Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Libia, dare le armi ai ribelli significa consegnarle ad al Qaeda ? Cronache e analisi di Redazione del Foglio, Maurizio Molinari, Andrea Morigi
Testata:Il Foglio - La Stampa - Libero Autore: Redazione del Foglio - Maurizio Molinari - Andrea Morigi Titolo: «Non mandate armi ai ribelli della Libia - L’uomo dei segreti abbandona Gheddafi - Il Pd trova un alleato: i Fratelli Musulmani»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/03/2011, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Non mandate armi ai ribelli della Libia ". Dalla STAMPA, a pag. 10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L’uomo dei segreti abbandona Gheddafi ". Da LIBERO, a pag. 1-11, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Il Pd trova un alleato: i Fratelli Musulmani ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Non mandate armi ai ribelli della Libia "
Non date armi ai ribelli della Libia. La prima ragione è che “siamo là per proteggere la gente, non per armarla”, come ha detto ieri con concisione cristallina il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen. La missione ha obiettivi chiari: evitare che l’armata di Gheddafi bramosa di compiere una rappresaglia esemplare sulla popolazione civile faccia irruzione a Bengasi e negli altri centri che non riconoscono il governo di Tripoli. Pompare altre armi magari più potenti nel sistema circolatorio araboafricano aperto, anzi spalancato, a chiunque non è la ricetta ottimale per diminuire la quantità di violenza. La seconda ragione è che i ribelli non sanno che farsene. Quando pochi giorni fa le truppe di Gheddafi in preda al panico sotto i raid aerei si sono ritirate da Ajdabiya e hanno abbandonato sulla sabbia mortai e razzi controcarro, i ribelli hanno mostrato capacità quasi nulle di mettere a frutto quel bottino di guerra. Non erano in grado di usare con un minimo di precisione il nuovo arsenale e neanche sapevano come manovrarlo senza farsi male. La terza ragione è che se i ribelli non brillano nella loro guerra di liberazione è perché mancano di tutto il resto, addestramento, tattica, una direzione dall’alto. Non di armi. Quando le forze del dittatore attaccano, penetrano le loro linee con l’impeto di un mattone che sfonda una finestra. Ma i giornalisti sul campo osservano con raccapriccio che i ribelli neanche si premurano di scavare trincee. Fornire loro altre armi non colmerà questo tipo di handicap. Piuttosto scavassero, mandiamo loro pale e picconi. La quarta ragione è che consegnare armi a bande irregolari di miliziani è un sentiero tenebroso e gli Stati Uniti avrebbero dovuto già imparare questa lezione. Esiste una legge dei sei gradi di separazione anche per le armi, che dice che un missile dato a un ribelle per un’indubitabile giusta causa finirà presto nelle mani di terroristi o di squadroni della morte con pessime intenzioni. La Cia ha speso dieci anni a inseguire gli Stinger forniti ai mujaheddin in Afghanistan per abbattere gli elicotteri sovietici e poi cascati in bocca al peggio del fanatismo pachistano. Ma lo stesso è successo in Nicaragua con i Contras, che puntarono in fretta le armi contro i civili invece che contro il governo marxista. Oppure in Somalia, dove le armi americane sono finite il giorno dopo l’arrivo sui banchi del mercato centrale di Mogadiscio. O in Libano, dove sono riapparse le pistole mandate da Washington in Iraq e destinate alla polizia. Anzi, spesso i gradi di separazione sono meno di sei. Quanti passaggi di mano dividono un ribelle di Bengasi che vuole battere i mercenari e liberare il paese da Gheddafi da un libico simpatizzante con al Qaida?
La STAMPA - Maurizio Molinari : " L’uomo dei segreti abbandona Gheddafi "
Maurizio Molinari Moussa Koussa
Il potente ex capo dell’intelligence libica è fuggito a sorpresa in Gran Bretagna mettendo in luce l’indebolimento del regime di Gheddafi mentre Parigi, Mosca e Washington si dividono sulla decisione di fornire armi ai ribelli bengasini. Moussa Koussa da alcuni giorni aveva fatto perdere le sue tracce e ieri l’agenzia di stampa tunisina ha svelato che nelle ultime 48 ore è stato in Tunisia, da dove è partito dall’aeroporto di Gerba giungendo a Londra in serata. La conferma è arrivata da Downing Street: «È arrivato qui di sua volontà». Moussa Koussa è l’attuale ministro degli Esteri libico ma per molti anni è stato l’onnipotente capo dell’intelligence di Gheddafi: a lui si attribuiscono i complotti per colpire i dissidenti all’estero negli anni Ottanta e ogni sorte di trame terroristiche come anche la trattativa con gli Stati Uniti che portò nel 2003 allo smantellamento del programma nucleare di Tripoli che lo stesso super 007 era riuscito ad acquistare su ordine personale del colonnello. Considerato uno degli uomini più fedeli a Gheddafi nonché in possesso dei segreti - militari ed economici della Jiamahyria, Moussa Koussa incarna il regime di
Tripoli e la sua defezione lascia intendere che fra i più stretti collaboratori del colonnello serpeggia il malumore. La decisione di Koussa premia gli sforzi di Washington, Londra e Parigi che negli ultimi giorni hanno più volte rivolto all’entourage del colonnello appelli alla defezione.
Tale sviluppo coincide però con la bagarre internazionale sulla fornitura di armi ai ribelli libici. Fonti diplomatiche a Washington assicurano che «sono stati i francesi ad aprire questo fronte» facendo sapere agli alleati di essere pronti a inviare ai ribelli le armi necessarie per fronteggiare le forze di Gheddafi. Il ministro degli Esteri di Parigi, Alain Juppé, ha confermato il sostegno all’ipotesi ma la contromossa è arrivata da Mosca, dove il collega russo Sergey Lavrov ha ribattuto: «Il Segretario generale della Nato ha detto che si sono mossi per difendere i civili non per armarli, e noi pensiamo che lui abbia ragione». Come dire: Parigi sta rompendo gli accordi alla base della coalizione che Mosca non ha ostacolato evitando di opporre il veto alla risoluzione Onu 1973. A metà strada fra Mosca e Parigi si colloca il premier britannico, David Cameron, che dice di «non escludere» le forniture di armi adoperando una formula molto simile a quella del presidente americano Barack Obama che in tre interviste tv ha ripetuto di «non escludere del tutto» l’invio di armi pur non essendo a favore di tale ipotesi. L’incertezza della Casa Bianca tradisce la presenza di opinioni differenti dentro l’amministrazione, dove il Pentagono teme che armare i ribelli porti ad un impegno di lungo termine in Libia e l’intelligence conferma la presenza di «piccoli gruppi di miliziani di Al Qaeda in Cirenaica». Secondo la Reuters, Obama avrebbe già autorizzato, firmando un ordine segreto, operazioni di appoggio ai ribelli da parte della Cia. Operazioni che secondo il sito web del New York Times sono già iniziate «da alcune settimane».
C’è poi il nodo dell’identità dei ribelli che Gene Cretz, ambasciatore Usa a Tripoli, riassume così: «Non sappiamo se possiamo fidarci di loro al 100 per cento». Bruce Riedel, ex consigliere di Obama sull’antiterrorismo, aggiunge: «I jihadisti libici che hanno combattuto in Iraq e Afghanistan stanno tornando, non sappiamo se sono il 2, il 20 o l’80% dei ribelli». A fare da deterrente è il precedente dell’Afghanistan, quando l’amministrazione Carter decise di armare i mujaheddin contro l’Armata Rossa aiutando a formare combattenti che poi sono confluiti nelle fila di Al Qaeda.
LIBERO - Andrea Morigi : " Il Pd trova un alleato: i Fratelli Musulmani"
Andrea Morigi
Abbiamo bombardato la Libia per conto del Pd e dei Fratelli Musulmani. Possiamo comunque invocare l’ormai nota formula liberatoria «a nostra insaputa». Finora, Mohamed Abdelmalik, se n’era stato tranquillamente a Londra, a presiedere Libya Watch. Parlava con la Bbc e invocava un bel bombardamento chirurgico del suo Paese per sbarazzarsi di Muammar Gheddafi. Era la fase uno, l’azione nell’ombra. Ieri, a Roma, si è presentato come il vicepresidente del Movimento dei Fratelli Musulmani in Libia e ha aperto la fase due. Accanto a lui, gli algerini Gueddouda Boubakeur e Ibrahim Chabani, direttore di Il Muslim, mensile di cultura islamica e di attualità che si stampa a Sesto San Giovanni. Oltre all’attività editoriale, Chabani commercia in libri e burkini, il costume da bagno islamicamente corretto. Escono allo scoperto, con tanto di riferimenti al Partito Democratico, a cui dichiarano di sentirsi vicini e alla Comunità di Sant’Egidio, impegnata in un’opera di diplomazia parallela. Fra i pochissimi giornalisti ad assistere alla presentazione romana all’hotel Palace, del resto, c’è Khalid Chaouki, lì per conto del quotidiano L’Unità. È stato fino al 2004 il presidente dei giovani dell’Ucoii, ora dichiara di essere il responsabile immigrazione e seconde generazioni dei Giovani Democratici. Sempre che vi siano differenze apprezzabili. Abdelmalik per non far sfigurare i potenziali alleati politici chiede che «l’Occidente ci guardi come un partito politico, non come mullah con il turbante» perché «i Fratelli Musulmani sono per la democrazia, la democrazia è un obiettivo dell’Islam, vogliamo lavorare per un sistema democratico ». Si è visto a Gaza, quando Hamas ha preso il potere attraverso un golpe armato. Per gli scettici, comunque, propone un patto di mutua assistenza: «Noi abbiamo bisognodi vendere il petrolio perchènei prossimi 10 annidovremo ricostruire il paese: ospedali, alloggi, strade». Perciò «continueremo le relazioni e gli investimenti con l’Italia, affronteremo il problema dell’immigrazione clandestina ». Non ha letto il parere del Comitato per l’Islam del Viminale, che il 3 marzo scorso si era espresso sull’Egitto avvertendo del pericolo rappresentato da «gruppi fondamentalisti particolarmente strutturati», intenzionati a trasformare «l’odierna rivoluzione politica in rivoluzione religiosa». Un esito previsto, ma da temere perché «avrebbe riflessi anche nelle realtà che, al di fuori dell’Egitto, mantengono stretti collegamenti con i Fratelli Musulmani», e vedrebbe «aumentare il flusso di finanziamenti (anche legittimi) nei confronti, fra gli altri, dell’Ucoii», che spingerebbero per qualificarsi come interlocutori politici». Ciò che effettivamente stanno facendo, provocatoriamente, con l’aiu - to discreto delle opposizioni politiche ormai filo-fondamentaliste e di cattolici senza scrupoli. Secondo la parlamentare del PdL Souad Sbai, di origini marocchine, i Fratelli Musulmani libici «parlano come se avessero inmano le redini del prossimo esecutivo libico post-bellico, parlano di democrazia e di parallelismi con l’Italia, tutto come da copione, purtroppo». Tutto «grazie al folle attacco internazionale alla Libia», tutto a vantaggio dei fondamentalisti che «oggi non hanno più nemmeno bisogno di celare i loro obiettivi».
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