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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Libero - Limes Rassegna Stampa
21.03.2011 Egitto, la sharia resta la fonte principale della sua legislazione
E' il fondamentalismo a ispirare le rivolte del mondo musulmano. Analisi di Magdi C. Allam, Carlo Panella, Dan Schueftan, Filippo Manfredini

Testata:Il Giornale - Libero - Limes
Autore: Magdi Cristiano Allam - Filippo Manfredini - Cesare Pavoncello - Carlo Panella
Titolo: «Quanti sbagli per un obiettivo giusto - Obama vittima del suo ottimismo - Il raìs minaccia: Italia traditrice»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 21/03/2011, a pag. 1-3, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Quanti sbagli per un obiettivo giusto ". Da LIBERO, a pag. 5, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Il raìs minaccia: Italia traditrice", a pag. 11, l'articolo di Filippo Manfredini dal titolo " Il referendum consegna l’Egitto ai fondamentalisti ". Da LIMES, l'intervista di Cesare Pavoncello a Dan Schueftan, vicedirettore del Centro per gli studi sulla Sicurezza nazionale dell’Università di Haifa dal titolo " Obama vittima del suo ottimismo ".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Magdi Cristiano Allam : " Quanti sbagli per un obiettivo giusto"


Magdi C. Allam

Nella guerra esplosa in Libia e che vede l'Italia in prima linea l'unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni che l'hanno scatenata e dei suoi ipotetici sviluppi regionali e internazionali, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica. Un esito che è esattamente l'opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d'ordine «libertà» e «democrazia».
Nel suo intervento dopo l'inizio dei bombardamenti aerei e missilistici francesi, americani e britannici, Gheddafi ne ha attribuito la responsabilità ai «Paesi cristiani» e ha denunciato la «nuova crociata contro l'islam». Contemporaneamente i suoi nemici interni hanno esultato per l'operazione ribattezzata «Odissea all'alba» scatenata dalla sedicente «Coalizione dei volenterosi», brandendo i kalashnikov e inneggiando «Allah Akhbar», Dio è grande. Al di là che ci credano veramente o lo facciano strumentalmente, l'islam emerge come il riferimento ideologico che ispira sia la reazione di Gheddafi per salvare il proprio potere, sia l'azione dei ribelli tesa a rovesciare il regime libico.
Sempre nelle scorse ore in Egitto il referendum popolare ha registrato la schiacciante vittoria dell'asse tra il regime militare espresso dal Partito nazional-democratico e i Fratelli musulmani, concordi nell'emendare l'attuale Costituzione per favorire il contenimento dei poteri del capo dello Stato e la crescita del ruolo dei partiti dell'opposizione e specificatamente dei Fratelli musulmani, ma soprattutto d'accordo nel non mettere in discussione l'articolo due della Costituzione che recita: «L'islam è la religione dello Stato, l'arabo è la sua lingua ufficiale, la sharia è la fonte principale della sua legislazione». Per contro è stato pesantemente sconfitto il «popolo della rivolta» che ha infiammato l'animo degli occidentali facendoci illudere che con l'allontanamento del presidente Mubarak fosse scoccata l'ora della democrazia e della libertà.
Coloro che ritraggono il regime militare egiziano e il deposto presidente Mubarak come espressione di una laicità corrispondente alla separazione tra la sfera secolare e quella religiosa, ignorano che il loro potere si fonda su una Costituzione che è l'anticamera della teocrazia. Non sorprende affatto che oggi i militari vadano a braccetto con i Fratelli Musulmani pur di salvare il proprio potere e perpetuare i propri privilegi. Il potere in Egitto da 7mila anni è stato fortemente centralizzato per la necessità vitale di garantire il controllo della gestione dell'acqua del Nilo, senza cui verrebbe messa a repentaglio la vita degli egiziani. Egoisticamente noi europei possiamo considerarci rassicurati da un potere centralizzato forte che garantisce i nostri interessi materiali. Finora ci è andata bene perché tra i militari e gli integralisti islamici, hanno prevalso i primi. Ma il rischio che prossimamente prevalgano i fautori della dittatura teocratica è sempre più consistente.
Ciò non significa che nell'eventualità che delle dittature teocratiche prendano il sopravvento dal Marocco all'Irak noi italiani ed europei non potremmo più fare affidamento sulle forniture di petrolio e gas, sui loro fondi sovrani o sull'accesso ai loro mercati. Ma significa che per poter beneficare di questi beni materiali dovremo essere pronti ad aprire le nostre porte all'ideologia del radicalismo islamico, acconsentendo che i nostri figli subiscano il lavaggio di cervello di chi predica la sottomissione al Corano e a Maometto. È ciò che con modalità diverse stanno facendo da decenni l'Arabia Saudita e l'Iran degli ayatollah. Ed è lo scenario che si prospetta sia in Egitto sia in Tunisia, dove i Fratelli musulmani e i loro omonimi di Ennahda hanno già sottoscritto un accordo con i militari che consta di due punti: 1). I militari manterranno la guida dello Stato e controlleranno la Difesa, la Sicurezza e la Politica estera. 2). Gli integralisti islamici saranno riconosciuti come la principale forza dell'opposizione e avranno mano libera nei dicasteri chiave di Affari religiosi, Magistratura e Istruzione. Sulla base di questo accordo gli integralisti islamici non presenteranno un loro candidato alle prossime elezioni presidenziali e in cambio i militari garantiranno il regolare svolgimento delle prossime elezioni legislative senza ostacolare l'eventuale trionfo dei candidati islamici. Su questa falsariga potrebbe delinearsi il dopo-Gheddafi in Libia, ma anche il futuro degli altri Paesi arabi in preda ai sommovimenti interni. Obama, Sarkozy, Merkel, Cameron e Berlusconi sono consapevoli che questa campagna militare, preannunciata a Parigi dal «Vertice per il sostegno al popolo libico», si risolverà con l'avvento al potere non di democrazie laiche e liberali ma bensì di regimi islamici, dove il ruolo dei militari sarà sempre più vacillante, che tenteranno di sottomettere anche noi alla legge coranica? E a noi italiani ed europei ci starà bene svendere la nostra anima pur di avere in cambio i beni materiali che ci permetteranno di continuare ad accumulare ricchezza per poter consumare sempre di più?

LIBERO - Filippo Manfredini : " Il referendum consegna l’Egitto ai fondamentalisti "

Sì, la costituzione egiziana sarà cambiata. Così ha stabilito, a schiacciante maggioranza, il voto del referendum. E così volevano i Fratelli Musulmani, oltre che il partito dell’ex rais Mubarak. Mentre - paradosso - duramente sconfitto esce lo schieramento che, con la protesta cominciata nel gennaio scorso, aveva portato alla deposizione del generale che l’Egitto ha guidato per quasi trent’anni. Un’affluenza alta, superiore all’80%. Con i favorevoli alle modifiche costituzionali che hanno raggiunto il 77,2, e i “no” fermial 22,18 per cento.Elemento centrale delle modifiche costituzionali approvate riguarda le prossime elezioni “libere” in Egitto: in base a questo risultato, saranno indette dall’attuale giunta militare entro settembre. Risultato auspicato proprio dai Fratelli Musulmani e dal Partito Nazionale Democratico, forze già molto organizzate sul territorio. Le altre formazioni politiche, invece, non possono contare su una struttura organizzativa degna di questo nome e sono impreparate ad affrontare una campagna elettorale. Le elezioni potrebbero quindi consegnare il Paese proprio ai Fratelli Musulmani, organizzazione che più volte ha dimostrato di tendere verso l’integralismo. Tanto più che al referendum non era stato ammesso il quesito che avrebbe potuto portare a una modifica dell’articolo 2 della Costituzione, che stabilisce nella shariala fonte della legge. E invece così rimarrà. Non solo. Saranno limitati i mandati presidenziali a quattro anni per un massimo di due incarichi consecutivi, e alcuni poteri del leader sono limitati: quello di sospendere le libertà civili e di annunciare lo stato d’emer - genza. Sarà inoltre ampliata la possibilità di candidarsi. Ma, d’altro canto, i criteri di eleggibilità del capo del governo vengono ristretti. Per esempio, è negata la possibilità di correre per la presidenza a chi ha doppia nazionalità o il coniuge non egiziano. Guardacaso, Mohamed El Baradei, l’esponente più noto fra quelli che si candidano a guidare il fronte della protesta. El Baradei ha anche passaporto svizzero ed è sposato con un’insegnante non egiziana, dunque non potrebbe aspirare alla candidatura. E anche lo scienziato premio Nobel Ahmed Zewail abita negli Stati Uniti ed è maritato con una siriana. La svolta egiziana, dunque, pare avviarsi soprattutto nella direzione preferita dal partito islamico. Non un buon segno.

LIMES - Cesare Pavoncello : " Obama vittima del suo ottimismo "


Dan Schueftan

LIMES Israele sembrava adattarsi allo status quo in Medio Oriente. Ma ora non c’è più status quo. L’Egitto può tornare a minacciare Israele?

SCHUEFTAN La situazione in Medio Oriente non è incoraggiante. Come spesso accade la scelta non è fra bene e male, bensì fra male e peggio. Sin dall’inizio della sua storia moderna, questa regione ha visto nascere e vegetare regimi che avevano poco o niente in comune fra loro sia in quanto a storia che in una proiezione futura. L’unico denominatore comune a tutti i regimi di questa regione è sempre stato – e temo che continuerà a essere anche nel prossimo futuro – l’ostilità nei confronti di Israele. Purtroppo, la visione proposta da Shimon Peres – un Medio Oriente con una struttura simile a quella del Benelux – non è cosa che riguardi questa nostra èra. Temo che gli avvenimenti in corso possano anzi peggiorare il panorama regionale.
Israele non potrà non prendere in considerazione che la realtà precedente, basata sulla tranquillità sul fronte egiziano, è cambiata. La premessa della pace con l’Egitto aveva consentito a Israele di mantenere un esercito in cui la quantità era secondaria rispetto alla qualità. Certo, ci vorrano almeno dieci-quindici anni perché gli egiziani dispongano di una forza militare che possa dare pensiero a Israele e che si distacchi dalla dipendenza dagli americani. Nel frattempo, fin quando le tendenze non saranno chiare, Israele dovrà inserire fra gli scenari possibili quello che prima era stato messo nella categoria dell’impossibile.

LIMES Pensa che i Fratelli musulmani possano giocare un ruolo decisivo in Egitto? E se sì, quale?

SCHUEFTAN Mubarak non è stato
assolutamente capace di confrontarsi con i problemi strutturali del paese e con le necessità di una popolazione così ampia, dove circa 800 mila persone ogni anno entrano nel mondo del lavoro. È dalla sensazione comune a molti egiziani di trovarsi in un vicolo cieco che sono scaturite le manifestazioni, amplificate e rafforzate dai nuovi strumenti di comunicazione – Facebook, Twitter, reti cellulari eccetera. Resta la domanda, poco rilevante ai fini pratici, se Mubarak non abbia voluto o non abbia potuto reprimere le sommosse. Il risultato è che ha lasciato il suo posto. Fin qui tutto bene: un cambiamento di tale portata ottenuto per volontà del popolo e con un livello di violenza molto basso. Il problema inizia con il dopo-Mubarak. Ci si può aspettare che il nuovo regime sarà migliore del precedente? Possiamo prendere come un dato di fatto l’idea corrente in Occidente, per cui una rivoluzione condotta da masse che sinceramente vogliono un regime migliore e pluralista porterà necessariamente a un regime migliore e pluralista? Il passato della regione indica esattamente il contrario. Faccio qualche esempio.

Primo esempio. Trentadue anni fa uscirono per le strade di Teheran centinaia di migliaia di persone che volevano un regime pluralistico. Le manifestazioni di massa riuscirono in poco tempo ad abbattere il regime dello scià – in circostanze che presentano fra l’altro non poche somiglianze a quanto è avvenuto in Egitto – e persino a determinare un breve intermezzo democratico con un governo pluralista e liberale. Passò poco tempo e il gruppo politico più compatto e meglio organizzato – quello dell’islam radicale – prese il potere. Il risultato è noto a tutti: milioni di morti e feriti, una catastrofe politica regionale (e non solo) in termini di instabilità e rischio di conflitti, e la prospettiva di una minaccia nucleare per l’intera regione. Chi si limita a guardare – come fece a suo tempo il presidente americano Carter – solo al risultato immediato, rispondendo solo agli istinti buonisti di liberalismo, pluralismo e democrazia, ha di che esultare. Chi invece pensa anche ai possibili scenari negativi ha di che essere proccupato.

Secondo esempio. Nel 2005 Condoleezza Rice esercitò fortissime pressioni sul governo israeliano, riuscendo alla fine nel suo intento, per ottenere il nostro nulla osta a che Hamas potesse prendere parte alle elezioni palestinesi. La storia si è ripetuta: il movimento più compatto e meglio organizzato ha prima avuto la meglio politicamente, entrando in un governo che doveva in ogni caso essere di coalizione, e alla prima occasione di tensione con i propri partner politici ha compiuto un Putsch di violenza inaudita, eliminando fisicamente ogni opposizione e fondando nella Striscia di Gaza quello che molti chiamano Hamastan. Diffi- cile sostenere che il regime di Hamas non rifletta la volontà del popolo. Resta comunque il fatto che nel nome della democrazia e del pluralismo si è aperta la strada a un movimento che ha impiantato un regime barbaro che oltre a essere terrorista è anche antidemocratico nella sua essenza e stronca con la violenza qualsiasi volontà di democrazia e pluralismo.

Terzo esempio. I difensori della democrazia pura hanno per anni sostenuto che la struttura politica libanese aveva in sé una distorsione: la compagine religiosa di maggiore peso – la sciita – non aveva una rappresentanza proporzionale alle proprie dimensioni. E oggi finalmente, nel nome della democrazia e con l’aiuto di non poca violenza, forza e minacce, i barbari di Hizbullah sono riusciti a prendere il controllo del governo del Libano, un paese dove oggi decidono tre campioni della democrazia mondiale: Hizbullah (riconosciuto colpevole dalla commissione d’inchiesta internazionale dell’eliminazione dell’ex presidente del Libano, Rafiq al-Hariri), Siria e Iran. Di nuovo: un governo che riflette la volontà della maggioranza del popolo ma che fa nascere alcune domande sul buon senso di chi, con il suo sostegno all’ideale della democrazia e del pluralismo, ha contribuito a un tale risultato.

Il quarto esempio non è ancora giunto a maturazione, ma il potenziale esiste tutto. La Turchia sta scivolando da una forma di pluralismo, seppure controllato dall’esercito, a un assecondamento sempre maggiore della volontà del popolo, il quale sotto la guida di Recep Tayyip Erdogan si sta allontanando dall’Occidente e avvicinando sempre più a Iran e Siria.
Il pericolo è nascosto nel fatto che non sempre si può – o in alcuni casi si vuole – distinguere fra sinceri democratici e subdoli barbari che intendono sfruttare gli strumenti della democrazia per la scalata al potere, per poi annullare ogni libertà, pubblica e individuale. Sappiamo bene che oggi c’è una prostituzione della terminologia democratica a fini che con la democrazia non hanno nulla a che vedere. E alla fine delle sommosse, delle manifestazioni e degli atti di coraggio di persone mosse dalle migliori intenzioni, guadagna il potere chi è meglio organizzato e più privo di scrupoli. E se vogliamo chiudere il cerchio del discorso e tornare all’Egitto, non c’è dubbio che la compagine politica più organizzata e con meno scrupoli è quella dei Fratelli musulmani.

C’è chi dirà: «Ma ora la situazione è in mano all’esercito, che ha dato dimostrazione di grande responsabilità». Asteniamoci per il momento dal chiederci a cosa è servito fare una rivoluzione per mandare via Mubarak e trovarsi l’esercito, sulla cui maggiore democraticità si può avanzare qualche dubbio. Crediamo pure all’esercito, quando afferma che consegnerà il potere nelle mani delle forze politiche. Ma se i militari daranno spazio a tutte le forze politiche in campo, dopo un primo periodo di giubilo e ammirazione per le nuove prospettive di libertà e pluralismo, quale credete che sarà la forza politica a prendere il predominio? Indovinato! Le probabilità maggiori sono dei Fratelli musulmani. Quei Fratelli musulmani il cui leader religioso di maggior spicco, Yusuf al-Qaradawi, oltre a sostenere da sempre e apertamente il terrorismo fondamentalista, ha candidamente affermato che la politica di annientamento di Hitler è stata positiva e che qualora ve ne sia ancora la possibilità, sarebbe da adottare. Non dobbiamo mai dimenticare che andando indietro nella storia ideologica del nazionalismo arabo radicale, questa posizione non è affatto nuova o anomala. Il primo leader del nazionalismo palestinese, Amin al-Husayni, era un fedele alleato di Hitler.
E anche ammettendo che ci sia un’altra possibilità, ossia che forse una coalizione dei movimenti liberali possa farcela a prendere il potere, si deve capire che fra il liberalismo occidentale e quello di tali gruppi, espressione di élite molto specifiche della società egiziana, non c’è quasi nulla in comune. Le posizioni di molti dei leader liberali egiziani sollevano preoccupazioni sul futuro dei rapporti con Israele.

Devo contestare la superficialità degli approcci occidentali rispetto a quanto avviene nell’area mediorientale. E non parlo solo della stampa o dell’accademia, ma anche di responsabili dei servizi di intelligence e di politici. Non si possono dare valutazioni corrette di quanto accade se queste devono passare il filtro del politically correct. In alcuni casi si assiste a forzature della realtà, come quando un alto funzionario dell’intelligence americana, qualche settimana fa, voleva convincere il mondo che i Fratelli musulmani sono un’organizzazione laica.

LIMES Ritiene che l’Egitto cambierà la sua posizione verso Israele? Per esempio il blocco di Gaza continuerà come prima o verrà allentato? E Israele potrà continuare ad accettare un Sinai che è di fatto uno spazio fuori controllo dominato dai beduini e solcato da vari gruppi terroristici?

SCHUEFTAN Mi sembra difficile
prevedere nel tempo breve-medio – una decina di anni – qualcosa di diverso da un peggioramento della situazione o, nel migliore dei casi, di uno stallo. Non mi riferisco qui né solo né particolarmente a Israele. Non ci si può scrollare di dosso il problema del Medio Oriente dicendo: «Va bene, ma questo è un problema di Israele. Che se lo risolva da solo!». L’Egitto è stato finora l’elemento di maggiore peso che controbilanciava la forza e l’influenza dell’Iran. Ma uno Stato che operi sotto l’ispirazione dei Fratelli musulmani non può assolutamente mantenere tale ruolo. In assenza di un contrappeso alla crescente influenza iraniana, sotto la quale sembra essere ormai entrata anche la Turchia, la situazione non può essere considerata positiva da nessuno che abbia a cuore la stabilità del Medio Oriente e che tema il radicalismo islamico e la sua esportazione in altre aree del mondo. Quello che deve preoccupare Israele e il mondo è la caduta del baluardo egiziano contro l’espansione dell’egemonia iraniana.

Nel futuro immediato, non penso vi saranno cambiamenti nei rapporti formali fra Israele ed Egitto. Non per quanto concerne il futuro del trattato di pace fra le due nazioni. Né temo un’escalation di tipo militare. Non dimentichiamo che l’esercito egiziano è totalmente dipendente dagli americani. Questo è un argomento abbastanza convincente per non cambiare le carte in tavola, almeno nel breve-medio termine. Per quanto riguarda il Sinai, penso che in una prima fase la situazione avrà un ulteriore peggioramento. Innanzitutto perché il Sinai e i guai che ne possono derivare a Israele non saranno fra le priorità di nessun leader che salirà al potere in Egitto. Secondo, né l’esercito oggi né un qualsiasi governo civile domani vorranno essere dipinti come esecutori degli interessi di Israele. Entrare oggi in conflitto con le tribù beduine che controllano i traffici o dare un giro di vite al blocco su Gaza, equivarrebbe a un invito per i Fratelli musulmani a scatenare la protesta. E oggi, sull’onda di quanto succede, con la sensazione diffusa fra le masse che elevando la propria voce si ottiene ciò che si vuole, nessuno – nemmeno l’esercito – accetta questo scenario. Chi vuole costruire il nuovo Egitto ha bisogno del popolo e non può giocarsene il sostegno offrendo su un piatto d’argento facili ed efficaci munizioni politiche ai potenziali destabilizzatori.

LIMES Sembra che anche l’intelligence israeliana sia stata colta di sorpresa dagli avvenimenti. Israele può permettersi sorprese del genere?

SCHUEFTAN Sono molte le cose che Israele non potrebbe permettersi e fra queste anche non prevedere il futuro. Ma chi accusa l’intelligence israeliana di non aver capito cosa stava per avvenire nei vari paesi arabi e in particolare in Egitto, non capisce quali sono le reali limitazioni dei servizi di informazione. Fermiamoci un momento e poniamoci una domanda: se quanto successo non è stato previsto da ‘Umar Sulayman e da tutta l’intelligence egiziana – che hanno un interesse primario, hanno radici ben profonde nel proprio popolo ed erano in possesso di informazioni dirette relative a tutti gli attori della scena interna – come si può accusare l’intelligence israeliana di non esservi riuscita?

LIMES Gli americani hanno dimostrato di non essere preparati alla crisi. Alla fine hanno fatto fuori il loro uomo al Cairo. È un segnale anche per voi? Insomma, l’America non ha alleati permanenti nella regione, ma solo interessi?

SCHUEFTAN Gli americani hanno sempre avuto un problema in Medio Oriente: ancora una volta hanno dimostrato di non saperne leggere la mappa, di non sapersi confrontare con la realtà e di basare la loro politica nella regione su un ottimismo infondato. Obama si spinge in questa tendenza ancora più in là di molti suoi predecessori. Continua ad agire nella convinzione che tutto il mondo abbia un concetto omogeneo di bene e di male e non riesce a capire come sia possibile che ci sia chi lo rifiuti e vada persino in direzioni contrarie. Non capisce che le belle parole urlate dalle masse – democrazia e pluralismo – non sono sempre realizzabili all’interno di determinate strutture sociali e politiche.

Ragionando freddamente
e in modo distaccato, da una potenza mondiale posso solo aspettarmi che operi in base ai propri interessi. Il fatto è che, nel nostro caso, ciò non è avvenuto. Con le loro reazioni gli Usa hanno preso una direzione esattamente contraria ai propri interessi, aprendo la strada al pericolo di un’ulteriore espansione dei movimenti radicali islamici. Anche se questa espansione potrebbe avvenire, in un primo momento, sotto la copertura di governi più aperti, più pluralisti, più accondiscendenti verso le richieste delle masse e più vicini ai nostri concetti di pluralismo e democrazia. Quindi, da un punto di vista israeliano, non posso che sperare che gli Stati Uniti tornino a guardare ai propri interessi nella regione.

Per quanto riguarda la preoccupazione di noi israeliani di ricevere un trattamento simile a quello di Mubarak, credo – con il dovuto rispetto – che ci siano fortissime differenze. Non ci si può comportare nello stesso modo con una democrazia rispetto a un regime autoritario; con un governo che rispecchia la libera volontà popolare, rispetto a uno che riflette la volontà di una singola persona. Penso che come israeliani le nostre preoccupazioni debbano essere rivolte non alla domanda se gli americani abbandoneranno noi, bensì se un paese come la Giordania debba temere che gli americani l’abbandonino. Non ritengo possibile che Obama faccia a Israele ciò che ha fatto a Mubarak, mentre ho fortissimi timori per il fatto che gli Usa hanno perso molto della residua credibilità di cui godono in Medio Oriente. Le loro minacce non creano più alcun deterrente e delle loro promesse non ci si può più fidare.

LIBERO - Carlo Panella : " Il raìs minaccia: Italia traditrice "


Carlo Panella

«L’attacco alla Libia è una nuova crociata contro l’islam»: tutto il senso del violento discorso pronunciato ieri per televisione, ma solo con la sua voce, senza la sua immagine, da Muammar Gheddafi dopo l’inizio dei bombardamenti di Usa, Francia e Inghilterra è racchiuso in questa frase. Il raìs non si rivolge tanto o solo all’Occidente, che minaccia e sbeffeggia, ma innanzitutto e soprattutto alla comunità, alla umma musulmana, perché sa bene che può farvi breccia, può trovarvi alleati, può addirittura mobilitare un largo movimento d’opinione che può mettere in difficoltà innanzitutto quel Barack Obama che ormai nessun arabo distingue da George W. Bush. Questo, non perché Gheddafi goda di una qualche simpatia nell’opinione pubblica araba o islamica - anzi - ma perché il fatto che eserciti “cristiani” attac - chino un paese musulmano, quale ne sia la ragione, anche difendere la popolazione da un dittatore, è considerato “blasfe - mo” da milioni di musulmani nel mondo. Ecco allora che il raìs costruisce il suo messaggio presentandosi come «la spada dell’islam», che si oppone al tentativo dei «crociati» di offenderne la terra: «I paesi cristiani sono dei criminali che attaccano la Libia da migliaia di chilometri di distanza, ma non permetteremo ai crociati, agli aggressori di passeggiare per Bengasi, di arrivare con le mitragliatrici, né tantomeno consentiremo ai soldati francesi e inglesi di portare qui la loro bandiera e di aggredire». Il tutto, rafforzato dalla più classica demonizzazione dell’avversario: «Noi vinceremo contro il partito di Satana col permesso di Allah». Il problema è che immediato è stato il riscontro delle grandi possibilità che ha Gheddafi di portare dalla sua parte l’opinione pubblica araba, se solo riesce a resistere - come pare sia nelle sue forze - per qualche settimana. Sempre ieri mattina, infatti, il segretario della Lega Araba Amr Moussa, che pure l’8 marzo aveva chiesto una No Fly Zone per proteggere i civili dalle brigate di Gheddafi, ha subito protestato per l’inizio dei bombardamenti, dando pieno credito alla notizia, assolutamente non verificata, dell’uccisione di 48 civili durante la prima ondata di bombardamenti: «Quello che sta avvenendo è diverso dagli obiettivi della no fly zone; quello che vogliamo è la protezione dei civili e non che ne vengano bombardati di più; le operazioni militari sono andate oltre ciò che la Lega araba aveva richiesto e appoggiato ». Il secondo pilastro su cui Gheddafi ha costruito il suo discorsoètutto destinato al fronte interno e si impernia sulla continuità che lui ha sempre usurpato tra sé stesso e Omar al Mukhtar, il leggendario eroe della resistenza libica contro gli occupanti italiani (che lo impiccarono) negli anni trenta. Dunque, Gheddafi campione della lotta al colonialismo: «Questa guerra sarà combattuta tra il popolo libico e il nuovo colonialismo, ma questa volta non saremo noi a morire; noi ne usciremo vincitori; abbiamo già sconfitto gli italiani e ora saranno i vostri regimi a cadere; non importa quanto siano grandi i vostri eserciti, lo sapete bene; non siamo preoccupati dei vostri aerei; siamo più forti di voi, perché abbiamo una volontà di ferro; lotteremo per ogni piazza, per ogni strada di questo paese». Poi, lo scherno, abituale nei torrenziali discorsi del leader di Tripoli: «Barbari, terroristi, mostri, criminali, il vostro unico scopo è di appropriarvi del nostro petrolio; avete attaccato il civile popolo libico che non vi aveva fatto nulla, ma il terreno libico sarà per voi l’inferno, sarete sconfitti, come già siete stati sconfitti in Iraq e in Somalia, come vi ha sconfitto Bin Laden e siete stati sconfitti nel Vietnam!». Infine, ma non per ultimo, l’attacco frontale al nostro paese: «Italia, sei una traditrice! ». Insulto nonnuovonella retorica di un raìs che il 15 aprile del 1986 lanciò due Scud su Lampedusa (ma caddero in mare) per vendicarsi di un’Italia alleata degli Usa che avevano appena bombardato Tripoli con la sesta Flotta, preludio ad una possibile vendetta qualora non venga defenestrato da questa guerra. Nel complesso, un discorso classico della retorica del Colonnello, ma con una novità di non poco conto: se è vero l’annuncio di avere deciso di distribuire armi al popolo –ed è fondamentale verificare questa mossa - questo significa che in realtà Gheddafi si fida e si può fidare di una parte non piccola della popolazione di Tripoli e soprattutto delle tribù libiche (a iniziare da quella strategica dei Warfalla, di un milione di persone). Se questo è vero, gli scenari futuri saranno molto, molto complessi.

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