Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/02/2011, a pag. 12, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Tutto il potere ai generali: Al governo per sei mesi ", la breve dal titolo " Netanyahu: la pace con l’Egitto cruciale per il Medio Oriente ". Dall'UNITA', a pag. 35, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Yossi Sarid dal titolo " Israele, apri gli occhi. Tahrir è una piazza amica ", preceduta dal nostro commento. Ecco i pezzi:
La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Tutto il potere ai generali: Al governo per sei mesi "

Ahmed Shafiq, premier egiziano
La democrazia in Egitto, per ora, ha la forma di un governo militare. Ieri, infatti, le forze armate hanno congelato la costituzione, sciolto il Parlamento e annunciato che terranno il potere per almeno sei mesi, in attesa di organizzare le nuove elezioni. Piazza Tahrir si svuota, ma i ragazzi che hanno animato la protesta del 25 gennaio minacciano già di tornare in strada, se i soldati non manterranno la promessa di passare la mano ad un governo civile.
Il Supremo consiglio delle forze armate stavolta non ha mandato un militare a diffondere il suo comunicato. Lo ha passato direttamente alla televisione di Stato, che lo ha fatto leggere ad un’annunciatrice. Il testo dice che il Consiglio ha deciso nove punti: primo, sospendere la Costituzione; secondo, gestire provvisoriamente il Paese per 6 mesi, o fino alla fine delle elezioni legislative e presidenziali; terzo, il presidente del Consiglio (maresciallo Hussein Tantawi) assumerà la rappresentanza del Paese all’interno e all’estero; quarto, sciogliere l'Assemblea del Popolo ed il Consiglio Consultivo; quinto, il Consiglio Supremo ha l'autorità di pubblicare leggi per decreto; sesto, formare una commissione per le modifiche di alcuni articoli della Costituzione e per fissare le regole del referendum che dovrà approvarle; settimo, il premier Ahmed Shafiq assume la direzione del consiglio dei Ministri fino alla formazione di un nuovo gabinetto; ottavo, garantire lo svolgimento di elezioni legislative e presidenziali; nono, l’Egitto si impegna a mettere in applicazione i Trattati e gli accordi regionali e internazionali.
Un decimo punto non scritto aggiunge che saranno i militari a determinare il ruolo di Omar Suleiman, che Mubarak aveva nominato vice presidente in extremis, nella speranza di salvare la sua poltrona. Invece il premier Shafiq, un altro generale, conserva il posto alla guida del governo provvisorio. Ciò rafforza le sue ambizioni politiche, anche in vista delle presidenziali, dove probabilmente il blocco sostenitore del regime cercherà comunque di esprimere un candidato.
In teoria, questa potrebbe essere una «road map» per condurre davvero l’Egitto verso la democrazia. Nella pratica, però, è il completamento del «colpo di mano» cominciato dai militari giovedì, che ha portato alle dimissioni di Mubarak, e solo la loro parola garantisce che alla fine il potere tornerà ai civili.
L’opposizione, infatti, si è già divisa sul comunicato del Supremo Consiglio. Ayman Nour lo ha definito «la vittoria della rivoluzione». Evidentemente si fida e crede che questa sia la transizione, infatti ieri ha ufficializzato la sua candidatura alle prossime presidenziali. Mohammed El Baradei, invece, ha dichiarato che vuole vederci più chiaro: «I passaggi non sono ancora definiti. Io preferirei che il potere passasse ad un governo di tecnocrati e ad un consiglio presidenziale formato da un militare, un giudice e un civile». Secondo i Fratelli Musulmani «la dichiarazione del Supremo Consiglio è accettabile, però mancano dei dettagli. Va bene dissolvere il Parlamento e convocare le elezioni, ma bisogna anche togliere le leggi marziali e definire un calendario preciso per la transizione».
A conferma di quanto l’Egitto resti instabile, ieri sono scesi in strada a manifestare anche i poliziotti, che avevano massacrato i ragazzi durante la protesta di venerdì 28. Chiedevano soldi e garanzie di impunità al ministro dell’Interno, che gliele ha date, anche se la sfilata degli agenti ha provocato tafferugli proprio con i militari.
I ragazzi di piazza Tahrir invece hanno accettato l’invito dei soldati a sgomberare, e si sono messi persino a riverniciare le inferriate verde e oro dei giardinetti, dove avevano combattuto la battaglia a sassate con le bande sostenitrici di Mubarak. Però uno di loro, il blogger Wael Abbas, ha messo in guardia i colleghi: «Sono scettico, non mi fido. Voglio vedere chi fa parte della commissione per modificare la Costituzione, e preferirei un governo di transizione con dei civili». E se i militari non mantenessero le promesse, tenendosi il potere alla scadenza dei sei mesi? «Allora torneremmo in piazza. Ormai sappiamo di cosa siamo capaci, e lo sanno anche loro».
La STAMPA - " Netanyahu: la pace con l’Egitto cruciale per il Medio Oriente"


Mohamed Tantawi, Ehud Barak
«Accogliamo con favore l’impegno dichiarato dai militari che l’Egitto continuerà a onorare l’accordo di pace con Israele». Lo ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, rilevando che «l’accordo di pace con Israele resiste da molti anni. Durante questo periodo tutti i governi egiziani l’hanno accolto e portato avanti». «Crediamo - ha infine affermato - che sia il fondamento della pace e della stabilità, non solo tra i due Paesi, ma in tutto il Medio Oriente». La nuova leadership egiziana e Israele hanno avuto un primo contatto: il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, e Mohamed Tantawi, capo del Consiglio militare superiore che ora ha il potere in Egitto, si sono parlati al telefono sabato.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Israele, apri gli occhi. Tahrir è una piazza amica "

Yossi Sarid
Secondo Yossi Sarid il rovesciamento di Mubarak non ha nulla a che vedere coi Fratelli Musulmani. Sarid sostiene che al governo israeliano faccia comodo sostenere il contrario: " Perché l'idea di essere circondati da piazze arabe dominate da barbuti che invocano la Jihad contro il Nemico sionista, piazze in cui si bruciano bandiere con la stella di David, questa idea, che ha avuto è bene riconoscerlo anche conferme dalla realtà, serve per giustificare l'arroccamento e per sostenere che è impossibile fidarsi degli arabi". Perciò Israele avrebbe quasi la speranza che i Paesi limitrofi cadano nelle mani dei fondamentalisti per convenienza politica e poter affossare i negoziati mantenendo un'immagine pulita. Una teoria difficile da prendere sul serio, specialmente visto il risultato ottenuto alle ultime elezioni da chi l'ha formulata. Una sconfitta bruciante, per il fondatore di Meretz. Quando Udg gli fa notare che Hamas ha manifestato consenso per la rivoluzione in Egitto, Sarid dichiara, non si sa in base a quali elementi : "A, parole, in realtà ne temono il contagio ".
L'intervista si conclude con un riferimento ai Palestinian Papers che, secondo Sarid, dimostrano come sia Netanyahu a voler impedire il raggiungimento di una soluzione. Abu Mazen era pronto a cedere a Israele pezzi di Gerusalemme che sono già suoi, come ha potuto Netanyahu rifiutare ? Ah, la sinistra pacifista israeliana, non impara mai dai propri errori.
Ecco l'intervista:
In quella piazza non ho visto bruciare una bandiera israeliana. In quella piazza del Cairo non ho sentito uno slogan grondante di odio verso gli ebrei. In quella piazza milioni di persone hanno rivendicato dèmocrazia, diritti, libertà. E da israeliano dico: ben vengano nel mondo arabo dieci, cento Piazza Tahrir».
A sostenerlo è una delle figura più rappresentative della sinistra israeliana: Yossi Sand, fondatore del Meretz, più volte ministro nei governi a guida laburista, oggi tra gli analisti di punta del quotidiano Haaretz.
«Israele — dice Sarid a l'Unità — non deve sentirsi orfano di Hosni Mubarak. La verità è che un vecchio ordine è entrato irrimediabilmente in crisi e solo lo sviluppo di processi di democratizzazione ptiò rappresentare l'antidoto al propagarsi del fondamenta-lismo».
Quella piazza, insiste Sarid, «ha spazzato via stereotipi inquietanti quanto consolatori per chi, nel mio. Paese, avverte il mondo arabo circostante come un monolite ostile. Le piazze che eravamo abituati a vedere, contro cui eravamo pronti a fare quadrato, erano popolate da barbuti che gridavano alla Jihad contro il Nemico sionista. Così non è stato nella rivolta-egiziana. Quel mondo fatto soprattutto di giovani parla a Israele un linguaggio nuovo. Sta a noi saperlo ascoltare».
Molti in Israele, soprattutto a livello governativo, si sentono «orfani» di Hosni Mubarak
«Io non sono tra questi. E non perché non riconosca il ruolo che Mubarak ha avuto nel mantenere una sia pur fragile stabilità in Medio Oriente. Non mi sento "orfano" perché penso che ciò che è avvenuto in queste settimane in Egitto sia qualcosa di epocale che mette in crisi vecchie certezze e impone a tutti di ripensare se stessi. Compresi noi israeliani».
C'è chi ha letto la «Rivoluzione dei loto» egiziana come una rivolta sociale, di «pancia».
«Non sono d'accordo. Mi pare una lettura riduttiva di ciò che è avvenuto. Umiliante non è solo essere condannato alla disoccupazione, o vivere con i morti, o dover sopravvivere con due dollari al giorno... Umiliante è anche non poter incidere sulla vita politica, passare da una elezione truccata ad un'altra, è la censura. Contro tutte queste umiliazioni milioni di egiziani si sono ribellati. Hanno chiesto democrazia e non pane. E questo è un fatto di straordinario significato in un mondo arabo in cui l'unica alternativa ai vecchi regimi sembrava essere, o si sperava che fosse, il fondamentalismo islamico».
Chi lo sperava?
«I nostalgici del "Conflitto di civiltà" e quanti agitavano lo spauracchio fondamentalista per difendere l'attuale status quo».
Un discorso che vale anche per Israele?
«Certo che sì. Perché l'idea di essere circondati da piazze arabe dominate da barbuti che invocano la Jihad contro il Nemico sionista, piazze in cui si bruciano bandiere con la stella di David, questa idea, che ha avuto è bene riconoscerlo anche conferme dalla realtà, serve per giustificare l'arroccamento e per sostenere che è impossibile fidarsi degli arabi. Quante volte abbiamo sentito discorsi di politici israeliani che sostenevano di fronte alle critiche che venivano anche da quell'Occidente, gli Usa, l'Europa, non certo pregiudizialmente ostile a Israele: capiamo, ma voi non dovete dimenticare che noi siamo l'unica democrazia in Medio Oriente. Ebbene, la gente di Piazza Tahrir dice che non siamo più da soli a muoversi su questa strada. Questa verità spiazza chi oggi ha le redini del governo in Israele, ne svela l'ambiguità».
A chi e a cosa si riferisce?
«A Benjamin Netanyahu, ad esempio. Quante volte l'attuale primo ministro ha enfaticamente ripetuto che la vera pace può essere forgiata solo con la democrazia? Ed ora che il più grande Paese arabo, l'Egitto, si gioca questa carta, ecco Netanyahu stracciarsi le vesti e rimpiangere il vecchio regime o sperare che il potere resti per sempre nelle mani dei militari egiziani. In questa schizofrenia c'è la paura del nuovo, l'incapacità di farne parte».
Hamas ha esaltato la rivolta egiziana
«A, parole, in realtà ne temono il contagio».
Resta la crisi del negoziato israelo-palestinese.
«Una crisi che nasce dalle chiusure di quello che considero il peggior governo nella storia d'Israele».
Da cosa nasce questa valutazione così critica?
«Basta leggere i cosiddetti "Palestinian papers". Il governo Netanyahu-Lieberman-Barack ha impallinato anche la leadership palestinese più disposta al compromesso con cui Israele ha mai avuto a che fare. E poi dicono di non avere interlocutori».
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