza. Come impone la prassi, il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha detto che “non commenta questioni di intelligence”: la natura delle operazioni della Cia è clandestina e proprio per questo statuto speciale le infiltrazioni segrete sono uno strumento bellico “morbido” che si addice all’arte della guerra di sinistra. Il numero esatto degli americani penetrati in segreto nel regime libico non è chiaro, ma non sono gli unici occidentali. Secondo il New York Times, dozzine di agenti del MI6, i servizi d’intelligence britannici, hanno raggiunto gli americani nella stazione della Cia a Tripoli e lì si sono divisi i compiti. Gli inglesi si occupano di dirigere i bombardamenti aerei e individuare i bersagli mobili; agli americani è affidato il più delicato compito di allacciare rapporti con i ribelli, capire di chi si tratta, annusare l’aria per rintracciare odori islamisti, affiancare i veterani dell’esercito che stanno addestrando un’armata messa in piedi alla meglio e fare in modo che danneggi il nemico, non se stessa. Dati gli sviluppi delle ultime 48 ore, a Langley non si potrà gridare alla missione compiuta. Una fonte della Cnn dice che gli uomini mandati dal presidente sono lì per “raccogliere informazioni politiche e militari e per entrare in contatto con i ribelli”, il che spiega in modo elementare il significato politico delle operazioni di intelligence per l’Amministrazione Obama. Per quanto il presidente possa insistere sull’operazione umanitaria benedetta dall’Onu, per avere qualche possibilità di successo la guerra aerea deve essere accompagnata da operazioni di intelligence “rafforzata” sul campo; soprattutto in un frangente in cui l’America e la coalizione hanno come suprema urgenza quella di capire chi sono questi ribelli a cui tutti speravano di delegare l’onere del regime change (naturalmente dicendo che “il popolo ha scelto di prendere in mano il proprio destino”, “stiamo assistendo al dispiegarsi della storia sotto i nostri occhi” e altre obamità del genere) e se un corso accelerato della Cia sia sufficiente a renderli se non dei soldati, almeno dagli insorti abbastanza assennati da togliere la spoletta prima di lanciare la bomba. Politicamente la strategia di Obama corrisponde ai dettami che il vicepresidente, Joe Biden, ha tentato di imporre in una tenzone con i vertici militari a proposito della guerra in Afghanistan. Biden aveva lavorato duramente per vergare una sua alternativa alla “counterinsurgency” di David Petraeus (la dottrina della protezione dei civili scendendo sullo stesso campo, condividendo spazi e vita, con tutti i rischi che ciò comporta) e l’aveva orgogliosamente chiamata “counterterrorism plus”, cioè l’antiterrorismo classico unito a un più robusto lavoro di raccolta delle informazioni sul campo. L’operazione Odyssey Dawn inizia ora a mostrare il lato oscuro della guerra, un classico della narrativa dei presidenti democratici: per quanto i bombardamenti in nome della comunità internazionale diano l’impressione di sporcare le mani meno di una guerra à la Bush, il futuro della Libia non si deciderà nella “no fly zone”.

CORRIERE della SERA - Fabio Cavalera : " Così gli 007 inglesi hanno fatto fuggire il 'maestro degli intrighi' di Tripoli "

E' stato Moussa Koussa a ordinare l'attentato di Lockerbie. Ora si trova in Gran Bretagna, ci auguriamo che la sua sorte sia diversa da quella dell'attentatore, scarcerato più di un anno fa perchè 'malato terminale' di cancro. Per leggere il commento di Angelo Pezzana, cliccare sul link
http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=115&sez=120&id=36171


Moussa Koussa

Ha preparato la fuga assieme agli 007 britannici che conosce molto bene. Con loro in questi anni ha avuto modo di scambiare un bel po’ di informazioni. Faceva comodo alle spie inglesi ascoltare la voce di «una figura chiave del regime» e faceva comodo alle spie libiche mettersi attorno a un tavolo e tenere aperto un ponte con Londra. Per l’ex capo dei servizi segreti e ministro degli esteri libico in carica, Moussa Koussa, classe 1948, è stato gioco forza affidarsi agli «interlocutori» di Vauxhall, la zona sud di Londra che ospita sul Tamigi il quartiere generale dell’MI6. Un tradimento pianificato alla perfezione proprio in coincidenza di trattativa che si è aperta, sempre a Londra, fra un consigliere (Mohammed Ismail) del figlio di Gheddafi (Said) e rappresentanti del governo di sua maestà. Il regime è al collasso, perde pezzi importanti e cerca una «exit strategy» . La defezione era pronta da giorni. Venerdì, Moussa Koussa ha conversato al telefono con William Hague, il tory che guida il Foreign Office. Di sicuro, non è stata quella l’occasione per confermarsi l’appuntamento sotto il Big Ben. «I telefoni a Tripoli sono controllati e non era il caso» ha scherzato il numero uno della politica estera nel Regno Unito. Ma entrambi sapevano. Magari qualche frase in codice se la sono pure detta. Da lì a poco, Moussa Koussa ha preso il figlio, ha superato i confini con la Tunisia, si è consegnato ed è salito su un aereo degli agenti dell’MI6. Un colpo perfetto. «Il segno che il potere di Gheddafi si sta sbriciolando» ha commentato David Cameron. E adesso, dalla notte di mercoledì, «il maestro del terrore» , così lo chiamavano, è nelle mani di Londra. In una casa superblindata, con alcuni familiari, in compagnia degli 007 inglesi, sta negoziando il suo futuro. «Vi assicuro che non è stata garantita alcuna immunità» ha precisato William Hague. Ma avere la possibilità di interrogare un uomo che conosce alla perfezione il colonnello Gheddafi, gli ingranaggi della dittatura, le trame internazionali di cui si sono resi responsabili i servizi segreti libici, i rapporti che hanno avuto negli anni Ottanta con le organizzazioni terroristiche, è come essersi aggiudicato il biglietto vincente di una lotteria ultramiliardaria. E forse ancora di più. La parabola e la storia di Moussa Koussa nascono e finiscono a Londra ma passano anche da Parigi e da Roma. Un network impressionante di «contatti di lavoro» . Nella capitale britannica, dopo la laurea in sociologia, arrivò nel 1980 come ambasciatore ma ne fu espulso perché, per sua stessa ammissione aveva approvato l’eliminazione di due oppositori del regime residenti nel Regno Unito. «Il comitato rivoluzionario l’ha deciso e io ho dato l’ok definitivo» rivelò al Times. E così fu cacciato. Rientrato a Tripoli, divenne capo dell’intelligence libica: dalla sua scrivania sono transitati gli ordini di complotti e attentati, a cominciare da Lockerbie, la bomba sull’aereo della Pan Am. Pur con un curriculum del genere, Moussa Koussa ha saputo gestire anche il disgelo con l’Occidente. Fu lui, con il beneplacito di Gheddafi, a rivelare i piani per le armi di distruzione di massa di cui il regime si stava dotando. Un «regalo» alla Cia e all’-MI6 per rompere l’embargo contro la Libia. Fra il 2001 e il 2005 le sue missioni a Londra sono state numerose. I contatti con gli 007 americani e britannici assidui. È stato il regista del rilascio di Abdel al-Megrahi, l’ex agente libico detenuto in Scozia proprio per la bomba sull’aereo Pan Am. Spietato, abile, capace di servire Gheddafi per oltre trent’anni, l’ultima missione è stata quella di affiancare il dittatore come ministro degli esteri. Nella telefonata, quella di venerdì scorso, fra le pieghe delle sue mezze parole Moussa Koussa si era mostrato con William Hague «stremato e scontento» . I tempi della defezione erano pronti. E il piano è scattato. Nel frattempo Londra negoziava con il figlio del colonnello. Forse è cominciata la fine del regime.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " La Babele d'Occidente se le forze lealiste tengono il campo "


Mike Mullen

L’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore americano, ha rivelato che l’apparato bellico libico è stato ridotto del 20-25 per cento ma non vi sono — per ora — segni di cedimento. Muammar Gheddafi ha dimostrato di saper adattare le sue forze— al massimo 20 mila uomini, forse meno— alla situazione. Cerca di resistere il più a lungo possibile. È difficile dire quanto possa durare. Però il sistema ha funzionato ed è altrettanto evidente che la coalizione non abbia impedito il tracollo dei ribelli. Almeno negli ultimi giorni. Gli alleati — specie da quando nella stanza dei bottoni c’è la Nato— hanno replicato con la confusione, i distinguo, le eccezioni. Ieri hanno ammonito gli stessi insorti: se minacciate i civili pro Gheddafi sarete colpiti anche voi. Un avvertimento che non farà piacere agli oppositori. La Babele atlantica è totale. Obama vuole che il dittatore se ne vada ma ritiene che non debba essere la forza a rimuoverlo. Però ha autorizzato la Cia ad aiutare gli insorti. Il segretario alla Difesa Gates — il meno entusiasta di questa guerra — ha sostenuto che non è compito degli americani un eventuale addestramento dei rivoluzionari. Anche l’idea di armarli ha incontrato resistenze. La Nato l’ha subito bocciata e ha anche rallentato le incursioni. Mullen dice che è colpa del cattivo tempo che impedisce azioni precise. Altri la imputano alla transizione del comando e alle divisioni interne. C’è chi ritiene che sia in linea con il mandato Onu distruggere i missili mentre non lo è dare caccia alle colonne mobili di Gheddafi. I comandi temono perdite tra i civili, è complicato distinguere gli schieramenti. Sullo sfondo emerge la diffidenza, sempre più crescente negli Usa, verso i protagonisti della rivoluzione. «Chi sono?» è la domanda rilanciata da commentatori e deputati. Dubbi che si sono uniti a una sopravalutazione degli insorti sul piano politico e militare. Incertezze nella lettura degli eventi che nascondono un nodo più serio: cosa facciamo? In questa campagna, tranne Francia e Gran Bretagna, tutti tengono un piede dentro il conflitto e l’altro fuori. L’alleanza sembra voler continuare con gli attacchi ma senza superare la linea rossa che provochi le proteste — interne — della Turchia e quelle esterne di Russia, Cina e Lega araba. Una pressione militare che ritengono possa indebolire progressivamente Gheddafi: ecco perché c’è grande enfasi per le defezioni di queste ore. Sono di sicuro importanti ma la cosca familiare che regna sulla Libia può assorbire il colpo. A meno che la famiglia del raìs non si sfaldi o cerchi soluzioni negoziate. Gates ha sostenuto che «sarà il popolo libico» a rovesciare il dittatore. Ma in che modo se gli insorti sono sulla difensiva? Molte città che hanno avuto il fegato di ribellarsi sono state punite in modo barbaro. I raid sono un aiuto, però non bastano. Servirebbe un intervento terrestre che tutti, a parte francesi e inglesi, rifiutano. È possibile che la coalizione scelga allora una linea basata su tre livelli. Incursioni per logorare l’apparato di Gheddafi, offerte generose a chi è disposto a lasciare il regime, protezione ma non supporto diretto agli insorti. Poi, chi vuole può proseguire con azioni clandestine di 007 e forze speciali. Più che un piano è una scommessa. In questa storia è legittimo aspettarsi di tutto.

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