martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Giornale-IlSole24Ore Rassegna Stampa
19.03.2011 Guerra a Gheddafi
I commenti di Fiamma Nirenstein, Christian Rocca

Testata:Il Giornale-IlSole24Ore
Autore: Fiamma Nirenstein-Christian Rocca
Titolo: «L'Italia si ritrova al fronte per forza-E il sasso è di Obama (che nasconde la mano)»

La Libia è l'argomento che apre tutti i giornali di oggi, 19/03/2011. Tralasciamo le cronache, che tutti avranno seguito, per riprendere i due commenti più interessanti, quello di Fiamma Nirenstein, perchè dobbiamo sbarazzarci di Gheddafi, e quello di Christian Rocca, che vede in Obama il regista occulto dell'azione militare.
Ecco gli articoli:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " L'Italia si ritrova al fronte per forza "


Fiamma Nirenstein

Siamo a una bella svolta, cerchiamo di non averne pau­ra. Si muovono le portaerei nel Mediterraneo, la Nato si organizza, le basi militari so­no in agitazione. La strada del­la no fly zone e dell’estromis­sione di Gheddafi dalla tavo­la delle Nazioni dopo le sue azioni sanguinose di questo ultimo mese e dopo la parole di pazzesca minaccia, ha fat­to il suo corso, e oggi ne siamo parte integrante. Anche il Par­lamento italiano tutto, nelle sue Commissioni esteri e dife­sa convocate d’urgenza, ha ra­tificato la scelta del governo. Ai tempi della Serbia, nel ’99, il governo si mosse senza chiedere il permesso a nessu­no. La scelta è maturata lenta­mente, con sofferenza, con i soliti tentennamenti di Oba­ma, con l’Europa spaccata a metà, fra guasconate francesi e atteggiamenti troppo astuti e alla fine melensi della Ger­mania. Poi tutti sono arrivati a decidere insieme che con Gheddafi non si può andare avanti. Ognuno avrà un ruolo diverso,ma l’insieme dei Pae­si o­ccidentali si è schierato in­sieme, ha avuto la forza di evi­tare i veti di Cina e Russia, si è trascinato dietro la Lega Ara­ba, la Nato, tanti Paesi fuori dell’UE che vogliono unirsi al­l’impresa. È un principio ele­mentare quanto indispensa­bile e per niente ovvio nel no­stro tempo: i dittatori sangui­nari non possono essere sop­portati, anche se la realpolitik talora spingerebbe a chiude­re tutti e due gli occhi. La riso­luzione 1973 del consiglio di sicurezza dell’ONU batte mol­ti record: non si era mai vista tanta convergenza intorno a una risoluzione basata su uno dei principi fondanti del­­l’ONU, la «responsabilità di proteggere», che le Nazioni Unite avevano da tempo di­menticata, tutte prese nelle lo­ro maggioranze automatiche che invece spesso proteggo­no i dittatori in assemblea e nelle commissioni, per esem­pio dei diritti umani o per le donne. E invece stavolta sia­mo arrivati a una stessa con­clusione noi del mondo de­mocratico: gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra, l’Italia abbiamo imposto la nostra vi­sione del mondo e abbiamo costretta la vecchia carcassa a dire alcune cose che ci stan­no a cuore, e noi italiani l’ab­biamo fatto un po’ eroica­mente, pieni di preoccupazio­ne. Gheddafi abita molto vici­no, ci sta quasi attaccato ad­dosso, quel braccio di mare è così piccolo, valanghe di im­migrati possono riversarsi da noi se dovesse cominciare un bombardamento aereo o d’al­tro tipo; senza Gheddafi non sappiamo cosa può accade­re, ma un raìs ferito e soprav­vissuto potrebbe fare di noi l’oggetto del suo odio più ac­canito.
Eppure l’Italia unica è andata a Bengasi a portare aiuto umanitario, unica ha stabilito contatti con i ribelli. Giocando a dadi sulle loro ve­­re intenzioni, certo, ma ci fare­mo i conti quando saranno salvi. E noi avremo più forza per farceli.
L’apprezzamento è stato grande. Ci siamo fatti paladi­ni presso l’Unione Europea di quel pattugliamento del Mediterraneo che ora pare debba essere un pilastro del
cessate il fuoco base del lavo­rio internazionale.
Ci sono due cose molto im­portanti che non sappiamo: come finirà e chi sono coloro che vogliono sostituire Ghed­dafi. Ma sappiamo però, di nuovo, che siamo vivi. Fino a ieri lo erano solo l’Iran che ap­profittando della confusione attanaglia con le sue chele il canale di Suez e porta armi a Gaza tramite la Siria, e l’Ara­bia Saudita, che a sua volta contro il pericolo sciita man­da i suoi mercenari in Bahrein a aiutare il re. Due grandi forze in movimento. E noi, dove eravamo finora? Adesso fra mille rischi ci sia­mo, secondo i nostri principi e su una larga base unitaria. Anche i successori di Ghedda­fi, se ci saranno, dovranno ri­spettarci di più e credete a una giornalista che si occupa di mondo arabo da molti an­ni: il rispetto è tutto da quelle parti. E anche i dittatori come Assad di Siria, o i prepotenti, come gli hezbollah in Libano, saranno meno temuti dalla lo­ro povera gente, e da noi stes­si. Da lontano, c’è chi guarda e protegge, e siamo noi. O al­meno, stiamo studiando per questo.


IlSole24Ore-Christian Rocca: "E il sasso è di Obama (che nasconde la mano)"


Gheddafi            Obama                  Christian Rocca

Per ora, è un capolavoro politico di Barack Obama. Anche se non sembra. La risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che ha autorizzato per motivi umanitari l'uso della forza in Libia, ma non l'invasione terrestre, è il prodotto di una contraddittoria, a tratti scombinata, ma infine efficace strategia della Casa Bianca.

Sia pure in ritardo e tra mille tentennamenti, Obama è riuscito a far passare un'eventuale operazione militare americana per cambiare il regime di Gheddafi (regime change) come un'iniziativa della Lega Araba, come una richiesta della popolazione civile libica, come una bizzarra fissazione della Francia, come un'emergenza internazionale condivisa e vidimata da una risoluzione delle Nazioni Unite.
Il testo Onu non è stato presentato dagli Stati Uniti, ma dal Libano, un paese arabo e islamico. Gli sponsor sono stati la Francia e, più defilata, la Gran Bretagna. Cina e Russia non si sono opposti. I primi raid aerei saranno francesi, così come la leadership ideologica (a Bengasi hanno festeggiato con i tricolori di Francia). Le basi saranno italiane. Emirati Arabi e Qatar parteciperanno alle operazioni belliche.

I critici di Obama sostengono che l'America abbia perso lo status di leader mondiale. Ma a guidare gli eventi c'è sempre Washington. La preoccupazione di Obama è di non lasciare le impronte. Un'iniziativa made in Usa avrebbe scatenato alcune piazze islamiche, mobilitato le masse pacifiste europee e aperto un fronte politico interno molto pericoloso a un anno dalle elezioni.

Uno come George W. Bush avrebbe convocato più volte il paese in tv, spiegato l'obbligo morale dell'intervento e agito unilateralmente, attirandosi le accuse di arroganza imperiale. Bill Clinton sarebbe stato più suadente, avrebbe simulato un grande interesse per le liturgie della comunità internazionale e agli americani avrebbe trasmesso empaticamente la sofferenza delle vittime libiche, ma alla fine sarebbe intervenuto unilateralmente anche senza l'Onu, come fece in Kosovo.

Il modello Obama è diverso, più sfuggente. In Afghanistan ha triplicato il numero dei soldati rispetto a Bush, ma ha vinto ugualmente il Nobel per la Pace. Nel 2010 ha bombardato 117 volte in territorio pakistano (815 le vittime accertate). Quest'anno siamo già a 19 attacchi e a 104 morti. La Casa Bianca però non ne parla. Ufficialmente quei bombardamenti con i droni non esistono. Caso chiuso.

In origine Obama non aveva alcuna intenzione di intervenire. Sono stati gli eventi, l'emergenza umanitaria e la pressione internazionale a costringerlo. Obama non crede che la Libia sia strategica per gli interessi nazionali statunitensi. Non vuole impelagarsi in un'altra guerra con il quarto paese islamico in nove anni. Non è nemmeno certo di avere le risorse necessarie ad aprire un altro fronte.

Spinto da alcuni suoi collaboratori interventisti, come la Pulitzer Samantha Power che ha studiato la tragedia balcanica e come prevenire i genocidi, il presidente ha però colto l'occasione per riallineare gli interessi ai valori americani. «Gheddafi se ne deve andare», ha detto. Per alcune settimane è sembrato immobile, ma cercava il consenso. Ora tutto è pronto, anche se il ritardo costerà caro.

Il regime libico ha cambiato tono. Il cessate il fuoco è perlomeno ambiguo, ma c'è la sensazione che la voce grossa dell'Onu possa convincere Gheddafi a lasciare. Ai tempi di Saddam, l'Onu si è tirata indietro. Al Consiglio di Sicurezza, del resto, c'era un uomo di Chirac, non di Sarkozy. Nel 2003 Saddam si era convinto che l'opposizione della Francia, il no della Germania e la mobilitazione pacifista occidentale avrebbero fermato Bush, Blair e gli altri paesi della coalizione dei volenterosi. Ora Gheddafi non è più in grado di fare quella scommessa.

Obama spera che il Colonnello lasci o che la parte più ragionevole del regime lo tolga di torno. Ma la speranza non è una strategia. Quando i caccia si alzano in volo e le navi lanciano i missili l'esito non è mai scontato. Il capolavoro politico di Obama sarà sottoposto a un test più difficile. Ma il precedente iracheno dimostra che la sfida vera si apre dopo la caduta del regime. Saranno pronti, questa volta, i piani per il dopo Gheddafi, per la stabilizzazione e per la ricostruzione della Libia?

Per inviare al propria opinione al Giornale, Il Sole24Ore, cliccare suklle e-mail sottostanti.


segreteria@ilgiornale.it
letterealsole@ilsole24ore.com

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT