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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.02.2011 Obama: gli Usa incoraggiano i manifestanti a continuare le proteste contro Ahmadinejad
Facile a dirsi da chi finora ha sempre tenuto la mano tesa. Cronache e interviste di Maurizio Molinari, redazione del Foglio, Viviana Mazza

Testata:La Stampa - Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Redazione del Foglio - Viviana Mazza
Titolo: «Hillary: Libertà digitale per tutti - E’ un genio degli isotopi l’uomo del destino atomico dell’Iran - Non siamo criminali ma lottiamo per la libertà - C’è una generazione matura e democratica. Ma la Cia l’ha vista?»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/02/011, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Hillary: Libertà digitale per tutti " e la sua intervista a Reuel Marc Gerecht dal titolo " C’è una generazione matura e democratica. Ma la Cia l’ha vista? ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo dal titolo " E’ un genio degli isotopi l’uomo del destino atomico dell’Iran ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Non siamo criminali ma lottiamo per la libertà ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Hillary: Libertà digitale per tutti "


Hillary Clinton   Maurizio Molinari

La nuova frontiera delle libertà è su Internet e l’America è determinata a difenderla ed espanderla sfidando i dittatori, per farne una «piazza digitale dove valgono gli stessi diritti universali di Times Square o Piazza Tahrir»: così il Segretario di Stato Hillary Clinton illustra il manifesto sulla Freedom of Internet parlando alla George Washington University sul nuovo «pilastro della politica estera degli Usa».

Un terzo dell’umanità «Su sei miliardi di abitanti del Pianeta due miliardi si connettono a Internet» esordisce Hillary, per descrivere il Web come la «pubblica piazza del XXI secolo» che «ci pone di fronte all’esigenza di definire principi e regole» per arrivare a garantire «gli stessi diritti universali dell’individuo» che «valgono su tutte le altre piazze». «Le libertà di espressione, associazione, fede e petizione al governo devono essere garantite anche nel cyberspazio - spiega il Segretario di Stato - perché una Chiesa, una ong o un sindacato devono poter esercitare i propri diritti anche sul Web». È la «libertà di connettersi».

I dittatori contro il Web Le declinazioni della «libertà di Internet» sono innumerevoli: «In Russia i volontari usano il Web per combattere gli incendi, in Siria gli alunni vi ricorrono per denunciare gli abusi degli insegnanti e in Cina le famiglie lo usano per cercare i bambini scomparsi». Ma i pericoli vengono da «chi lo adopera per limitare i diritti universali dell’individuo» e la Clinton elenca in particolare cinque Stati: «Birmania, Cina, Cuba, Vietnam e Iran». La repressione ha molti volti: l’Avana «ha creato un Intranet nazionale per impedire l’accesso a quello globale» e Teheran «usa il Web per rubare l’identità a persone che poi perseguita solo perché colpevoli di ciò che pensano».

Le tre sfide

Gli Stati Uniti sono a favore di Internet «aperto a tutti» ma affinché ciò avvenga riconoscono la necessità di «trovare le risposte a tre sfide». «Noi non le abbiamo ma conosciamo le domande», sottolinea Hillary, per chiedere alla comunità internazionale di dare inizio ad una riflessione sui «principi da adottare». La prima sfida è trovare l’equilibrio fra «libertà e sicurezza» al fine di «impedire a terroristi, hacker e pornografia infantile di minacciarci». La seconda è bilanciare «trasparenza e riservatezza» perché «la trasparenza è necessaria» ma «la riservatezza consente alle aziende di tutelare i brevetti, ai giornalisti di proteggere le fonti e ai governi di svolgere missioni come lo smantellamento di arsenali nucleari al riparo dai terroristi». L’ultima sfida è nel proteggere la «libertà d’espressione» senza essere «tolleranti con chi la viola» a cominciare da «chi usa il Web per negare l’Olocausto« perché «proprio il Web ci ha consentito di far visitare il lager di Dachau ad alcuni imam che poi hanno condannato il negazionismo».

Il caso Wikileaks

Per Hillary «Wikileaks non ha nulla a che vedere con la libertà digitale» perché le migliaia di documenti segreti del Dipartimento di Stato che Julian Assange ha messo online «sono stati ottenuti con un furto simile a quelli fatti in passato adoperando le valigette». Si tratta di un reato grave contro lo Stato «che ha messo a rischio la vita di numerosi attivisti dei diritti umani svelandone gli incontri con i nostri diplomatici». L’atto di accusa contro Wikileaks sembra anticipare il testo della richiesta di estradizione di Assange.

Messaggio a Pechino Ai Paesi che ostacolano Internet, Hillary manda a dire: «Avrete meno investimenti stranieri perché le aziende esitano a operare dove lo Stato spia le comunicazioni private». L’intento è farsi ascoltare soprattutto da Pechino: «La Cina pensa di essere un’eccezione perché nonostante le limitazioni al Web gli investimenti arrivano ma si accorgerà presto dei costi a cui va incontro nel lungo termine«. I leader di Birmania, Iran, Cuba, e Cina si trovano «davanti al dilemma dei dittatori, far cadere il Muro o accettare i costi della sua conservazione».

Attivisti in Rete Per promuovere la libertà digitale gli Usa hanno investito 48 milioni di dollari in due anni. «Spendiamo per sviluppare tecniche di comunicazione che consentono agli attivisti della libertà digitale di sviare attacchi e controlli» e dunque «ogni volta che uno Stato dispotico applica nuove contromisure noi rispondiamo con innovazioni». L’obiettivo una «coalizione globale» che nel lungo termine «garantirà sicurezza, libertà e prosperità» al popolo del cyberspazio «che include filosofi cinesi, scienziati brasiliani e agricoltori kenyoti».

Il FOGLIO - " E’ un genio degli isotopi l’uomo del destino atomico dell’Iran "


Abbasi Davani

Roma. Ieri al Parlamento iraniano è stata invocata la pena di morte per i leader dell’opposizione Mehdi Karroubi e Mir Hossein Moussavi, mentre sono proseguite per le strade di Teheran le proteste anti regime: la polizia ha ammesso che due manifestanti sono rimasti uccisi lunedì negli scontri. Il presidente americano, Barack Obama, ha criticato la repressione e ha definito “coraggiosi” i ragazzi che continuano a manifestare. E mentre gli analisti occidentali spiegavano che il legame tra forze di sicurezza e governo è forte, non come in Tunisia ed Egitto, è arrivata una nomina decisiva per le sorti della bomba nucleare iraniana. Abbasi Davani è il nuovo capo dell’Iran Atomic Energy Organization, l’agenzia che ha in mano i destini atomici degli ayatollah. A dicembre Davani era scampato per miracolo a un tentativo di assassinio assieme alla moglie, nello stesso giorno in cui rimaneva ucciso lo scienziato nucleare Majid Shahriari. Quest’ultimo è diventato un “martire” della Rivoluzione con tanto di fotografie che campeggiano nelle adunate del regime. Al vertice del Walhalla della ricerca nucleare iraniana arriva adesso il professor Davani, che è anche uno dei capi ideologici delle Guardie della Rivoluzione, il corpo militare di élite difensore della visione di Khomeini. Un Dottor Stranamore fanatizzato andrà a dividere isotopi radioattivi. Per questo la notizia della sua ascesa ha fatto rumore in occidente. Nel 2004 l’Onu inserì Davani nella lista dei 4 scienziati iraniani più importanti, accusandolo di essere coinvolto in “attività balistiche illegali”. Davani fa parte dei pasdaran dal 1979. Secondo il sito conservatore Mashregh News citato dalla Bbc, Davani è “uno dei pochi specialisti in grado di separare gli isotopi”, processo cruciale nella produzione di combustibile nucleare. E’ lunga la scia di scienziati iraniani “caduti”. Il braccio destro di Davani, l’ingegnere Massoud Ali Mohammadi, il padre del programma missilistico iraniano, è morto misteriosamente nel complesso militare industriale Shahid Hemat a sud di Teheran. Una fuga di gas radioattivo ha ucciso anche Ardeshir Hassanpour, il cervello della fisica iraniana catalogato dall’intelligence occidentale come il massimo esperto di Teheran nel settore della ricerca militare. Eminenza nel campo dell’elettromagnetismo, Hassanpour aveva insegnato all’Università di Shiraz ed era diventato famoso grazie agli articoli pubblicati su numerose riviste internazionali. Gli altri quattro fisici nucleari oggi decisivi per l’atomica iraniana sono Mohsen Fakhri-Zadeh, Mansoor Asgari, Mohammad Amin Bassam e Majid Rezazadeh. Zadeh è docente all’Università Imam Hussein di Teheran, dove si formano i pasdaran. E’ un ufficiale dei Guardiani della Rivoluzione fin dagli esordi, oltre ad aver combattuto nella guerra contro l’Iraq e aver studiato con Abdul Qadeer Khan, il padre della bomba atomica pachistana. Oggi Zadeh presiede il Centro di tecnologia e difesa moderna avanzata. E’ anche lui collega di Davani. Terzo della lista è un esperto di laser: Mansoor Asgari, anche lui nel consiglio dell’Università Imam Hussein. E a Isfahan opera Majid Rezazadeh, che presiede il complesso scientifico dell’Università Malek Ashtar. Sarebbero circa ottomila gli addetti al nucleare, fra docenti universitari, tecnici ed esperti di centrifughe. Solo a Isfahan lavorano tremila scienziati. La maggior parte ha studiato nelle università europee (soprattutto in Gran Bretagna e in Belgio), in centri internazionali, come quello di Trieste, e negli Stati Uniti. I più ideologizzati, come Davani, finiscono sempre alle dipendenze del ministero della Difesa.

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Non siamo criminali ma lottiamo per la libertà "

«Ci hanno etichettato come teorici del complotto, traditori e criminali» , lamenta «Anon-y_Ops» , uno dei membri di Anonymous, sul suo profilo Twitter. La definizione corretta, invece, dice lui (o lei) al Corriere è: «Difensori dei diritti umani» . In un’intervista via Twitter, condotta in inglese, attraverso messaggi diretti, Anony_Ops spiega così le ragioni che stanno portando il gruppo di hacktivists (cioè hacker più attivisti) ad appoggiare le rivolte in Iran, in Algeria, in Egitto. «Anonymous lotta per la libertà. Consideriamo l’oppressione dei popoli come un attacco contro i diritti umani e la libertà di parola. Per questo lottiamo per tutti loro» . I vigilantes di Internet stanno decisamente allargando il territorio d’azione. Sul profilo di Anony-_Ops appare il logo del gruppo, una figura in giacca e cravatta nere con un punto interrogativo al posto della testa, sovrapposta al logo delle Nazioni Unite. Ieri, ha più volte postato nuove indicazioni per individuare i bersagli, cioè i siti web che i membri possono «bombardare» : i siti dei media di Stato iraniani Irib e Irna, e quelli in farsi e in inglese della Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Nel frattempo ha ritwittato l’urgente appello di Amnesty all’Italia a proteggere i diritti dei migranti tunisini, ha rilanciato il messaggio di Hillary Clinton sull’Iran, ha lamentato che gli americani «non sono consapevoli, perché non sentono mai le notizie "vere"» . L’operazione Iran (o meglio #opIran, come viene chiamata su Twitter) è in corso almeno dall’ 11 febbraio, insieme alla #opAlgeria (quest’ultima sarebbe riuscita a bloccare temporaneamente il sito del presidente algerino e quello del ministero dell’Interno il 12 febbraio). Nuovo messaggio privato da Anony_Ops: «Che sia Wikileaks oppure l’Egitto, l’Iran, l’Algeria, non importa: siamo qui per difendere i diritti umani e la libertà in tutto il mondo» . Ed eccone un altro. «… perché Anonymous non è legato a un singolo Paese. Veniamo da posti diversi nel mondo e lottiamo per una causa comune» . Ma come pensa che i cyber-attacchi possano concretamente aiutare i diritti umani? E non c’è davvero nessuna «operazione» da cui si sente di prendere le distanze? Domande che restano senza risposta. L’anonimo è scomparso nell’oscurità.

La STAMPA - Maurizio Molinari : " C’è una generazione matura e democratica. Ma la Cia l’ha vista? "


Reuel Marc Gerecht

In Medio Oriente è scattato il domino democratico ma l’Intelligence Usa è stata l’ultima ad accorgersene». Parola di Reuel Marc Gerecht, ex titolare del dossier Iran alla Cia ora in forza alla Fondazione per la difesa della democrazia di Washington.
Che opinione si è fatto di quanto sta avvenendo in Iran?
«L’Onda Verde del 2009 è viva e vegeta. Chi a Teheran pensava di averla sconfitta si sbagliava, quando una rivolta coinvolge decine di migliaia di persone, forse di più, non è facile archiviarla senza affrontarne gli interrogativi. È però presto per dire se le ultime manifestazioni riusciranno a mobilitare le masse».
Perché l’Onda Verde è tornata a mostrarsi proprio adesso?
«Hanno visto cadere Hosni Mubarak in Egitto e hanno pensato, non senza ragione, che sono stati loro a innescare quanto sta avvenendo in più nazioni del Medio Oriente».
Crede che sia in atto un domino democratico nella regione?
«È in pieno svolgimento».
Qual è la sua dinamica?
«È duplice. Anzitutto investe Paesi che hanno caratteristiche simili: carenza di libertà, repressione, problemi economici irrisolti e una nuova generazione che compone gran parte della popolazione. La miccia sono le informazioni, che corrono molto veloci, più di quanto avveniva anni fa».
Intende dire grazie a Internet?
«Non solo. A portare in milioni di case quanto avvenuto in Tunisia ed Egitto sono state Al Jazeera e Al Arabiya, due tv con grande seguito. Il resto lo ha fatto Internet con Google, Facebook, Twitter, le email. E c’è anche un terzo fattore: gli sms. Sono uno strumento molto efficace per mobilitare. Neanche il regime può permettersi di bloccarli a lungo».
Come giudica la gestione da parte della Casa Bianca?
«Barack Obama è un presidente con una doppia identità, realista e idealista. Il realismo lo fa somigliare a George H. W. Bush, il presidente che fu capo della Cia ed era disposto ad accettare qualsiasi compromesso pur di far avanzare la propria agenda. Per Bush padre i valori americani non contavano. L’altra identità di Obama promuove tali valori, punta a espanderli, crede nella libertà e nella democrazia come diritto universale. Durante la crisi egiziana Obama ha oscillato fra queste due anime creando un po’ di confusione. Ma se l’effetto domino continuerà potrebbe essere la seconda ad avere il sopravvento».
Lei viene dall’Intelligence, come si spiega che il capo della Cia Leon Panetta ha sbagliato su Mubarak?
«L’Intelligence americana ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare sull’effetto domino in Medio Oriente».
A cosa si riferisce in particolare?
«Non ha previsto la Tunisia, ha sbagliato l’analisi sul dopo e quindi ha fatto previsioni errate sull’Egitto. Niente da stupirsi dunque se non ha indovinato l’effetto domino».
Da dove nascono tali errori?
«È una struttura elefantiaca, burocratica, dove osare significa andare incontro a conseguenze negative. L’intuizione non viene premiata e ciò restringe l’analisi, anche quando i fatti sono evidenti, come in Egitto. È troppo grande e poco agile».
Quale potrà essere la sorte dell’effetto domino?
«Ha già cambiato il Medio Oriente. L’interrogativo è quanto grandi saranno tali cambiamenti. L’errore più grave dell’Intelligence americana è stato di non accorgersi della maturazione di idee democratiche nelle nuove generazioni. È un processo in atto da anni. Ma non ci hanno voluto credere, rimanendo aggrappati all’immagine di un mondo arabo-musulmano congelato dai dittatori».

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