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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Ansa Rassegna Stampa
08.03.2011 Libia: Obama non scarta l'opzione militare, ma all'Onu non tutti sono d'accordo
Lieberman incontra Fattini a Roma. Cronache e analisi di Carlo Panella, Redazione del Foglio, Redazione di Ansa

Testata:Il Foglio - Ansa
Autore: Carlo Panella - Redazione del Foglio - Redazione dell'Ansa
Titolo: «Il rais sta vincendo. Da stato canaglia la Libia diventa stato pirata - L’attimo è fuggito - Libia, Frattini riceve Lieberman. Serve gestione attenta, presentano rischi e opportunità anche in chiave MO»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/03/2011, a pag. I, l'articolo di Carlo Panella dal titolo "Il rais sta vincendo. Da stato canaglia la Libia diventa stato pirata", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " L’attimo è fuggito ". Riportiamo il lancio ANSA dal titolo " Libia, Frattini riceve Lieberman. Serve gestione attenta, presentano rischi e opportunità anche in chiave MO ".
Ecco i due articoli:

Carlo Panella : "Il rais sta vincendo. Da stato canaglia la Libia diventa stato pirata"


Carlo Panella

Roma. Gheddafi sta vincendo. Una vittoria tattica, non ancora strategica, anche se molti fattori indicano che la tendenza è questa. Dopo il trauma subito fra il 17 e il 18 febbraio, con la defezione di alcuni suoi fedelissimi e la “liberazione” di Bengasi, il rais è riuscito a fermare i ribelli e ora tiene sotto assedio i loro fortini. Sul terreno non ci sono tracce di un suo indebolimento. I corrispondenti dei quotidiani occidentali segnalano che le truppe ribelli di Bengasi passano alla difensiva: la mossa dell’arrocco su Tripoli decisa da Gheddafi si consolida con il controllo del triangolo formato da Tripoli, Sabha e Sirte – e forse, più oltre, verso la Cirenaica, sino a Ras Lanuf – grazie all’apporto decisivo dell’aviazione. Questo fattore è fra i più importanti nel bilancio della guerra civile. Sin dal 20 febbraio, i ribelli di Bengasi hanno chiesto all’Onu di creare una “no fly zone”, ma questa misura non è ancora in agenda. Le conseguenze sono molto negative per gli uomini che combattono contro il regime. I dubbi dell’occidente sulla “no fly zone” hanno una spiegazione: gli Stati Uniti di Barack Obama e l’Unione europea non intendono farsi carico dei problemi dei ribelli libici. Avrebbero potuto schierarsi dietro la Lega araba, che ha concesso il proprio sostegno all’iniziativa, costringendo in quel modo anche la Russia e la Cina ad assumere una posizione più netta nei confronti di Tripoli. Questo fu lo schema seguito nel 1990 e nel 1991 da George Bush quando mise in campo Desert Storm, rispondendo alla pressante sollecitazione della Lega araba. Oggi la Lega considera Muammar Gheddafi poco meno che un pazzo incontrollabile, ma si guarda bene dal riconoscere il Consiglio nazionale di Bengasi quale legittimo interlocutore, e dal mettere davvero in agenda la “no fly zone”. Al solito ne parla, ipotizza che possa essere organizzata dai paesi arabi e africani – che sono però incapaci di farlo sul piano tecnico – ed esclude che possa essere attuata dagli americani o dagli europei pur di non violare la norma fondamentalista che impedisce di allearsi con ebrei e cristiani per condurre guerra a un paese musulmano. Caduti Ben Ali e Hosni Mubar a k , la Lega araba ha soltanto una mira: impedire il contagio della rivolta nel Golfo. E’ una partita tanto rilevante da far considerare ai sovrani di Riad, acerrimi avversari di Gheddafi, l’eventuale permanenza al potere del colonnello. Dunque, se si guarda al contesto internazionale senza deformazioni eurocentriche, si comprende che le sanzioni e le misure pur drastiche adottate dall’Onu scalfiscono appena la dura pelle di Gheddafi, che sta vincendo sul terreno, non è insidiato nella umma e che raccoglie consensi e aiuti da altri leader della regione. Idris Déby, il presidente del confinante Ciad, sta infatti aiutando solidarmente Gheddafi, al quale d e v e l a r g a parte della propria vittoria nella lunga guerra civile negli anni Novanta. Così fanno i ribelli tuareg del Mali e del Niger e i movimenti irregolari della Sierra Leone e della Nigeria, che a Tripoli hanno sempre avuto un punto di riferimento strategico. Salvo smentite sul campo, ci si può avventurare con una certa approssimazione a definire i probabili scenari futuri. Il più attendibile è quello peggiore: una Libia divisa in due, con un debole governo nazionale installato a Bengasi e riconosciuto dall’occidente – Franco Frattini ha annunciato “contatti formali”, anticamera di un possibile, ma non certo, riconoscimento diplomatico della nuova entità. L’altro governo resterebbe a Tripoli, sotto il controllo di Gheddafi e dei suoi fedeli discendenti. A quel punto, una volta cessati i combattimenti, eretto una specie di muro libico nel deserto, acquisite tutte le alleanze possibili con le tribù, Gheddafi potrebbe fare quel che meglio gli riesce: il corsaro. Un’attività che non dispiacerebbe per nulla alla Cina e alla Corea del nord – che gli compreranno il petrolio, grazie alle triangolazioni del venezuelano Hugo Chávez – e forse anche alla miope Russia di Putin. Come ha spiegato ieri il colonnello, “l’Europa sarà invasa” dall’arrivo di centinaia di migliaia di emigrati nel caso in cui Tripoli dovesse cadere in mano ai ribelli – è possibile che sia lo stesso Gheddafi a organizzare il traffico di uomini, con l’aiuto dei suoi alleati sub sahariani. La minaccia è credibile, dal momento che è sempre usata dagli stati che vogliono imporre le loro condizioni all’Europa. Gheddafi potrebbe rendere la prospettiva quasi apocalittica, se volesse vendicarsi. Come ha fatto capire fra le righe, il rais potrebbe riprendere la sua antica professione di “imprenditore del terrorismo”, un mestiere in cui è maestro – nel 1975 fece sequestrare da Carlos tutti i ministri Opec a Vienna – terrorizzando l’Europa per farla “tornare ai tempi del Barbarossa”. Infine, farebbe di tutto per destabilizzare le nascenti democrazie confinanti di Tunisia ed Egitto.

"L’attimo è fuggito "


Onu

La comunità internazionale si sta muovendo in Libia, ma non sarà troppo tardi? C’è stato un momento in cui l’obiettivo comune – isolare e fermare il presidente Muammar Gheddafi – ha superato le note divisioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha portato alle sanzioni, in un attimo di unità raro e importante. Poi l’attimo è passato, ogni paese ha cominciato a valutare gli interessi in gioco, le conseguenze, l’effetto sulla regione e sul mondo, e così hanno avuto la meglio i vari interessi nazionali. Ora la Nato dice che non si può stare a guardare, che Gheddafi deve smettere di massacrare il suo popolo oppure l’intervento alleato sarà inevitabile. Barack Obama, presidente riluttante, come lo ha definito il Wall Street Journal, appoggia l’iniziativa della Nato e prepara un discorso in cui metterà a fuoco – dicono le indiscrezioni – una svolta nella sua politica estera a favore di un “regime alteration”: fare pressioni sui regimi alleati perché si aprano alle riforme democratiche. Fermare Gheddafi è necessario, ma come? Secondo fonti d’intelligence, il colonnello sta usando soltanto un terzo delle sue capacità militari, il che significa che sul terreno può essere molto più forte, sia contro i ribelli sia contro gli stranieri. Il potere del colonnello è solido e il multilateralismo mostra le sue debolezze, ma alla Casa Bianca non c’è un presidente che vuole arrischiarsi sulla via unilaterale, auspicata invece dal premier britannico David Cameron. Obama teme le ripercussioni sull’opinione pubblica, il riaccendersi del mai sopito antiamericanismo. Come ha detto Veltroni e ha sottolineato il Sole 24 Ore, la minaccia è sempre presente: lo dimostra il pacifismo militante italiano che in questi giorni non riempie certo le piazze contro il regime di Gheddafi, idolo dell’antiamericanismo. Russia e Cina non autorizzeranno un intervento, la prima l’ha detto esplicitamente, la seconda si nutre e cresce grazie alla politica della non ingerenza. Un mandato dell’Onu non ci sarà, quindi si dovrà intervenire – se ci sarà la volontà politica – con una coalizione di volenterosi (l’Italia ha già detto che non può impedire l’utilizzo delle basi). E allora sì che le piazze pacifiste si riempiranno.

ANSA - " Libia, Frattini riceve Lieberman. Serve gestione attenta, presentano rischi e opportunità anche in chiave MO "


Avigdor Lieberman con Franco Frattini

ROMA, 7 MAR - Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha avuto oggi un colloquio con l'omologo israeliano, Avigdor Lieberman, sugli sviluppi in corso in Nord Africa, con particolare attenzione alla Libia, ed in Medio Oriente, «che possono essere forieri di rischi ed opportunità e che richiedono una gestione accorta da parte della comunità internazionale». Lo rende noto la Farnesina spiegando che il ministro Frattini ha, in particolare, ricordato la proposta italiana di un nuovo Patto fra l'Ue ed i Paesi della sponda Sud per la stabilità e lo sviluppo della regione, fondato sui tre pilastri dell' assistenza economica, della partnership politica e dell' inclusione sociale, «evidenziando che un nuovo quadro regionale è indispensabile anche per incoraggiare gli attori strategici dell'area ad un contributo di equilibrio e moderazione per la risoluzione delle crisi». I due Ministri hanno inoltre discusso «l'andamento del Processo di Pace, riguardo al quale il capo della diplomazia italiana ha ribadito che il ristabilimento di un clima di fiducia fra le parti ed il rilancio della prospettiva negoziale costituiscono una priorità per la stabilità regionale, assicurando al contempo che l'Italia intende sostenere attivamente gli sforzi a tal fine della diplomazia internazionale». Ampio spazio durante i colloqui è stato dedicato anche ai temi bilaterali. I due Ministri hanno discusso dell'agenda della II Sessione del Dialogo Strategico fra Italia e Israele, in calendario a Gerusalemme il 21 marzo sotto la guida dei Segretari Generali dei due Ministeri degli Esteri, e hanno approfondito - prosegue la nota - la preparazione del II Vertice Intergovernativo, in programma in Italia prima dell'estate, condividendo fra l'altro la volontà di finalizzare nuovi, importanti Accordi in settori di comune interesse quali l' istruzione, l'Università, la ricerca, le politiche giovanili, la giustizia.

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