Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
In Arabia Saudita il regime spara sui manifestanti Cronache di Francesca Paci, redazione del Foglio
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Francesca Paci - Redazione del Foglio Titolo: «Riad, si spara sulla folla - E se i sauditi fanno una rivoluzione, ma non viene nessuno?»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/03/2011, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Riad, si spara sulla folla ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " E se i sauditi fanno una rivoluzione, ma non viene nessuno? ". Ecco i pezzi:
La STAMPA - Francesca Paci : "Riad, si spara sulla folla "
Alla fine anche l’Arabia Saudita ha udito forte e chiaro il suono che in Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, Libia, ha preceduto l’arrivo della primavera araba, l’eco sinistra degli spari nelle strade affollate di manifestanti. Ieri sera, a poche ore dalla Giornata della Rabbia organizzata via Facebook e sottoscritta da oltre 33 mila firme, la polizia ha aperto il fuoco contro alcune centinaia di persone che chiedevano la liberazione di nove detenuti sciiti nella cittadina di Al Qatif nell’Est del Paese. Secondo le prime testimonianze tre ragazzi sono rimasti feriti.
Da settimane la Casa reale alterna il bastone alla carota nella gestione del malcontento popolare, galvanizzato dalle turbolenze regionali. È vero che all’inizio di marzo l’87enne re Abdullah, di ritorno dalla convalescenza marocchina, ha concesso d’un fiato 37 miliardi di dollari in sussidi, borse di studio, aumenti di stipendio. Nel frattempo però, con la mano nascosta nella jallaba, s’è preoccupato di dispiegare 10 mila agenti nella regione di Qatif, la più ricca di petrolio ma anche quella in cui è concentrata la repressa minoranza sciita, tra le cui file agitate dalle proteste nel vicino Bahrein sono stati arrestati «preventivamente» 25 attivisti.
Tra la promessa di riforme e l’indice inquisitore paternalisticamente puntato a mo’ di monito, Riad gioca su due tavoli: ricorda ai sudditi irrequieti che la polizia è autorizzata a far rispettare il divieto di manifestare e ripete all’Occidente che la situazione è sotto controllo, la carenza di greggio verrà compensata, la voglia di democrazia a tutti i costi non contagerà il Golfo.
«Per capire se l’Arabia Saudita può davvero seguire l’esempio dell’Egitto basta sondare la paura dei Saud»: il mantra sibillino rimbalza ora da Facebook ai blog. Ieri, con l’ormai celebre tempestività, Twitter ha bruciato Al Jazeera nel riferire in diretta degli spari ad Al Qatif. Di più. Mentre ahmed aggiornava con video e post l’evolversi degli eventi («La polizia disperde la protesta», «Ingenti forze di sicurezza sono dispiegate al centro di Qatif», «La polizia usa bombe stordenti»), Rafah azzardava un retroscena: «L’ambasciata americana a Riad ha diffuso un messaggio d’allarme tra tutti i cittadini americani residenti in Arabia Saudita».
La domanda che corre oggi da Riad a Washington alle maggiori capitali d’Oriente e Occidente è quella sintetizzata nel twitt di @hhusaini: «Riusciranno miliardi di dollari a comprare la libertà e la dignità saudita?». Per quanto re Abdullah si affanni a sfilarsi dalla squadra dei cattivi condannando, come ieri, «l’illegittimo regime di Gheddafi», la temperatura del regno è tutt’altro che regolare. Dietro la rabbia popolare c’è la richiesta d’una riforma costituzionale della monarchia, l’emancipazione femminile, nuove opportunità professionali, ma anche un Paese con un’età media di 24 anni, un livello ufficiale di disoccupazione del 10%, un’emergenza suicidi passata dai 400 del ’99 ai 787 del 2010, in gran parte commessi da donne.
Gli esperti insistono nel notare che, a differenza dei Mubarak o dei Ben Ali, i Saud si sono mossi per tempo creando nella società «strutture partecipative» e puntando su quella natura saudita sospettosa dell’instabilità che le rivolte minacciano, per esempio nel confinante Yemen. Il mondo segue e palpita. Dopo gli spari di ieri la Casa Bianca ha ricordato a Riad che controllerà attentamente «il rispetto dei diritti umani dei manifestanti». L’appuntamento è per oggi, il primo.
Il FOGLIO - " E se i sauditi fanno una rivoluzione, ma non viene nessuno? "
Sana’a, dal nostro inviato. Oggi è la prima giornata della rabbia organizzata in Arabia Saudita dall’opposizione – anche se è un termine che lì non ha senso. E’ un momento importante, perché si capirà se il contagio libertario arabo ha le forze per mettere in crisi il pezzo più grande e centrale del sistema, che è la casa regnante dei Saud, o se è destinato a insabbiarsi davanti alla cortina protettiva drizzata in fretta dal re. A dispetto del nervosismo dei mercati, che nelle ultime due settimane hanno giocato al rialzo con le quotazioni del greggio e hanno punito il mercato degli scambi saudita, sembra che la protesta sarà un flop. Non mancano le stesse ragioni che altrove hanno favorito le rivolte. Quasi metà della popolazione ha meno di diciott’anni e guarda il mondo da Internet – l’Arabia Saudita ha il maggior numero di iscritti a Facebook tra gli stati arabi, più di due milioni. La disoccupazione ufficiale è al 20 per cento ma non si vedono in arrivo posti di lavoro decenti fuori dalla catena trivella-raffineria- barile e la situazione può soltanto degenerare, contando che secondo proiezioni veritiere nei prossimi dieci anni la popolazione aumenterà da 20 a 30 milioni. E a ogni altro impiego pensano nove milioni di lavoratori importati in semischiavitù dal sud asiatico. Poi c’è il motivo reale del malcontento: la galassia di migliaia di principi che ruota attorno al sovrano senza fare nulla, a parte tramare e litigare e dilapidare i petrodollari di stato. Riad governa con un misto di tolleranza per la corruttela tra le élite e di fanatismo ultraconservatore puntato contro tutti gli altri. Il fronte dell’opposizione – che è una definizione di comodo in un paese dove non esistono elezioni né programmi politici – è formato da pochi elementi liberalizzatori, che vorrebbero un timido, graduale e parziale trasferimento di poteri politici a un qualche organo rappresentativo, e dagli sciiti, minoranza oppressa (e sospettata di intendersi con il nemico iraniano) che però abita la parte orientale e più ricca di petrolio. Sono gli sciiti, per ora, ad avere fatto più rumore e a essere finiti di più in galera. Il timore del Palazzo è che questi due tronconi si saldino e, con la consueta miscela di repressione politica e di terrore religioso, ha fatto dichiarare “non islamica” qualsiasi manifestazione e ha promesso che ogni protesta sarà sciolta con la forza. Contando il gusto del martirio e dell’autoimmolazione proprio degli sciiti, potrebbe finire male. Riad ha schierato diecimila uomini della Guardia nazionale addestrati a queste evenienze nelle strade più a rischio – sono gli stessi uomini destinati a correre in Bahrein se i mercenari importati del sovrano Khilafa non ce la facessero da soli a governare la situazione. Eppure, la protesta non sembra avere le forze. Il gruppo della manifestazione su Facebook ha soltanto 9 mila iscritti. Gli analisti della banca d’investimenti Shuaa Capital di Dubai danno al 20 per cento la probabilità di disordini. Alcuni temono addirittura che sia un trabocchetto della polizia segreta per attirare e identificare gli ingenui. Il popolo vuole bene al re perché lo percepisce come un riformatore che in sei anni di regno ha lottato come mai era successo prima contro i principi vampiri che succhiano dalle casse di stato. E’ famosa la storia della principessa che vorrebbe fare salire il suo entourage di 20 persone su un aereo della compagnia di bandiera ma scopre all’aeroporto che, spiacenti, i biglietti gratuiti non esistono più. E chi tra i petrolbamboccioni ha provato a rivoltarsi ha capito in fretta che il sovrano è protetto da una linea rossa che non si può oltrepassare. Dieci giorni fa re Abdullah ha annunciato un programma da 36 miliardi di dollari per il welfare destinato soprattutto ai giovani, che dovrebbe prevenire ogni tentativo di emulare egiziani e tunisini. Oggi è il test per capire se ha funzionato.
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