Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 15/02/2011, a pag. 1-13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " L’Iran esalta le rivolte, ma non a casa propria ". Dalla STAMPA, a pag. 6, l'articolo di Claudio Gallo dal titolo " L’Onda verde ritorna in piazza ", a pag. 7, l'intervista di Maurizio Molinari a Mohsen Sazegara dal titolo " Per gli iraniani l’Europa è più vicina degli Usa ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 3, l'intervista di Stefano Montefiori a Ian Buruma dal titolo " L’Occidente non deve temere la piazza musulmana ", preceduta dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "L’Iran esalta le rivolte, ma non a casa propria "

Fiamma Nirenstein
Magari il popolo iraniano fosse davvero giunto ieri, con le sue manifestazioni che già costano feriti e morti, nella grande rivoluzione del mondo islamico. Magari queste ore di scontri nel centro di Teheran e a Isfahan preparassero un improvviso e fortunoso balzo persiano nella democrazia, contro un governo che ha il record di violazioni dei diritti umani con le sue pubbliche impiccagioni di omosessuali, dissidenti, donne, un regime che prepara la bomba atomica per distruggere Israele e l’Occidente.
Se così fosse, questo evento avrebbe due caratteristiche straordinarie: l’ironia e un totale rivolgimento strategico rispetto a tutte le rivoluzioni in atto nel mondo musulmano.
L’ironia: nei giorni della rivoluzione egiziana e in quelle limitrofe, il supremo leader Khamenei, seguito da Ahmadinejad, ha solennemente dichiarato che era stata la rivoluzione iraniana del ’79 a ispirare la rivolta egiziana. È chiaro che non è affatto vero, semmai gli egiziani sono stati ispirati dal movimento che ha sfidato gli ayatollah e i risultati elettorali nel 2009. Ma i leader iraniani hanno voluto indire per ieri un corteo di sostegno alla rivoluzione egiziana, in realtà un modo di affermare il loro paternalismo egemonico su tutto il Medio Oriente e di annunciare la fine di Israele e dell’America. Ma così facendo Ahmadinejad e i vecchi ayatollah hanno svegliato il Popolo Verde del 2009, che ha indetto a sua volta una manifestazione, prontamente proibita dal regime. Il regime ha nei giorni scorsi proceduto a mettere i leader Verdi Moussavi e Karroubi agli arresti domiciliari, a compiere arresti di massa fra i giovani, e a procedere, si dice, ad una ondata di esecuzioni. Eppure nel buio di Teheran nelle ore dell’alba invernale in questi giorni la capitale si è riempita per giorni di canti che insieme ad «Allah è grande» intonano senza paura «Morte al dittatore», e ieri una enorme folla ha invaso la piazza. Che beffa per Ahmadinejad.
Così la strumentale esaltazione della rivoluzione egiziana da parte degli ayatollah finisce ironicamente nel risveglio del movimento che li vuole disperatamente rovesciare. Già un iraniano mi racconta la storia di un’eroina che ha cercato di gettarsi dalla finestra vestita di panni verdi, ma i basiji l’hanno fermata e portata e via, e non si conosce il suo destino. Una nuova Neda per una nuova rivoluzione anti khomeinista.
Il successo di questa nuova rivoluzione cambierebbe completamente tutte le carte sul tavolo mediorientale e renderebbe molto più vera la ricerca della libertà per il mondo islamico: infatti l’Iran cerca in questi giorni di imporre un suo marchio sulle rivoluzioni in corso, di estremizzarle e di volgerle in chiave religiosa e belligerante.
Nell’attuale rivoluzione nei Paesi musulmani non è certo l’aspirazione alla libertà, concetto estraneo all’Iran, che deve essere protetta, ma piuttosto la nuova disponibilità a diventare parte del suo sistema di alleanze e di potere. Un accordo fra sciiti come l’Iran insieme al Libano degli Hezbollah, e i sunniti egiziani, (con l’intervento attivo dei Fratelli Musulmani), e con i palestinesi di Hamas, può dare all’Iran il ruolo di Stato guida. La Siria è già nella sua sfera di potere.
La deriva estremista trascina verso nuove guerre. Senza un Iran aggressivo e integralista, la democrazia avrebbe molte più speranze. Inoltre, nel momento in cui Obama ha abbandonato il suo alleato più importante, l’Egitto, l’Iran si è subito offerto come nuovo amico, e con un certo successo: nei porti dell’Arabia Saudita si scorgono per la prima volta le sue navi. Ma Ahmadinejad siede anche lui su una zattera in un mare agitato: ieri durante le manifestazioni a Teheran lo si poteva vedere accanto ad Abdullah Gül, presidente della Turchia in visita. Anche l’ospite, di fronte alle notizie degli scontri, ha dovuto dire che bisogna ascoltare i popolo e si è schierato col popolo in piazza. Certo pensava alla sua casa, come tutti in Medio Oriente oggi. Teheran si è mostrata troppo sicura di fronte alla nuova enorme attenzione mondiale sulla democrazia. Se la folla seguirà l’esempio egiziano riuscendo a restare in piazza senza tornare a casa, se, speriamo di no, i basiji spareranno come hanno fatto nel 2009 è difficile che stavolta Obama possa voltarsi dall’altra parte come ha fatto cinicamente allora. Troppe ne ha dette in queste settimane contro i dittatori e per i popoli che cercano la libertà per tirarsi indietro adesso, anche se ormai ci siamo abituati alle sue più strane giravolte. Un segnale positivo viene dalle dichiarazioni di Hillary Clinton che ha detto che Washington sostiene le aspirazioni dell’opposizione iraniana, intimando a Teheran di non usare la violenza contro i manifestanti. Tuttavia si può affermare che l’atmosfera generale adesso è molto più favorevole a una rivoluzione iraniana di quanto non lo fosse nel 2009, e un suo esito positivo risulterebbe rassicurante anche per la marcia del popolo musulmano verso la democrazia.
www.fiammanirenstein.com
La STAMPA - Claudio Gallo : " L’Onda verde ritorna in piazza "

Il fumo dei cassonetti bruciati sale scuro dalle vie del centro, si mescola con la nebbia urticante dei lacrimogeni. Il suono delle sirene copre a intermittenza il clamore delle grida: Teheran sembra tornata ai giorni della rivolta verde del 2009, quando folle oceaniche di iraniani scesero in strada per protestare contro le elezioni truccate che avevano riportato al potere il presidente Ahmadinejad. Le stesse scene si ripetono nelle grandi città: Shiraz, Isfahan, Kermanshah, Mashhad. Nella capitale si parla di un morto e di centinaia di arresti.
Cavalcare la tigre è pericoloso. L’ayatollah Khamenei (sciita) ha definito le rivolte in Egitto e in Tunisia un risveglio islamico. Ma dal Cairo i Fratelli Musulmani (sunniti) lo hanno rimbeccato spiegandogli che di moti nazionalisti si trattata. «Mister» lo hanno apostrofato nel comunicato, neppure Ayatollah. E oggi si ritrova la piazza piena di oppositori che seguendo le sue parole manifestano in solidarietà con i «rivoluzionari» nordafricani. Il pretesto è svanito subito dopo le prime cariche, violentissime, della polizia e delle famigerate milizie Basiji: le parole d’ordine non potevano essere meno chiare: «Marg bar dictator», morte al dittatore, morte a Khamenei. L’Egitto non è stato però dimenticato, è tornano negli slogan di chi urlava: «I soldati si uniscano al popolo». E poi «Mubarak, Ben Ali, ora tocca a Seyyed Ali (Khamenei)». Nostante quasi due anni di durissima repressione, con migliaia di arresti, riecco l’Onda Verde, alla faccia dei tanti accigliati analisti occidentali che l’avevano data per spacciata.
Nel bel mezzo della tragedia non è mancata una nota ironica. A circa cinque chilometri della zona degli scontri, nel palazzo presidenziale, Ahmadinejad riceveva con tutti gli onori il presidente turco Abdullah Gul, araldo della nuova ostpolitik di Ankara «zero problemi coi vicini», molto apprezzata dall’isolato Iran. «A mio modo di vedere - ha detto Gul mentre all’università Sharif la polizia manganellava gli studenti - ciò che sta accadendo non è una sorpresa. In un’epoca di comunicazione, in cui ciascuno è consapevole degli altri, le domande e i desideri della gente sono molto realistici. Vediamo, talvolta, che quando i leader e i capi delle nazioni non prestano attenzione alle richieste della gente, il popolo si mobilità per realizzare le proprie aspirazioni». Intendeva Mubarak e Ben Ali, ma era come parlare di corda in casa dell’impiccato.
L’ex premier Mir Houssein Mousavi e l’ex speaker del Parlamento Mehdi Karroubi che avevano chiamato a raccolta la piazza, sono rimasti agli arresti domiciliari, senza telefono né internet. L’abitazione dell’ex presidente riformista Khatami è circondata dagli agenti. Centinaia tra gli attivisti che erano ancora in libertà sono stati arrestati nei giorni scorsi. Una tv araba ha detto che Mousavi e la moglie Zahra Rahnavard erano tra i dimostranti. Fonti attendibili a Teheran smentiscono. Mousavi avrebbe cercato di uscire di casa ma la polizia segreta glielo avrebbe impedito.
Testimoni, come Reza Sayah della Cnn, parlano di decine di migliaia di manifestanti in piazza Asadi, la stessa piazza dove due anni fa alcuni milioni di persone fecero tremare le gambe al regime. Le dimostrazioni sono cominciate pacificamente ma la reazione, immediata e brutale, degli agenti antisommossa in divisa nera è stata violentissima. Gruppi di Basiji, la milizia del regime, armati di bastoni e coltelli, hanno attaccato la gente in strada. In tutto il centro della capitale è stata disattivata la rete dei cellulari. Scontri con la polizia anche in piazza Vanak, nel Nord «liberale» di Teheran. La gente intorno a piazza Asadi, teatro degli scontri più duri, raccontava che l’aria era densa di lacrimogeni e non si riusciva a respirare. Secondo radio Zamaneh, starebbero provando a stabilire un presidio alla maniera di piazza Tahrir al Cairo. Arrestato e subito rilasciato il console spagnolo.
Dice Golnaz Esfandiari di Radio Liberty: «Le proteste di oggi a Teheran e in molte altre città dimostrano che il movimento di opposizione non è morto come dicono le autorità. La protesta contro il regime è ben viva e la pesantissima repressione non è riuscita a zittirla. Molte persone con cui ho parlato in Iran mi hanno detto di essere furibonde con i riformisti dell’Islamic partecipation Front per aver detto che i Verdi non vogliono il collasso del regime. Un giovane che oggi era in piazza mi ha detto che era pronto a morire per la libertà. Le sollevazioni in Egitto e Tunisia hanno rivitalizzato il movimento iraniano e gli hanno dato nuova speranza».
Finora la risposta del regime alle proteste è stata a senso unico: brutalità, arresti, censura. Le forze di sicurezza sbaveranno di rabbia per non aver saputo impedire le manifestazioni di oggi. Il rischio è che alzino il livello della repressione, che colpiscano i leader della protesta come Mousavi, Karroubi e Khatami. Protagonisti della storia della Repubblica islamica, sono stati finora intimiditi ma risparmiati. Domani potrebbe essere il loro turno.
La STAMPA - Maurizio Molinari : "Per gli iraniani l’Europa è più vicina degli Usa"

Mohsen Sazegara
I giovani iraniani stanno applicando le tecniche della guerriglia non violenta e la loro richiesta sono libere elezioni». Mohsen Sazegara, ex co-fondatore dei pasdaran nel 1979 ed ora voce del dissenso iraniano a Washington, parla di «scontri in molte città».
Cosa sta avvenendo in Iran? «Tutto è iniziato nella notte di domenica. I giovani sono saliti sui tetti di Teheran e di altre 37 città iraniane intonando Allah akbar per invitare la gente a scendere in piazza. Come poi è avvenuto, scatenando la repressione».
Qual è l’obiettivo dei manifestanti? «L’intento è chiedere al regime della guida suprema Ali Khamenei e del presidente Mahmud Ahmadinejad di indire libere elezioni. Lo slogan è “Dopo Ben Ali e Mubarak tocca al Leader Supremo”, cioè a Khamenei».
Come avvengono le proteste? «Abbiamo imparato la lezione del 2009. I manifestanti adesso usano una tattica diversa».
Di cosa si tratta? «E’ una guerriglia urbana non violenta. Gruppi di persone si dirigono a piedi in diverse località della città, si mettono sedute in terra e iniziano a manifestare. A Teheran il luogo più grande dove si concentrano è piazza Azadi, che significa liberazione come Tahrir al Cairo, ma lo stesso avviene in altre zone. La novità è che i sit-in si stanno svolgendo anche a Teheran Sud, nei quartieri poveri».
Qual è stata la reazione delle forze di sicurezza? «Stanno picchiando duro. Prima sono arrivati gli agenti in borghese e poi quelli in divisa. Hanno usato bastoni, manganelli, catene e pugnali per colpire i manifestanti. In un caso, dopo averli feriti, li hanno inseguiti dentro un ospedale di Teheran. Vi sono state aggressioni mentre i dottori stavano prestando le cure ai feriti. Ma, ripeto, non è solo Teheran, la protesta è molto più vasta».
Quanto conta l’impatto della caduta di Hosni Mubarak in Egitto per i manifestanti che scendono oggi in piazze in Iran? «Basta ascoltarli. Dicono che vogliono terminare ciò che hanno iniziato. Vedono nella caduta di Mubarak e Ben Ali il risultato delle proteste democratiche in Medio Oriente, che furono loro a incominciare dopo il fraudolento risultato delle presidenziali del 2009».
Il Dipartimento di Stato americano ha appena inaugurato un Twitter in lingua persiana. Come giudica il sostegno di Washington alle proteste? «La realtà è che per gli iraniani l’Europa conta più degli Stati Uniti. Vi sentiamo più vicini, legati a noi da storia e cultura. Per questo la gente in strada si aspetta che i leader europei parlino chiaro, facendo presente al governo di Teheran che se le persone saranno picchiate, ferite, arrestate e umiliate allora il regime subirà un isolamento internazionale ancora maggiore di quello esistente».
Perché la richiesta della piazza è di indire libere elezioni? «Ciò che accomuna gli iraniani è l’amore per la libertà e la democrazia. Il regime di Ahmadinejad e Khamenei impone da trent’anni elezioni che servono solo a legittimarlo e prolungarlo. Chi scende in strada vuole avere la possibilità di scegliere i suoi governanti».
CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori : " L’Occidente non deve temere la piazza musulmana "

Ian Buruma
Stefano Montefiori chiede a Buruma: " È possibile che possa affermarsi il modello turco di un partito islamico che accetta le regole della democrazia?". Non è ben chiaro a che cosa si riferisca. La censura, il rifiuto a parlare del genocidio degli armeni e riconoscere la responsabilità della Turchia, i processi agli scrittori sono tipici della democrazia ?
Buruma risponde : "La mia impressione è che in tutti i Paesi musulmani gli islamici siano oggi divisi, moderati contro integralisti.". Gli islamici non sembrano affatto divisi. Buruma sostiene che la manifestazione in Egitto non sia contro gli Usa e contro Israele perchè non si sono sentiti slogan del genere. Seguendo lo stesso ragionamento, facciamo notare a Buruma che non si sono sentiti nemmeno slogan contro la Sharia, contro i Fratelli Musulmani, contro l'Iran. Di quali divisioni parla Buruma ?
L'intervista non è d'aiuto al lettore per capire la situazione, ma chiarisce solo la totale incomprensione di Buruma per ciò che sta succedendo.
Sulla stessa falsariga un articolo di Luigi Bonanate pubblicato dall'UNITA'.
Si distingue per banalità di analisi anche Hillary Clinton, quando invita a non scadere nella violenza. Di fronte ai basiji che bastonano e pugnalano la gente per strada questo è il commento ufficiale degli USA ?
Ecco l'intervista:
Anche gli iraniani in piazza contro l’oppressione. Il risveglio del mondo islamico, dalla Tunisia all’Egitto, ricorda Teheran 2009 piuttosto che Teheran 1979? «Direi di sì. Ora Ahmadinejad avrà più difficoltà a cavalcare le rivolte, che lui ha provato a dipingere come la giusta ribellione islamica contro i fantocci dell’Occidente. Ahmadinejad mentiva, e la nuova rivolta di Teheran ne è la prova. La rivoluzione iraniana del 1979 venne dirottata da Khomeini in senso teocratico, e da allora l’Occidente ha il terrore delle manifestazioni popolari nel mondo islamico. Ma stavolta non sentiamo grida anti Usa, il nemico non è più il grande Satana americano ma il regime religioso. Proprio come nel dicembre 2009, quando la rivoluzione verde di Moussavi venne repressa nel sangue» . Ian Buruma, docente al Bard College nello Stato di New York e autore di molti saggi tra i quali l’ultimo Taming the Gods: Religion and Democracy on Three Continents, è stato tra i primi a segnalare l’assenza, nella strade di Tunisi e del Cairo, dei fanatici islamici. La popolazione si sta mobilitando in Algeria, Yemen, Bahrein, Iran contro tutti i governi totalitari, siano essi militari o religiosi. Il Medio Oriente assiste alla sua «caduta del Muro di Berlino» ? «Le situazioni sono incomparabili, il crollo dell’Unione Sovietica ha permesso ad alcune nazioni come la Polonia o la Cecoslovacchia di riscoprire tradizioni democratiche qui assenti. È difficile fare previsioni su come evolverà la situazione» . C’è qualcosa che accomuna i manifestanti di tutti i Paesi, oltre al generico desiderio di libertà? «Mi pare che a scendere in piazza siano dappertutto strati sociali piuttosto eterogenei. Innanzitutto i giovani istruiti, che sono molto ben organizzati e sfruttano le nuove tecnologie, da Facebook a Twitter, per guidare la sollevazione. Loro sono il motore pensante della rivolta. Poi c’è la massa dei poveri, i disoccupati, gente furibonda perché lo Stato finora ha offerto loro nient’altro che corruzione e frustrazione. Sullo sfondo, per adesso in un ruolo di secondo piano, gli islamici» . È possibile che possa affermarsi il modello turco di un partito islamico che accetta le regole della democrazia? «La mia impressione è che in tutti i Paesi musulmani gli islamici siano oggi divisi, moderati contro integralisti. In Turchia vinsero i primi offrendo un’alternativa all’islam jihadista, ma a mio parere per adesso è davvero impossibile prevedere che accadrà, per esempio, in Egitto» . Lei è ottimista o pessimista? «Diciamo che non sono completamente pessimista. Secondo molti la democrazia non ce la può fare, perché le rivolte verranno represse o perché prenderanno una connotazione integralista. Io invece credo che la situazione sia molto incerta, ma c’è una vera possibilità che si affermi il pluralismo» . Nel dubbio, il premier israeliano Netanyahu ricorda che l’ «esercito è pronto a ogni eventualità» . «Certo, per Israele si tratta di un cambiamento strategico gigantesco. Il caposaldo della politica militare di Gerusalemme è da decenni il fatto che l’Egitto non pone problemi, il confine è sicuro e il Trattato di pace regge. Una fase di instabilità prolungata al Cairo sarebbe un incubo per lo Stato ebraico» . L’Occidente dovrebbe rompere gli indugi e aiutare più apertamente le popolazioni in rivolta? «Il presidente Obama è stato molto criticato per il suo ruolo di basso profilo ma a mio parere ha scelto la strada giusta. Non si tratta di lavarsene le mani, ma di evitare l’impressione di essere i burattinai di quel che sta accadendo» . Il Dipartimento di Stato americano ha appena inaugurato un servizio Twitter in farsi. «Una mossa delicata, per le ragioni che ho appena detto. L’odio anti occidentale potrebbe rinascere. Bisognerebbe riuscire a sostenere chi lotta per la libertà, senza dare la sensazione di ispirare la rivolta» . Il conflitto arabo-israeliano non è risolto, eppure le cose in Medio Oriente cominciano a muoversi lo stesso. È la fine del grande alibi? «Credo ancora che quella questione vada affrontata, ma è vero: per la prima volta Gerusalemme non è al centro delle preoccupazioni».
Per inviare la propria opinione a Giornale, Stampa, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti