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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Rassegna Stampa
13.03.2011 Hitler, Amin el-Husseini, il nazismo islamista
Come Sergio Romano attenua, nasconde, scarica, ed il male assoluto evapora

Testata:
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La dannata alleanza fra nazisti e islamici»

"La dannata alleanza fra nazisti e islamici", un buon titolo quello del GIORNALE di oggi, 13/03/2011, a pag. 26, per la pubblicazione della prefazione di Sergio Romano al libro di Jeffery Herf  "Propaganda nazista  per il mondo arabo" uscito nelle edizioni Altana.
Romano si conferma per quello che conosciamo da sempre, quando l'evidenza storica non può essere negata, lui l'ammorbidisce, cerca di diminuirne le responsabilità, come quando scrive "
l’antisemiti­smo tedesco ha finito per conta­minare alcuni settori dell’opi­nione pubblica araba", attribuendo l'antisemitismo arabo ad 'alcuni settori' e non alle società arabe nel loro insieme, come invece l'attuale politica degli stati arabi contro Israele, fino ad invocarne l'annientamento, lo dimostra.
E' il Romano che conosciamo, la cui preoccupazione prioritaria è far sembrare il pericolo del fondamentalismo islamico una preoccupazione esagerata dell'Occidente, non a caso conclude con "
A me sembra tut­tavia che questo sia «antisemiti­smo di guerra » e appartenga al­la categoria di quelle immagini del nemico che gli Stati costrui­scono nei periodi di grande ten­sione per mobilitare la propria società e screditare l’avversa­rio."
Malgrado ciò la sua credibilità di storico permane intatta, anche presso organi di stampa che dovrebbero essere più accorti.
Un suggerimento al nostri lettori, porre queste domande ad Alessandro Sallusti, direttore del GIORNALE, la e-mail è a fondo pagina.
Ecco l'articolo:


Sergio Romano            Alessandro Sallusti

Dopo l’avvento di Hitler al potere la strategia ara­bo musulmana della Germania acquista nuova dimensione e una più radicale coerenza. Mentre ricerca lo scontro e, se necessario, la rottu­ra, il Terzo Reich si prepara a dif­fondere il verbo nazista là dove la sua propaganda può servire a conquistare alleati e a imbaraz­zare nemici. Esiste tuttavia una difficoltà. Come predicare agli arabi e ai musulmani una ideo­logia che teorizza la superiorità della razza ariana e, di conse­guenza, la loro inferiorità razzia­le? La Turchia e l’Egitto chiese­ro chiarimenti, i persiani soste­n­nero di non essere meno ariani dei tedeschi. E il ministero degli Esteri del Terzo Reich cercò acrobaticamente di conciliare il credo ideologico del regime con le esigenze della propagan­da.
Fortunatamente per la Ger­mania entrò in scena, a questo
punto, il Gran Mufti di Gerusa­lemme. Amin el-Husseini era nazionalista, detestava gli ebrei ed era convinto che la dichiara­zione di Balfour, con cui la Gran Bretagna aveva promesso al movimento sionista un focola­re palestinese, fosse responsabi­le di tutti i mali che affliggevano la popolazione araba della Pale­stina. Chiunque fosse nemico degli inglesi, quindi, sarebbe stato il suo amico. E chiunque fosse nemico degli ebrei sareb­be stato il più prezioso dei suoi alleati. Per meglio convincere i suoi interlocutori tedeschi so­stenne che il fascismo, il nazi­smo, le ideologie antidemocra­tiche e naturalmen­te l’antisemi­tismo corrispondevano alle tra­dizioni e alle esigenze politico­sociali del mondo arabo. Le sue aperture verso la Germania eb­bero­l’effetto di convincere Ber­lino che la componente antise­mita dell’ideologia nazista avrebbe aperto al Terzo Reich le porte del Medio Oriente. Fu questa la ragione per cui la Ger­m­ania decise di mettere in cam­po, per la costruzione di una macchina di propaganda, il grande capitale degli studi orientalisti che aveva accumu­lato nei decenni precedenti: un patrimonio più cospicuo di quello dell’Italia dove gli studi arabi erano stati coltivati soltan­to in un num­ero limitato di uni­versità e istituti culturali. Il risul­tato, da allora alla fine del con­­flitto, fu una massa considerevo­le di trasmissioni radiofoniche e di libelli in cui dominava la te­si se­condo cui fra nazismo e isla­mismo esistevano straordina­rie affinità elettive. Le trasmis­sioni e i proclami di Berlino so­no infarciti di riferimenti al Co­rano intesi a dimostrare che l’antisemitismo è un tratto di­stintivo della religione islami­ca, una specie di sesto pilastro dell’Islam.
Per qualche anno, sino al 1942, la macchina della propa­ganda tedesca dovette tenere conto dell’esistenza di una fon­d­amentale differenza tra gli sco­pi di guerra del Reich e quelli dell’Italia.Mentre i tedeschi era­no disposti a promettere che avrebbero sostenuto, dopo la fi­ne della guerra, l’indipendenza di tutte le nazioni arabe, l’Italia
concepiva il proprio ruolo nel Mediterraneo come quello di un impero coloniale. Ma non appena il peso dell’alleato italia­no, nel corso del conflitto, diven­ne meno rilevante, la propagan­da di Berlino non esitò a sposa­r­e la causa della rinascita nazio­nale degli arabi e a esprimere persino una sorta di rammarico per la loro sconfitta in Spagna al­la fine del XV secolo. Il punto più alto di questo connubio fu la creazione di una legione di SS bosniache che portavano, insie­me alle mostrine del corpo di ap­partenenza, il fez rosso (come nei corpi musulmani dell’Impe­ro austro-ungarico), decorato da una scimitarra. Esistono foto­grafie in cui Amin el-Husseini tiene a battesimo la Legione e passa in rassegna le sue reclute. Lo stesso Husseini creò un «Isti­tuto per l’Imam», destinato ad addestrare i religiosi che avreb­bero servito come cappellani militari, e il comandante tede­sco della divisione – scrive Herf – riferì che militari e civili, in Bo­snia, avevano cominciato «a ve­dere nel nostro Führer la missio­ne di un secondo profeta». Fu persino necessario decidere se fosse opportuno individuare in Hitler il Mahdi, giunto in terra «per aiutare i fedeli a fare trionfa­re la giustizia ». Ma venne ritenu­to più opportuno promuoverlo al rango di Gesù (in arabo Isa) «di cui il Corano predice il ritor­no come un cavaliere [...] che sconfigge i giganti e il re dei giu­dei, che apparirà alla fine del mondo».
Herf avverte il lettore che l’ignoranza dell’arabo non gli ha permesso di condurre la sua ricerca sui testi utilizzati dalla propaganda tedesca nella lin­gua di coloro a cui erano indiriz­zati. Ma ha fatto uno straordina­rio lavoro di scavo e ha riportato alla luce una grande messe di materiale inedito di grande inte­resse e importanza. Ne trae la convinzione che fra nazismo e fondamentalismo esista un evi­dente legame e che l’atteggia­mento dei musulmani verso lo Stato d’Israele sia stretto paren­te di quello che ispirò alla Ger­mania il genocidio ebraico del­la Seconda guerra. È una tesi si­mile a quella dell’islamofasci­smo, sostenuta da alcuni studio­si americani negli scorsi anni. A me sembra piuttosto che l’alle­anza fra il Mufti di Gerusa­lemm­e e il Terzo Reich fosse co­struita su una duplice bugia e su
reciproche convenienze. I na­zionalisti musulmani mentiva­no quando sostenevano che l’ideologia nazista fosse compa­tibile con il Corano. E i tedeschi mentivano quando sosteneva­no che l’ideologia nazista non considerasse gli arabi alla stre­gua di una razza inferiore. Esi­stono, anche fra le carte rinve­nute da Herf, molte prove della scarsa considerazione in cui il Terzo Reich teneva gli arabi. Ma ciascuna delle due parti pen­sa­va di potere trarre dall’allean­za grandi vantaggi: la vittoria contro la Gran Bretagna per la Germania,l’indipendenza per i nazionalisti palestinesi, egizia­ni, siriani e iracheni.L’integrali­smo islamico, del resto, non ave­va ancora l’importanza e le di­mensioni che avrebbe assunto dopo il fallimento delle moder­nizzazioni occidentali negli Sta­ti arabo­musulmani del secon­do dopoguerra.
È certamente vero, come ri­corda Herf, che l’antisemiti­smo tedesco ha finito per conta­minare alcuni settori dell’opi­nione pubblica araba. Nasser si servì di un ex propagandista na­zi­sta per le campagne del mini­stero egiziano dell’Informazio­ne e usò i Protocolli dei Savi di Sion per meglio screditare lo Stato d’Israele.A me sembra tut­tavia che questo sia «antisemiti­smo di guerra » e appartenga al­la categoria di quelle immagini del nemico che gli Stati costrui­scono nei periodi di grande ten­sione per mobilitare la propria società e screditare l’avversa­rio. Quanto più lungo è il conflit­to e quanto più esasperati sono gli animi,tanto più il nemico vie­ne r­appresentato come l’incar­nazione del male assoluto. Ac­cadde in ambedue i campi du­rante la Grande guerra, la Se­conda guerra mondiale e la guerra fredda. Una ragione di più per sperare che finisca, con la soluzione della questione pa­­lestinese, una feroce guerra di propaganda destinata ad avve­lenare ulteriormente gli animi di due popoli destinati a convi­vere.

Per inviare la propria opinione a Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, cliccare sulla e-mail sottostante.


segreteria@ilgiornale.it

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