Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/03/2011, a pag. 38, la breve dal titolo " Contro l’espulsione del libraio arabo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Oz, McEwan e altre 1.500 firme per salvare il libraio di Gerusalemme ".
Ecco i due pezzi, preceduti dai nostri commenti:
La STAMPA - " Contro l’espulsione del libraio arabo "

Munther Fahmi
Leggendo la breve non si capisce che cosa sia successo. L'unica cosa chiara è che il libraio palestinese deve lasciare Gerusalemme. Come mai il governo israeliano abbia preso una decisione simile, non è dato saperlo.
La breve sembra uscita direttamente da un ufficio stampa dell'Anp, l'obiettivo non è impietosire il lettore sulla sorte del libraio, ma far passare il messaggio che in Israele non puoi restare se sei un cittadino arabo.
Invitiamo i lettori di IC a scrivere a Mario Calabresi, direttore della Stampa, per chiedergli se è in grado di capire che cosa sta succedendo e perchè al libraio Munther Fahmi dopo aver letto la breve.
Eccola:
Amoz Oz e David Grossman, lo storico britannico Eric Hobsbawm, Helena Kennedy (della Camera dei Lord di Londra) e Ian McEwan sono tra i firmatari dell’appello contro l’espulsione da Gerusalemme Est del libraio arabo Munther Fahmi. Gestore e nume tutelare della libreria affacciata sul giardino dello storico hotel American Colony, una sorta di zona franca della cultura in città, Fahmi offre da anni asilo tra i suoi scaffali a chiunque confidi di poter trovare - gli uni accanto agli altri - volumi (per lo più tradotti in inglese) di autori israeliani e palestinesi, arabi e occidentali. Un polo d’attrazione, a suo modo di dialogo, che ora rischia di passare di mano. O magari di chiudere. Il libraio di Gerusalemme Est ha infatti ricevuto un ordine di espulsione firmato dal ministero dell’Interno israeliano. Molti nomi illustri hanno lanciato un appello in extremis al governo perché receda dalla decisione. La campagna di solidarietà ha raccolto finora l’adesione di oltre 1500 autori, uomini di cultura, politici, diplomatici, giornalisti.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Oz, McEwan e altre 1.500 firme per salvare il libraio di Gerusalemme "

Francesco Battistini
Leggermente più corretto della breve pubblicata sulla Stampa è l'articolo di Francesco Battistini. Almeno qui si capisce come mai Munther Fahmi sarà espulso : " Laurea a New York, passaporto americano, il libraio ha lavorato fino a 56 anni senza cittadinanza israeliana. Era un semplice residente con permessi turistici ". Il libraio sarà espulso perchè non ha la cittadinanza israeliana, e questo non ha nulla a che vedere col fatto che è palestinese. I permessi turistici hanno un tempo limitato, una volta trascorso bisogna andarsene. Stupisce che Munther Fahmi sia rimasto così a lungo a Gerusalemme (dal '93).
La motivazione della prossima espulsione, comunque, è ben nascosta dentro l'articolo, mimetizzata tra gli elogi a Munther Fahmi e i nomi degli scrittori che hanno richiesto che gli venga concesso di rimanere.
Ecco l'articolo:
Gli spiace per Ian McEwan. «Due mesi fa era in città a ricevere il Jerusalem Prize. È venuto. Ha trovato chiuso: era il turno di riposo» . McEwan non ha potuto conoscere il libraio del Colony, ma non se l’è presa. Anzi: quando gli hanno raccontato la faccenda— pure lui, nell’America di Bush, si vide rifiutare un permesso di lavoro—, il romanziere inglese ha firmato la petizione. Assieme ad Amos Oz e a David Grossman. A Eric Hobsbawm e a Helena Kennedy. A John Berger e ad Adriano Sofri. Millecinquecento scrittori, accademici, politici. Per chiedere al governo israeliano di non espellere Munther Fahmi, il libraio palestinese dell’hotel American Colony. Per proteggere il suo negozio e la più aggiornata memoria cartacea che si possa trovare, a Gerusalemme e in gran parte del Medioriente, sulla storia del conflitto arabo-israeliano. Salvate il libraio Munther. Arrivando qui, bisogna mettere in conto qualche lettura che non sia (solo) la Lonely Planet. E al bookshop del Colony, ebrei e musulmani, cristiani e agnostici, sono quasi vent’anni che passano un po’ tutti. Munther è figlio d’un preside di scuola: nato nella zona Est quand’era ancora Giordania, e lì maggiorenne quand’era già occupata dagl’israeliani, è vissuto vent’anni negli Usa. Tornò a Gerusalemme nel ’ 93. Perché tirava aria di pace e perché gli piaceva respirarla, nello storico albergo che ospitava i negoziatori di Oslo. Da allora, al libraio è capitato di consigliare titoli a Carter e a Blair, alla Ashton e a Wolfensohn. «Una volta è entrato un signore che ha comprato chili di libri. Gli ho detto: sono pesanti da portare in volo, glieli spedisco... Mi ha risposto: grazie, ma ho l’aereo personale. Era Wenner, l’editore di Rolling Stone» . Se qualcuno ha visto Miral, il film di Julian Schhnabel ambientata nella scuola di fianco alla libreria, in qualche scena ricorderà Munther: «Faccio l’avvocato di Freida Pinto. 200 dollari di paga e sono finito anche a Hollywood...» . Laurea a New York, passaporto americano, il libraio ha lavorato fino a 56 anni senza cittadinanza israeliana. Era un semplice residente con permessi turistici, come molti palestinesi di Gerusalemme. Ora però che la legge è cambiata e c’è stato un giro di vite della destra di governo, per evitare che tornino molti arabi della diaspora, anche Munther, considerato un cittadino straniero con troppo passato all’estero, ha perso il diritto di vivere dov’è nato. Oggi o domani, ogni giorno è buono: avrà un mese di tempo per chiudere bottega e smammare. In Cisgiordania o all’estero. «Quando tornai, mi dissero che i documenti non erano validi. Non era vero, ma non lo sapevo. Pur di restare, accettai il visto turistico. Adesso, non basta più» . Munther ha fatto ricorso. C’è una commissione che può andare oltre la legge, esaminare i casi eccezionali. Lui non ci spera granché. Amos Oz, sì: «Munther e la sua libreria sono monumenti. Un patrimonio della città. Non so quali ragioni burocratiche ci siano di mezzo. Non m’interessano. Se il libraio del Colony dovrà andarsene, Gerusalemme diventerà un luogo più povero».
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