Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Libia, Gheddafi continua la repressione. Usa e Ue ancora indecisi sul da farsi Analisi di Carlo Panella, Amy Rosenthal, redazione del Foglio
Testata:Libero - Il Foglio Autore: Carlo Panella - Amy Rosenthal - Redazione del Foglio Titolo: «Gli arabi con il raìs in nome della sharia - Per le rivolte arabe l’ex capo della Cia evoca il 'Reagan style' - Gheddafi bombarda i fortini dei ribelli. Europa divisa sull’ingerenza umanitaria»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 03/03/2011, a pag. 13, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Gli arabi con il raìs in nome della sharia ". Dal FOGLIO, a pag. 4, l'articolo di Amy Rosenthal dal titolo " Per le rivolte arabe l’ex capo della Cia evoca il 'Reagan style' ", a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Gheddafi bombarda i fortini dei ribelli. Europa divisa sull’ingerenza umanitaria". Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : " Gli arabi con il raìs in nome della sharia"
Carlo Panella
Gheddafi ha trovato un grande alleato: l’incapacità dell’Onu e della comunità internazionale di prendere decisioni rapide e sagge. Da giorni, e ieri con più vigore, il Consiglio nazionale libico degli insorti nell’est della Libia, da Bengasi, chiede che venga istituita una no fly zone (che in Iraq impedì le stragi di curdi da parte di Saddam) e che vengano compiute azioni aeree Onu contro le truppe fedeli al dittatore. Ma non succede nulla, perché alla Casa Bianca non c’è più Bush(lo ha notato con sollievo lo stesso raìs)e Obamasostiene che gli Usa non agiscono da soli ma solo su mandato Onu. Però l’Onu non ne parla nemmeno e Gheddafi può tentare tutte le sortite militari che vuole: l’altro ieri ha colpito Zawiya (strategica perché vi termina un oleodotto), Zenten e Misurata, ieri è partito all’assedio di Brega con più di 500 blindati e con lancio di missili da aerei e anche all’attacco a Bengasi; oggi è previsto un’azione in forze ad Adiabiya. Nei prossimi giorni, mentre Obama, e l’Onu stanno a guardare, sicuramente Gheddafi svilupperà ancora la sua controffensiva in cui può giocare il peso non secondario dell’aeronauti - ca, che gli è rimasta fedele (è formata solo da membri della tribù Ghaddafa, la sua). Non solo, Gheddafi si sta anche rafforzando sul piano politico, perché la Organizzazione del Consiglio Islamico che raduna tutti i 54 Paesi musulmani (che pesano molto all’Onu), come Cina, Turchia e Lega Araba, si sono pronunciati contro qualsiasi ipotesi di intervento militare straniero in Libia (la Lega Araba ammette solo un intervento dell’Organiz - zazione degli Stati Africani, che però ha dato pessima prova in Sudan). Non perché Gheddafi sia apprezzato da queste organizzazioni (anzi…), ma in omaggio all’imperativo della sharia più fondamentalista, che vieta che eserciti “cristiani” combat - tano contro musulmani sul territorio dell’Islam. Con le spalle coperte, dall’ignavia Onu, dalle indecisioni di un più che spiazzato Obama (la Clinton ha detto che bisogna stare attenti all’inter - vento militare per «evitare una nuova Somalia») e dal veto dei Paesi islamici e arabi, Gheddafi può sviluppare senza problemi il suo “arrocco” (la mossa degli scacchi in cui re e torre si scambiano la casella e il re viene così protetto dalla torre, dal cavallo, dall’alfiere e dalle pedine). Padrone della capitale e di parte della Tripolitania, forte di un non disprezzabile sostegno popolare (nonostante la stupida retorica di al Jazeera, al Arabiya) Gheddafi ha così tempo per cercare di allargare il territorio controllato e poi per tentare di convincere i capi tribù – veri protagonisti della rivolta – che conviene tornare a essere suoi “clientes”. Strategia basata sulla ferocia delle sue milizie, azzardata, ma che forse può portare risultati. È indubbio che l’isolamento politico internazionale di Tripoli sarà totale e che Onu e Ue riconosceranno solo il Consiglio nazionale libico di Bengasi, che ieri ha nominato suo leader l’ex ministro della Giustizia Mohamad Abdeljalil (personaggio ambiguo, che fino a 10 giorni fa era uno dei più fidati collaboratori e complici in varie infamie di Gheddafi). Ma è altrettanto indubbio che non basta l’isolamento internazionale per abbattere un dittatore spietato che ha mostrato di non essere della debole pasta di Ben Ali e Mubarak. Il Consiglio nazionale si è detto pronto «a muovere le sue forze verso Tripoli, se il rais non lascerà il potere»; uno scenario in cui l’intrinseca debolezza militare delle forze di cui il Consiglio può disporre (senza intervento militare Onu), rischia di produrre effetti controproducenti.
Il FOGLIO - Amy Rosenthal : " Per le rivolte arabe l’ex capo della Cia evoca il 'Reagan style' "
Amy Rosenthal
Barack Obama sta preparando un grande discorso sul medio oriente e le ricostruzioni riportate dal Los Angeles Times raccontano che, nel dibattito all’interno della Casa Bianca sulla strategia da adottare rispetto alle rivoluzioni arabe, sta prevalendo la linea pro democrazia, una rivisitazione della “freedom agenda” di stampo bushiano. “Stare con le piazze è un imperativo strategico”, ha detto il segretario di stato, Hillary Clinton, confermando un parziale riorientamento della politica estera statunitense, dopo due anni spesi in nome dell’engagement e della mano tesa nei confronti dei regimi musulmani – come disse lo stesso presidente nel discorso al Cairo del giugno del 2009. L’ex direttore della Cia all’inizio degli anni Novanta, R. James Woolsey, spiega al Foglio che Obama dovrebbe “negoziare paese per paese, piuttosto che pensare al mondo islamico come a un monolite”. Crisi per crisi, considerando le diversità. Ma così non si rischia di essere trainati dagli eventi? “Mi piacerebbe che il presidente non ascoltasse tutti quelli che gli dicono di non smuovere troppo le acque parlando di democrazia – continua Woolsey – E che piuttosto stesse dalla parte di chi si oppone a regimi a noi ostili, come quello iraniano”. L’ex capo degli 007 americani evoca un “Reagan style”, toni duri contro le dittature che opprimono i loro popoli e minacciano la sicurezza mondiale, a cominciare dalla Libia. Woosley guarda quel che sta succedendo in tutta la regione mediorientale e consiglia di seguire con attenzione quel che accade in Egitto, perché la minaccia fondamentalista, con i Fratelli musulmani, è sempre forte e perché i militari devono mantenere le loro promesse. Ma lo scenario che più preoccupa Woosley è quello iraniano: lì le proteste sono state già represse nel sangue nel 2009, ora sono scomparsi i capi dell’Onda verde, e “finora non abbiamo fatto abbastanza per fare pressioni sul regime”. La piazza non riesce a dare scossoni e intanto continua la costruzione della bomba atomica, pure se, secondo molti fonti, da ultimo sarebbe più lenta. Proprio perché è l’Iran il primo ad approfittare dell’instabilità, Woolsey ricorda una cosa: “Sono molto preoccupato dal Bahrein. Recentemente il numero due delle Guardie della rivoluzione iraniane ha detto che il Bahrein è ‘una provincia dell’Iran’. Saddam Hussein disse la stessa cosa riguardo al Kuwait, definendolo ‘una provincia dell’Iraq’, e poco dopo lo invase”.
Il FOGLIO - " Gheddafi bombarda i fortini dei ribelli. Europa divisa sull’ingerenza umanitaria"
Muammar Gheddafi
Bruxelles. La comunità internazionale sta facendo un passo indietro sull’ipotesi di un intervento militare in Libia, nonostante la controffensiva del colonnello Muammar Gheddafi e la richiesta di aiuto partita dai ribelli, come hanno raccontato New York Times e Washington Post. Da Bengasi hanno invocato bombardamenti sotto l’egida dell’Onu: “Facciamo appello affinché siano eseguiti specifici attacchi contro le roccaforti dei mercenari” di Gheddafi, ha detto il portavoce del Consiglio libico, Hafiz Ghoga. Ma il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, ha risposto “no” all’appello. “Occorre preparare un intervento militare? Non lo pensiamo nel contesto attuale – ha dichiarato – Potrebbe rinsaldare le opinioni pubbliche e i popoli arabi contro il nord del Mediterraneo”. Gli Stati Uniti hanno escluso di armare i ribelli. E’ “prematuro”, ha spiegato il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Tommy Vietor: i servizi di intelligence americani ritengono che non ci sia una leadership con cui trattare. Nemmeno l’ipotesi di una “no fly zone” sembra essere sull’agenda dei leader occidentali, fatta eccezione per il premier britannico, David Cameron. In una riunione della Nato, a Bruxelles, si è preso atto delle divergenze interne. “Al momento non c’è nulla di operativo”, ha detto al Foglio una fonte dell’Alleanza. Per il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, “la Nato non ha niente da fare” in Libia, mentre fonti del Cremlino fanno sapere che, a Tripoli, le forze internazionali rischierebbero “un nuovo Afghanistan”. Secondo Juppé è “possibile continuare a pianificare una zona di esclusione aerea, a condizione che sia attivata da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu”. Ma il ministro francese sa bene che Russia e Cina sono pronte al veto. La Lega araba ha approvato un documento di condanna di Gheddafi, ma rigetta “ogni ipotesi di ingerenza militare straniera in Libia”. La Lega libica dei diritti umani dice che ci sono almeno seimila profughi: è la crisi umanitaria lungo le frontiere con la Tunisia e l’Egitto a mobilitare la comunità internazionale. Francia e Regno Unito hanno lanciato un’operazione di evacuazione aerea e marittima delle migliaia di profughi egiziani bloccati alla frontiera tunisina. La Commissione europea ha stanziato 10 milioni di euro. Come annunciato da Roberto Maroni, l’Italia contribuirà con due campi di assistenza alla frontiera fra Libia e Tunisia. E “non appena ci saranno le condizioni di sicurezza” potrebbe partire anche una nave carica di aiuti umanitari per Bengasi, ha detto ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che presenterà il piano al Consiglio dei ministri di oggi. Il capo della Farnesina, intanto, ha escluso l’ipotesi di un intervento militare. Sul fronte finanziario, il Regno Unito ha già congelato le quote della Libyan Investement Authority nel gruppo Pearson, che edita il Financial Times. Anche la Francia ritiene necessario impedire a Gheddafi di vendere le sue partecipazioni estere “e recuperare quel denaro per poi pagarsi mercenari”. Il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ha spiegato: “Diciamo le cose come stanno. Una ‘no fly zone’ inizia con un attacco contro la Libia per distruggere le sue difese aeree”, altrimenti c’è “la preoccupazione che i nostri piloti possano essere abbattuti”. Così, dopo aver scommesso su una rapida caduta del colonnello, la comunità internazionale affronta la determinazione di Gheddafi. Secondo un diplomatico europeo sentito dal Foglio, “siamo all’ipotesi peggiore”: da un lato una guerra civile prolungata potrebbe trasformare la Libia in “un nuovo Afghanistan”; dall’altro, emergerebbero divisioni intra-europee come quelle che hanno ostacolato la politica comune sull’Iran. Secondo Hillary Clinton, “c’è il rischio che la Libia sprofondi nel caos”, ma gli Stati Uniti “sono ancora lontani da una decisione” sulla “no fly zone”.
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