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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
18.03.2011 L'Onu autorizza l'intervento armato in Libia
Cronache e commenti di Maurizio Molinari, Paola Peduzzi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Paola Peduzzi
Titolo: «Come nel '99 in difesa del Kosovo - Ora che Obama reagisce si capisce com’è inattivo il mondo senza America»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 18/03/2011, a pag. 1-8, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "  Come nel '99 in difesa del Kosovo  ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Paola Peduzzi dal titolo " Ora che Obama reagisce si capisce com’è inattivo il mondo senza America ".
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Come nel '99 in difesa del Kosovo "


Maurizio Molinari

L’ Onu autorizza l’intervento armato per difendere Bengasi accerchiata dalle forze del colonnello Gheddafi, che replica minacciando fuoco e fiamme in tutto lo scacchiere del Mediterraneo. Con dieci voti a favore e cinque astensioni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione 1973, che prevede non solo l’immediata «no fly zone» sui cieli della Libia ma anche il ricorso ad «ogni mezzo necessario» per «proteggere i civili» con particolare riferimento alla «zona di Bengasi». L’unica limitazione è l’impegno a «non inviare forze di occupazione», dunque truppe di terra, ma per il resto il richiamo al capitolo VII della Carta dell' Onu legittima ogni tipo di azione militare «per il mantenimento della pace e della sicurezza».

E’ l’ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Mark Lyall Grant, a spiegare quanto avvenuto: «Le forze di Gheddafi già colpevoli di gravi crimini contro i civili sono a ridosso di una città di un milione di persone e con 2500 anni di Storia». L’ accelerazione al Palazzo di Vetro nasce dal timore che l’assalto a Bengasi da parte delle forze di sicurezza guidate da Khamis Gheddafi, figlio del colonnello (ma ieri l’altro fratello, Saif al-Islam, annunciava un cambiamento di tattica con la rinuncia all’offensiva), possa innescare una strage di immani dimensioni.D’altra parte il colonnello lo avvalora tuonando alla radio: «Vi stiamo venendo a prendere, vi troveremo anche dentro gli armadi, arrendetevi deponendo le armi altrimenti non avremo pietà». Anche la scelta di affidare l’assalto alle forze di sicurezza - polizia e intelligence - e non all’esercito lascia intendere cosa si stapreparando. Parigi, Washington e Londra hanno raggiunto l’intesa sul testo di una seconda risoluzione che segue la 1970 sulle sanzioni economiche, raccogliendo altri sette voti favorevoli nel Consiglio di Sicurezza: Bosnia, Gabon, Nigeria, Sud Africa, Portogallo, Colombia e Libano.L’assenzadi riferimenti a truppe di terra nonè bastata ad ottenere l’avallo di Mosca e Pechino che si sono astenute assieme a Germania, India eBrasile.Le trattative precedenti al voto hanno visto l’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice impegnata in una maratona di incontri assieme ai colleghi di Parigi e Londra, nel tentativo di ottenere ilmassimo dei voti,ma le resistenze di Germania, India e Brasile hanno complicato il negoziato, consentendo un’approvazione a maggioranza semplice rispetto all’unanimità con cui passòla 1970. L’accelerazione diplomatica è stata decisa daUsa, Francia eGran Bretagna sulla base della comune considerazione che «la no fly zone non basta più» come ha sottolineato Susan Rice, in quanto la rapida avanzatadelle forzediGheddafi inCirenaica fa temere la possibile caduta diBengasi, roccaforte dei ribelli, con il conseguente rischio di vendette sanguinose contro la popolazione che a metà febbraio diede inizio alla rivolta. Da qui l’ipotesi, avvalorata da portavoci di Parigi, che unattacco aereo dellaNato contro le truppe di Gheddafi possa scattare «nelle ore immediatamente successive» all’approvazionedel testodapartedel Consiglio di Sicurezza. Il Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, assicura che «l’Alleanza èpronta adagire in qualsiasi momento» perché «il tempo stringe». Anche i portavoce della Lega Araba, da NewYork e il Cairo, hanno assicurato «pieno sostegno e partecipazione » all’operazionemilitare, destinata ad avere «fini umanitari » come autorizzato dalla risoluzione 1970, redatta sulla base del capitolo VII della Carta dell’Onu che prevede interventi per «preservare pace e sicurezza ».E’ sulla base dello stesso capitoloVII che nel 1999 laNato intervenne neiBalcani per proteggere la popolazione del Kosovo dalle forze ex jugoslave diSlobodanMilosevic. Se la cornice legale e lemotivazioni strategiche della nuova risoluzione sono oramai definite, resta invece il top secret sul tipo di opzione militare che le forzeNato ed arabe seguiranno per tentare di salvare Bengasi dallamorsa delle truppe libiche. Anche perché l’obiettivo resta, come conferma un portavoce delDipartimento di Stato, «l’abbandono del potere da parte di Gheddafi». L’ipotesi più discussa, inerente a raid aerei e bombardamenti navali, potrebbe infatti risultare insufficiente se le forze ribellinon avrannola capacitàdi contrattaccare.Acomplicare i piani militari c’è anche il nodo diplomatico dell’Unione Africana che, a differenza della LegaAraba, non si è schierata a sostegno dell’intervento e dunque impedisce di adoperare il territorio dei Paesi del Sahel per lanciare operazioni dentro i confinidellaLibia. Poco prima dell’approvazionedellarisoluzione, il colonnello ha tuonato da Tripoli affermando che «qualsiasi tipo di azione da parte delle Nazioni Unite sarà illegale»minacciando rappresaglie: «Ogni intervento militare contro di noi metterà a rischio il traffico aereo e marittimo nel Mar Mediterraneo» e «tutte le strutture civili emilitari diventeranno legittimo obiettivo del nostro controattacco», sottolineando che «i pericoli per ilMediterraneo saranno nelbreve e lungo termine».Un linguaggio mirato ad ammonire i vicini arabi ed europei sui rischi a cui vanno incontro scegliendo di partecipare all'attacco.

Il FOGLIO - Paola Peduzzi : " Ora che Obama reagisce si capisce com’è inattivo il mondo senza America "


Paola Peduzzi

Milano. La primavera araba – che con le rivolte in Libia, in Bahrein, in Yemen ha perso il suo slancio pacifico: molti analisti sostengono che ormai sia “over”, passata, è arrivato l’autunno – ha mostrato al mondo com’è la politica internazionale quando gli Stati Uniti rinunciano alla loro leadership. Indecisa, divisa, inefficace, lenta. Ieri infine l’Amministrazione Obama ha abbandonato la riluttanza nei confronti della questione libica e, con piglio aggressivo, si è presentata al Consiglio di sicurezza dell’Onu chiedendo di andare oltre alla “no fly zone” e mettere a punto blitz mirati immediati sui carri armati e sull’artiglieria pesante delle forze del colonnello. E’ bastato l’annuncio che l’iniziativa internazionale ha trovato nuovo stimolo: il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha detto: “L’Alleanza è pronta a proteggere la popolazione civile se ce n’è dimostrabile necessità, con una chiara base legale e con un forte sostegno regionale”. I francesi hanno dichiarato poco prima del voto all’Onu – secondo alcune fonti nessun paese era intenzionato a porre il veto – che erano pronti a partire già ieri notte con gli aerei per difendere i ribelli. L’Amministrazione Obama, ispirata dai realisti – mai visti tanti di loro imperversare sulle pagine dei giornali – e dal dipartimento di stato (realista), aveva finora deciso di lasciare l’iniziativa di un’azione libica all’Europa, alla Nato, ai paesi della regione, all’Onu, cioè al multilateralismo. Il vuoto di leadership è stato così riempito da Gheddafi, che ne ha approfittato per arrivare fino a Bengasi a fare giustizia dei rivoltosi, uno a uno. Chi sostiene l’attendismo obamiano ha trovato molte giustificazioni: la “sindrome irachena”, cioè l’allergia a una campagna di guerra unilaterale, ancorché giusta; l’“intervention fatigue”, cioè la stanchezza di un paese che è in guerra da troppi anni e con troppi drammi; la certezza che l’Europa, vicina di casa della Libia, avesse a disposizione mezzi e intelligence superiori a quelli americani, e che potesse usarli meglio; il mantra adottato anche in Europa del “lasciate la rivoluzione libica ai libici”, cioè la paura che le rivolte si ritrovassero addosso l’etichetta “made in occidente”. Ma la mancanza di iniziativa ha portato un altro risultato, sottolineato da Daniel Henninger sul Wall Street Journal: il fallimento dell’internazionalismo (oltre che il collasso dell’establishment democratico moderno e della sua politica estera). Come già accadde nei Balcani negli anni 90, soltanto la decisione americana di intervenire con o senza il mandato dell’Onu – pure allora con parecchie indecisioni, tanto che oggi l’allora presidente Bill Clinton rimpiange di non essere stato più rapido – determinò l’inizio dell’operazione contro Milosevic (fino a quel punto “contenuto” con sanzioni, nonostante il massacro di Srebrenica). La leadership americana è stata ancora più significativa, e contestata, in Afghanistan contro i talebani e in Iraq contro Saddam. Quando Washington ha lasciato l’iniziativa all’Onu c’è stato il genocidio in Ruanda, c’è il genocidio in Darfur, c’è la guerra civile in Costa d’Avorio, c’è la Libia. L’azione all’Onu di ieri dimostra che infine Obama è stato costretto a schierarsi, sempre all’interno del multilateralismo. Secondo le indiscrezioni il presidente terrà un discorso importante sulla politica estera nell’imminente viaggio in sud America. Ma come ha scritto Victor Davis Hanson, Obama assomiglia ad Amleto, grandioso a parole e inefficace nelle azioni, e – ricorda sconsolato lo storico – il principe danese “non ha quasi mai agito in tempo”.

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