Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/03/2011, a pag. 10, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Gli Usa: una coalizione insieme ai Paesi arabi ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Cosa intende Obama quando valuta 'tutte le opzioni' in Libia ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Così i fratelli arabi aspettano la fine dei rivale di sempre ".
Ecco i pezzi, preceduti dal comunicato di Fiamma Nirenstein dal titolo " Presentata risoluzione al Consiglio d’Europa per rapporto su rivolte Mediterraneo e Medioriente ".
Fiamma Nirenstein : " Presentata risoluzione al Consiglio d’Europa per rapporto su rivolte Mediterraneo e Medioriente "

Fiamma Nirenstein
"Ho presentato oggi al Consiglio d’Europa, in quanto componente della delegazione italiana, una risoluzione perché venga elaborato un rapporto che esamini le rivoluzioni della sponda meridionale del Mediterraneo e dell’area mediorientale.
La risoluzione è stata sottoscritta da oltre 20 parlamentari provenienti da diversi paesi membri del Consiglio d’Europa. E’ di particolare rilievo che sia l’Italia ad averla presentata in quanto il nostro paese, per la sua posizione geografica e per i suoi legami storici, culturali ed economici, ha un interesse prioritario per l’area del Mediterraneo.
Ritengo assolutamente necessario che il Consiglio d’Europa, che ha tra i suoi scopi fondamentali la promozione della democrazia e dei diritti dell’uomo, verifichi e approfondisca le cause e le possibili conseguenze dell’ondata di proteste popolari che stanno investendo quasi tutta l’area mediterranea e mediorientale.
Come si legge nella risoluzione, “il Mediterraneo rappresenta un’area di importanza cruciale per la sicurezza europea. L’Unione Europea dovrà dotarsi di nuovi strumenti e moltiplicare il suo impegno nella regione, dando nuovo impulso all’Unione per il Mediterraneo e avviando un piano straordinario che sostenga i processi di transizione democratica, lo sviluppo economico e la coesione sociale”.
Dato il pericolo che forze fondamentaliste si impossessino delle giuste aspirazioni dei giovani di quei paesi e prendano il controllo della fase post-rivoluzionaria, vogliamo garantire che il Consiglio d’Europa monitori, come è suo compito, il rispetto dei diritti umani e i processi di democratizzazione nei paesi investiti dal grande empito anti-dittatoriale. E’ anche importante sorvegliare che sia conservato ed anzi ampliato il Trattato di pace tra Egitto e Israele firmato nel 1978 e tra la Giordania e Israele, del 1994.
I firmatari della risoluzione si impegnano quindi affinché il Consiglio d’Europa si metta all’opera per contribuire alla realizzazione di questi importanti obiettivi".
www.fiammanirenstein.com
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Gli Usa: una coalizione insieme ai Paesi arabi "

Maurizio Molinari
La Casa Bianca lavora ad un intervento internazionale in Libia guidato da una coalizione che includa anche Lega Araba e Unione Africana ma Muammar Gheddafi tenta di scompaginare i piani di Washington puntando su due interlocutori: l’Egitto ed il Sud Africa.
Le mosse di Hillary Il Segretario di Stato sceglie gli schermi della Cbs per spiegare agli americani in che direzione sta operando l’amministrazione Obama: «È importante che gli sforzi per risolvere la crisi non siano solo Nato o degli europei ma internazionali» a cominciare da Africa e Paesi arabi. Una fonte della Casa Bianca aggiunge: «Un’intesa fra Nato, Unione europea, Lega Araba e Unione Africana coprirebbe l’intera regione nella quale la Libia si trova». Hillary ha discusso dei contatti in corso con Paesi arabi e africani incontrando Barack Obama nello Studio Ovale ed al termine una fonte diplomatica ha riassunto: «La storia insegna, in questi casi la fretta non aiuta».
Il ruolo della Lega Araba Se Obama non ha fretta è perché aspetta sabato, quando al Cairo si riunirà la Lega Araba per esprimersi sull’ipotesi di imporre una zona di interdizione al volo sui cieli libici. L’Organizzazione della conferenza islamica (Oci) è già d’accordo ma fra gli arabi vi sono dissensi: i Paesi del Golfo sono a favore mentre altri temono il precedente dell’ingerenza umanitaria sul territorio di uno dei membri. Se Amr Moussa, l’egiziano che è segretario generale della Lega, riuscirà ad ottenere l’avallo alla no fly zone diventerà possibile la prima operazione militare mai condotta assieme alla Nato. A Washington si è convinti che l’assenso della Lega possa aprire la strada a un’analoga decisione da parte dell’Unione Africana, della quale molti Paesi arabi fanno parte. Lo scenario di una coalizione Nato-europeiarabi-africani rientra nella strategia di Obama di non far agire gli Usa da soli.
La missione di Biden Nell’intervista alla Cbs Hillary Clinton dice anche che «serve il sostegno dell’Onu per una no fly zone sulla Libia» ammettendo però che «c’è ancora molta opposizione nel Consiglio di Sicurezza» al varo della risoluzione ad hoc preparata da Londra e Parigi.
L’ostacolo più evidente è la Russia, titolare del diritto di veto, e per tentare di superarlo il vicepresidente Joe Biden si è recato ieri nella dacia di Dimitry Medvedev, nei pressi di Mosca. «Il Medio Oriente e il Nordafrica richiedono uno sforzo congiunto da parte di Stati Uniti e Russia» ha detto Medvedev a Biden lasciando aperta una finestra a possibili compromessi. Washington ritiene che se Mosca accetterà la no fly zone, la Cina non metterà da sola il veto alle Nazioni Unite.
Le contromosse del raiss Mostrandosi consapevole del tentativo americano di creare un’ampia coalizione internazionale contro di lui, Gheddafi gioca le contromosse puntando a convincere arabi ed africani a non sostenere l’intervento umanitario. La prima è l’invio al Cairo di propri emissari portatori di una lettera per la Lega Araba per indurla non sostenere la no fly zone. Gli stessi emissari hanno il compito di convincere i militari egiziani, che guidano il dopoMubarak, a non rifornire i ribelli. Gheddafi è convinto che sia l’Egitto la pedina chiave per bloccare la Lega Araba e, alla stessa maniera, punta sul presidente sudafricano Jacob Zuma per prevenire decisioni ostili da parte dell’Unione Africana. Gheddafi ha chiamato Zuma al telefono e la tv di Stato libica ha parlato di «sostegno sudafricano» obbligando Pretoria ad una imbarazzata smentita.
Un inviato di Gheddafi è giunto anche a Lisbona, dove si sta svolgendo una riunione dei ministri degli Esteri Ue sulla Libia, sempre al fine di scompaginare i piani di Obama. Il contenuto dei messaggi libici è stato anticipato dalle dichiarazioni di Gheddafi da Tripoli: «Ci batteremo contro la no fly zone». Ovvero, preparatevi ad affrontare una guerra nel deserto del Sahara.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Cosa intende Obama quando valuta 'tutte le opzioni' in Libia "

Daniele Raineri
Sana’a, dal nostro inviato. L’intervento internazionale contro Muammar Gheddafi in Libia non sarà un atto di forza unilaterale deliberato nei bunker operativi di Washington e Londra, ma comincerà soltanto quando – e soprattutto se – sarà coperto da un mandato ampio delle Nazioni Unite. Per questo motivo, forse, l’intervento internazionale potrebbe non cominciare affatto. L’impressione che si intende dare è quella di un’azione militare da fuori che arriva con il consenso universale e quasi per un’inevitabile legge meccanica, come se non potesse accadere altrimenti. Il presidente Barack Obama prima e ieri il segretario di stato Hillary Clinton hanno battuto sul principio della necessità di una risoluzione dell’Onu e francesi e britannici hanno lavorato febbrilmente alla stesura di una bozza che sarà presentata nelle prossime ore, ma al Consiglio di sicurezza ci saranno da vincere le resistenze di Mosca – che ha già detto no – e di Pechino – che è già chiusa nel suo silenzio, come spesso accade. Entrambe sono tradizionalmente riluttanti ad autorizzare qualsiasi interferenza negli affari interni di stati sovrani. C’è anche la possibilità che trasformino il loro eventuale assenso in merce di scambio. L’opzione di intervento più probabile è la creazione di una “no fly zone”, forse perché all’opinione pubblica appare erroneamente qualcosa in meno di un atto di guerra: consiste nell’apertura di un ombrello aereo su parte della Libia o su tutto il paese, per impedire ai caccia di Gheddafi di bombardare i civili e ai suoi aerei di trasportare i mercenari. In via preliminare la Nato ha chiesto ai suoi aerei radar, i giganteschi Awacs, di sorvegliare lo spazio aereo libico 24 – e non più soltanto dieci – ore al giorno. Il portavoce del Pentagono ha ritrattato le dichiarazioni del segretario alla Difesa Robert Gates, che aveva detto con durezza che “le ‘no fly zone’ implicano un attacco aereo contro i radar, è guerra, e troppa gente ne sta parlando a vanvera”. L’atteggiamento ora più disponibile di Washington è di sollievo per il primo ministro britannico David Cameron, che per primo si è esposto con l’idea di una “no fly zone” e che per qualche giorno è rimasto solo. Paradossalmente, i primi a dire sì all’intervento americano sono i 57 membri dell’organizzazione dei paesi islamici con base in Arabia Saudita. “Uniamo la nostra voce a chi chiede l’interdizione aerea sulla Libia e chiediamo al Consiglio di sicurezza di fare il suo dovere a questo proposito – ha detto il segretario generale Ekmeleddin Ihsanoglu alla fine di una riunione d’emergenza dell’organizzazione – e rifiutiamo qualsiasi interferenza militare a terra”. A terra. Come a dire: a esclusione dei carri armati, qualsiasi altro intervento sarà facilmente condonato. Anche il segretario generale e l’ambasciatore a Washington della Jamiat ad Duwal al Arabiyya, la Lega araba, sono già d’accordo. Ieri i ventuno paesi membri – sarebbero ventidue, ma la partecipazione della Libia è congelata da febbraio – si sono riuniti per pronunciare la decisione scontata. Tra loro ci sono governi che potrebbero finire in condizioni simili a quelle di Gheddafi, con ribellioni interne e la necessità di repressioni brutali. Ma l’odio per il dittatore libico è più forte. Gheddafi ha sempre giocato contro di loro il ruolo di pericoloso e capriccioso guastafeste. Un vertice della Lega araba in Tunisia fu addirittura annullato perché si scoprì che il rais di Tripoli ne avrebbe approfittato per assassinare il principe ereditario saudita, oggi re Abdullah. E naturalmente c’è la richiesta dei libici. Da Bengasi il portavoce del Consiglio nazionale dei ribelli, Hafiz Ghoga, è sicuro che “se ci fosse la ‘no fly zone’ per impedire a Gheddafi di bombardarci e di spostare in volo i suoi mercenari, la vittoria sarebbe nostra”. In questi giorni ci sono state altre proposte. Si è chiesto di armare i ribelli libici perché resistano e caccino il rais. Stephen Hadley, sottosegretario al Tesoro nell’Amministrazione Bush, ha avanzato l’opzione di fornire ai libici missili da spalla antiaerei, così da lasciare a loro il compito di difendersi dagli aerei. Ma l’idea di fornire Stinger a un’assemblea ignota di armati nel nord Africa infestato da al Qaida richiama subito alla mente il parallelo infausto con i missili finiti nelle mani degli estremisti in Afghanistan durante la guerra contro i sovietici negli anni Ottanta. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney lunedì si è lasciato sfuggire che l’opzione “fornire armi” era tra quelle allo studio. Ma un altro portavoce, quello del dipartimento di stato che è molto cauto, P. J. Crowley, si è affrettato a ricordare che fornire armi alla Libia è semplicemente illegale perché c’è un embargo dell’Onu stabilito dalla risoluzione 1.970: “Non dice al governo della Libia; dice alla Libia”. L’inviato Robert Fisk sull’Independent grida allo scoop e scrive che l’Arabia Saudita starebbe inviando armi anticarro ai ribelli per conto di Washington, contro i tank di Gheddafi. Ma la notizia è stata accolta con scetticismo e Fisk si è dimostrato in passato troppo affezionato al gossip mediorientale più scadente. John McCreary, uno dei commentatori americani più ascoltati sulle questioni di sicurezza, si è schierato invece per l’opzione del singolo attacco risolutivo per distruggere gli aerei e gli elicotteri di Gheddafi quando ancora sono a terra. “Il principio di fondo è che se non ci sono più aerei in grado di volare, allora la ‘no fly zone’ è assicurata automaticamente, senza bisogno di andare a colpire batterie antiaeree, installazioni radar e i soldati che comandano i missili anti aerei”. “Qualcuno nel governo dovrebbe ricordarsi che cosa fece Israele nella Guerra dei sei giorni; o l’attacco giapponese alle basi dell’aviazione di Pearl Harbor e alla base filippina di Clark; sono esempi di ‘no fly zone’ imposte con la massima efficienza – scrive Mc- Creary – I ribelli possono ancora perdere la battaglia a terra, ma il campo di battaglia sarebbe stato livellato. Il mio non è un suggerimento. E’ un lampo di ovvietà”.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Così i fratelli arabi aspettano la fine dei rivale di sempre "

Antonio Ferrari
Per la prima volta Muammar Gheddafi è costretto a rivolgersi ai «fratelli arabi» , a quei fratelli che lui aveva sempre trovato il modo di umiliare, tradire e insultare. Vien quasi da sorridere se si pensa ai casi della vita. Dopo aver boicottato quasi tutti i vertici della Lega araba ai quali aveva deciso di partecipare; dopo aver fatto rinviare di mesi un summit a Tunisi per aver minacciato di morte il re saudita; e dopo aver impedito che a Sharm el Sheik nel 2003 passasse una proposta per offrire l'esilio a Saddam Hussein (un intervento accompagnato da imbarazzanti e violenti incidenti fuori dall'aula del vertice), ora la legge del contrappasso impone al dittatore libico di chiedere l'aiuto dei «fratelli» . Se passerà la delicata proposta di una «no-fly zone» sulla Libia, sarà necessario ottenere il consenso, quando non proprio l'avallo della Lega araba. Durante la guerra per la liberazione del Kuwait, nel 1990, la stragrande maggioranza dei leader musulmani si schierò con la coalizione guidata dagli Stati Uniti contro il regime di Saddam. Era quasi scontato, visto che il dittatore iracheno aveva osato invadere un piccolo paese fratello. Ma già nel 2003, nonostante il risentimento nei confronti del califfo di Bagdad, il fronte arabo ostile alla guerra (decisa da Bush con il pretesto del possesso di armi di distruzione di massa, che non furono mai trovate) era praticamente unanime. Tuttavia Gheddafi, da autentico pirata, fece fallire quell'iniziativa sull'esilio a Saddam caldeggiata da Arabia Saudita, Emirati, ma sostenuta anche dall'Egitto e dalla Giordania. Ora è Gheddafi che chiede aiuto. Per questa ragione ha mandato i suoi emissari al Cairo, sede della Lega e al Consiglio di cooperazione del Golfo. Al solito provocatoriamente. Va detto subito che, in questo momento, i paesi arabi nel nord Africa e nel Medio oriente, hanno molti altri problemi da risolvere, con le rivolte che non si placano e i focolai di tensione che si moltiplicano più o meno dappertutto. Quindi l'idea di sostenere, e magari di appoggiare iniziative militari è quasi un azzardo, sostenuto però dal segretario generale della Lega araba, l'egiziano Amr Moussa, che si era schierato subito a difesa dei ribelli libici che combattevano con pochi mezzi contro il dittatore chiedendo libertà, la fine delle angherie del regime, e pronti a pagare un alto prezzo di sangue. Ma il passo successivo, cioè il sostegno ad azioni militari dall'esterno, è assai più problematico e complesso. In numerosi paesi arabi si continua a sostenere e a caldeggiare, prima dell'imposizione di una «no-fly zone» nei cieli della Libia, la necessità di una trattativa con due obiettivi: liberarsi di Gheddafi e ottenerne l'immediato esilio. Anche se è difficile immaginare, sempre nel caso che il colonnello accetti di lasciare il potere, quale potrebbe essere il paese disposto ad ospitarlo.
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