Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
E’ andata così Meir Shalev Traduzione di Elena Loewenthal Feltrinelli Euro 16
«Tu stai attenta a lui, Batiuccia, questo qui è un merlo dabbene». L'atmosfera è carica di tensione, la lite è cresciuta progressivamente di tono, e i due contendenti – Nonna Tonia e papà Shalev – si affrontano con aria torva. «Uomo risoluto e irascibile» Shalev padre ha appena lanciato «a sua suocera la frecciata più diabolica: le ha detto che non la sopporta perché gli ricorda sua madre!». La nonna ha reagito con un'offesa non meno luciferina, gratificando il genero con il terribile epiteto del «merlo dabbene». Il colpo, imprevedibilmente, è andato a segno e lo scontro ha avuto fine. È andata così di Meir Shalev è un mosaico di episodi di questo tipo, esplorazioni ironico-sentimentali tra ricordi e stupori d'infanzia. La cornice è quella più congeniale allo scrittore israeliano: il mondo dei pionieri askhenaziti in Terra d'Israele, poveri ma orgogliosi del loro socialismo rurale. La stoffa della narrazione è intessuta con la lingua strampalata, e le abitudini non meno eccentriche di una matriarca insopportabile e adorata arrivata in Palestina dall'Ucraina a 18 anni e divenuta ben presto padrona dei destini e delle ambizioni dell'intero clan famigliare. Accanto a lei, un marito sottomesso e infedele, figlie e il nipote, voce narrante che di tutto si stupisce e tutto sa trasformare in racconto. Nonna Tina parla e straparla, impartisce ordini, ossessionata dall'igiene. Quello che le importa è che la sua casetta sia lustra come uno specchio, e che la vita proceda ordinata, prevedibile, ritmata. Sarebbe solo una semplice storia d'immigrazione e di aspirazioni piccolo borghesi, se Shalev non riuscisse a reinventarla con la sua prosa a precipizio (di cui la traduzione di Elena Loewenthal riesce a mantenere anche le coloriture più segrete), dove il quotidiano si eleva spesso a sontuoso non-senso: «Una lingua deve descrivere molti mondi: quello della realtà in cui esiste e opera, e quelli spaventosi e trasognati del l'immaginazione». Forte di questa certezza, l'autore gioca spericolatamente con le manie e le nostalgie di casa. Alla lunga, il minimalismo narrativo tradisce tuttavia un poco di stanchezza, in specie quando Shalev cerca il colpo a effetto. È il caso dell'aspirapolvere americano, che dovrebbe rappresentare il climax surreale della vicenda. La scena non convince appieno, e rischia di indebolire un intreccio di ricordi altrimenti ben riuscito.