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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-La Repubblica-IlSole24Ore-Libero Rassegna Stampa
13.02.2011 Egitto: Visto da Israele, di Paolo Mastrolilli,Fabio Scuto,Ugo Tramballi,Alessandro Di Maio
Ma anche Giordania,Hamas,Anp, Fratelli musulmani

Testata:La Stampa-La Repubblica-IlSole24Ore-Libero
Autore: Paolo Mastrolilli,Fabio Scuto,Ugo Tramballi,Alessandro Di Maio
Titolo: «I militari : rispetteremo i trattati internazionali'-La caduta di Mubarak preoccupa Israele.Netanyahu: " Rispettate gli accordi-Fratelli senza un progetto, uniti solo contro Israele-Votare non significa democrazia»

In questa pagina, alcuni giudizi sulla situazione egiziana in riferimento a Israele. Dalla STAMPA di oggi, 13/02/2011, a pag.10, l'articolo di Paolo Mastrolilli, inviato al Cairo, che contiene le dichiarazioni della giunta militare sull'accordo di pace con Israele. Riporta anche le posizioni dei Fratelli musulmani, che dovrebbero far riflettere coloro che non ne vedono la pericolosità
Corretta anche l'analisi di Fabio Scuto su REPUBBLICA, che analizza le reazioni israeliane, ma anche i rapporti tra Hamas e Fratelli musulmani. Non manca una attenzione alle vicende in casa Anp, 
Corretto anche il servizio di Ugo Tramballi sul SOLE24ORE, nel quale evidenzia i rapporti tra Fratelli musulmani  d'Egitto e la branca giordana. Se per ora l'atteggiamento è cauto, l'estremismo è più che visibile.Israele è il nemico da abbattere.
Su LIBERO Alessandro Di Maio intervista Gideon Doron sull'illusione che le elezioni possano significare di per sè democrazia.
Ecco gli articoli:

La Stampa-Paolo Mastrolilli: " I militari : rispetteremo i trattati internazionali' "


Il Gen.Mohamed Tantawi

I militari egiziani promettono di rispettare i trattati internazionali e passare il potere alle autorità civili, ma a meno di 24 ore dalle dimissioni di Mubarak i Fratelli Musulmani già alzano la testa, ponendo condizioni per partecipare al processo. Ieri pomeriggio, mentre giravano voci di una imminente partenza dell’ex raiss per farsi curare in Germania, il Supremo consiglio delle forze armate ha mandato in tv il generale Mohsen el-Fangari per leggere il suo comunicato numero 4. L’ufficiale ha sottolineato tre punti chiave: primo,

«l’Egitto è impegnato a rispettare tutti i trattati internazionali e regionali», e quindi anche quello di pace con Israele; secondo, «le forze armate aspirano ad un passaggio di poteri pacifico all’autorità civile, nel quadro di un regime democratico libero; terzo, l’attuale governo appena nominato da Mubarak deve restare in carica per gli affari correnti (a parte i ministri arrestati, come quello dell’Informazione), fino alla nascita di un nuovo esecutivo. Nel frattempo il coprifuoco viene ridotto dalla mezzanotte alle sei del mattino, nella speranza che oggi, primo giorno feriale della settimana nei Paesi musulmani, la gente torni al lavoro. E mercoledì riaprirà al Borsa.

I leader della protesta hanno reagito con cauta approvazione, ma anche con sospetto. «Va bene che il governo resti in carica - ci ha detto il portavoce del partito Wafd Sherdy - a patto che sia una misura provvisoria di pochi giorni». La coalizione dei manifestanti di piazza Tahrir ha pubblicato un documento congiunto, con cui avanza nove richieste: liberazione di tutti i prigionieri politici, fine dei tribunali militari, libertà di informazione e di creazione dei partiti, libertà di riunirsi in sindacati e organizzazioni della società civile, riforma della Costituzione, scioglimento del Parlamento, formazione di un consiglio di transizione composto da un militare e quattro civili, per portare l’Egitto alle elezioni entro nove mesi. «Ci fidiamo dei militari - ha detto il portavoce Hussein Abdelghany - ma ci sono molti dettagli da chiarire nel loro piano. Comunque resteremo vigili, nella piazza, per evitare sorprese». Per le presidenziali potrebbe correre Amr Moussa che ieri ha rassegnato con due mesi di anticipo le dimissioni da segretario della Lega araba.

Chi sta già ponendo condizioni diverse sono i Fratelli Musulmani. Il portavoce Essam El Erian ci riceve nella loro sede di Manyal ed elogia il comportamento dei militari. Subito, però, aggiunge: «Noi non abbiamo parlato con loro, non ci hanno contattati». El Erian apprezza la stabilità, ma non vuole che la giunta militare e il governo nominato da Mubarak restino a lungo in carica: «Preferiamo che il potere passi ad un comitato di giudici guidato dal presidente della Corte costituzionale: la prima necessità, infatti, è riformare la legge fondamentale per andare al voto». I Fratelli Musulmani hanno promesso di non presentare un candidato alle prossime presidenziali, anche perché secondo loro bisognerebbe eleggere prima il nuovo Parlamento: «Entro sei mesi. È più urgente della presidenza, perché dobbiamo approvare al più presto molte leggi di riforma sociale ed economica del Paese». Quanto ad Israele, El Erian non è così sicuro che il trattato di pace debba restare: «Non è stato mai discusso. Il nuovo Parlamento dovrebbe esaminarlo e decidere se sottoporlo ad un referendum». Differenze serie con i militari, che già annunciano un braccio di ferro politico sul futuro dell’Egitto.

La Repubblica-Fabio Scuto: " La caduta di Mubarak preoccupa Israele.Netanyahu: " Rispettate gli accordi"


Bibi Netnayahu

dal nostro corrispondente
GERUSALEMME - Ha varcato i confini del Sinai la "tempesta perfetta" e gli esiti della rivoluzione egiziana arrivano fin dentro Israele, rassicurato per ora dall´annuncio dei generali che hanno assunto pieni poteri che l´Egitto rispetterà «tutti i trattati internazionali e regionali», compreso quello di pace con Israele. Ieri sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto con favore l´annuncio dei militari egiziani: «Il durevole trattato di pace fra Israele e l´Egitto ha molto favorito i due paesi ed è la pietra miliare per la pace e la stabilità nell´intero Medio Oriente». Ma l´establishment israeliano della sicurezza ritiene che l´attuale situazione in Egitto ponga lo Stato ebraico davanti ad «un periodo d´instabilità» per i «venti negativi» che provengono dalla regione, specie se i Fratelli Musulmani entreranno nel governo al Cairo. È inevitabile che la strategia di difesa di Israele debba essere rivista, le maggiori ansie vengono dal confine con il Sinai, con il rischio d´infiltrazione di estremisti islamici. Lungo i 250 chilometri di frontiera - confine considerato fino a ieri sicuro - sono schierati pochi reparti militari, il grosso delle forze è ai confini con il Libano, con la Siria e attorno a Gaza.
Nella Striscia l´altra notte si è festeggiato fino a tardi, cortei di auto festanti, con i militanti di Hamas che offrivano cioccolatini per le strade come nelle grandi occasioni. Gli stretti legami fra Hamas e i Fratelli Musulmani - che ne sono stati gli ispiratori - sono molto stretti e intensi.
Fra le prime misure chieste da Hamas alla nuova dirigenza del Cairo c´è la rimozione del blocco alla frontiera fra Gaza e l´Egitto e la riapertura del valico di Rafah. Questo darebbe certamente un boccata d´ossigeno alla Striscia, ma moltiplicherebbe il rischio di ingresso di armi destinate alle milizie degli integralisti palestinesi e per Israele questo è un serio problema.
Se Hamas festeggia l´Anp corre ai ripari. Consapevole che il malcontento in Cisgiordania cresce per i mancati progressi nei negoziati di pace con Israele, per la mancanza di un ricambio generazionale, per la corruzione nei quadri dirigenti, l´Anp ha annunciato ieri che entro settembre si terranno elezioni presidenziali e parlamentari. Una decisione da tempo attesa ma che assunta oggi denuncia il timore che il «contagio egiziano» si estenda anche all´interno della Cisgiordania, finendo per travolgere quel che resta di una Anp in crisi di credibilità dopo lo scandalo dei "Palestinian Papers" che sono costati ieri il posto a Saeb Erekat, il capo dei negoziatori con Israele dal cui ufficio sono stati trafugati i documenti. L´annuncio delle elezioni dovrebbe attenuare la contestazione contro la dirigenza dell´Anp che solo ieri ha rotto un imbarazzato silenzio su quanto è accaduto in Egitto, mentre in tutte le case palestinesi si faceva l´alba per seguire in diretta su Al Jazeera gli esiti della rivoluzione egiziana facendo il tifo per Piazza Tahrir. L´ex raìs egiziano era rimasto l´unico leader arabo a sostenere questa Anp. All´annuncio di Ramallah è venuta subito la secca risposta da Gaza. Un portavoce del Movimento di resistenza islamico, Fawzi Barhum, ha respinto l´ipotesi lanciata dall´Anp. «Hamas non prenderà parte a queste elezioni», ha tagliato corto Barhum, «sono illegittime e non ne riconosceremo i risultati».


IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Fratelli senza un progetto, uniti solo contro Israele "


Fratelli musulmani

«La vostra è una paura irragionevole. La Fratellanza è ovunque un partito di pace. In questa nuova era vogliamo contribuire alle riforme» dice Hamza Mansour, dopo aver sorseggiato il caffè forte che, per tradizione, si serve agli ospiti.

Non è solo una dichiarazione politica. È il dilemma che ha posto la rivoluzione egiziana: i Fratelli musulmani esistono. Legali o no, sono l'opposizione più organizzata e popolare. Ci dobbiamo fidare? Kefiya dei contadini ma giacca e cravatta da manager, occhi chiari circassi, Mansour è il volto moderato del Fronte di Azione Islamica giordano, il braccio politico della Fratellanza, del quale è leader. «Il re - chiarisce - è necessario, è il garante della stabilità giordana». Il contrario di quello che pensavano di Mubarak i Fratelli egiziani.

Se l'Islam sunnita è uno, la sua versione politica è molteplice: fra paese e paese e in ogni paese. Non è una internazionale islamica. Diversamente da Mansour, il capo dell'ufficio politico del Fronte, Zaki Bani Irsheid, era un radicale. Dopo aver incontrato re Abdullah ne fa ora l'elogio: «Ha promesso riforme. Ha bisogno di aiuto e noi siamo pronti».

Potrebbe essere già una risposta al quesito originale. Dove viene cooptata, la Fratellanza è parte delle regole del gioco; dove esclusa diventa estremista. In Giordania partecipa, è stata al governo. Quando il regime mente, la guida passa ai radicali vicini ad Hamas palestinese; quando non bara, i Fratelli tornano moderati. In Egitto la questione è più complessa. Un anno fa la Fratellanza aveva deciso di ritirarsi dalla vita politica per dedicarsi agli obiettivi originali: sociale e sfera religiosa. Erano stati allontanati i "politici" e Muhammad Badi, la nuova Guida Generale, sosteneva che «le riforme incominciano dall'anima». Anche se il regime non avesse trasformato le elezioni parlamentari di novembre in una truffa, gli islamici sarebbero stati pochi comunque. Avevano già deciso di non conquistare più di una decina di seggi, dopo gli 88 del parlamento uscente. Sono stati presi di sorpresa anche loro dalla grande protesta.

Nei cinque anni precedenti, in un parlamento pesantemente dominato dal regime, i deputati islamici sono stati i più rispettosi delle regole. Hanno presentato oltre seimila interpellanze, proposte di discussione e richieste d'indagine. Tutti gli altri poche centinaia. Ma ciò che è sempre mancato alle Fratellanze in Egitto, in Giordania o a Gaza (Hamas è un prodotto dei Fratelli musulmani) è la capacità di elaborare un programma politico coerente. Gli egiziani hanno una bozza di 128 pagine, mai approvata. Sostiene che donne e non musulmani devono essere esclusi dalle cariche più importanti del governo. Ma in economia invoca il primato del settore privato.

«Libere elezioni in Egitto porteranno gli estremisti islamici al potere. E in nessuna parte del mondo esiste un regime islamico democratico» obietta Dov Weissglas, ex capo di gabinetto del premier israeliano. Anche questo è un argomento. Gli israeliani giudicano gli islamici attraverso la lente del processo di pace. Il pacato Amza Mansour sembra dargli ragione: «Il processo di pace è un'ingiustizia, vogliamo annullare gli accordi». L'opposizione alla pace con Israele è una fonte di consenso ovunque. Come gli israeliani, l'Occidente tende invece a misurare il livello di democrazia degli islamici con l'accettazione del dialogo di pace. Per l'opinione pubblica araba no: riforme e Israele sono su livelli diversi. Amza Mansour aveva risposto con un certo fastidio alla domanda su cosa pensasse del processo di pace. Era come se fosse fuori tema rispetto alle altre su Egitto e democrazia. «Per noi» dice Zaki Irsheid tornando a ciò che pensa sia il tema «il modello è quello turco». Casualmente, nemmeno i turchi hanno grande simpatia per Israele.

Libero-Alessandro Di Maio: " Votare non significa democrazia "


Gideon Doron

 Il prof. Gideon Doron - docente di Scienze Politiche all’Università di Tel Aviv - è uno dei maggiori esperti israeliani delmondoarabo.Doron esclude che quelle in Tunisia ed Egitto siano l’inizio di una “rivoluzione araba”, ma il timore che l’eventuale radicalizzazione della scena politica egiziana indebolisca l’alleanza israelo-egiziana si fa sempre più grande. Cosa sta succedendo nel mondo arabo? «Milioni di persone vivono in povertà, non hanno di che vivere e sono costrette a un’esistenza di stenti, sofferenze e privazioni. Gli eventi a cui stiamo assistendo non hanno matrice ideologica o religiosa, sono frutto della fame e della depressione sociale di quelle genti. Sono rivolte di scontento popolare, iniziate da chi per problemi economici non riesce a comprare il pane, a sposarsi o a mettereal mondodei figli, e continuata da chi facendo delle comparazioni con altre realtà si rende conto che nel proprio paese mancano bilanciamenti politici, sociali ed economici».Possiamo parlare di rivoluzione del mondo arabo? «No, non la ritengo una rivoluzione. Al momento non ne riscontro i presupposti. Siamo di fronte a degli eventi importanti che porteranno certamente dei cambiamenti tramite un periodo di riforme e migliorie. Potrebbe essere l’inizio di un processo di democratizzazione dell’area, ma anchein questo caso bisogna pesare bene le parole: un Paese non diventa democratico solo perché si fanno le elezioni, ma sono necessari anni di riforme e di cultura alla democrazia e alla salvaguardia dei diritti umani». C’è il rischio che la rivolta possa essere cavalcata da gruppi radicali islamici? «Sì, questo è un rischio che da queste parti non manca mai. Ogni rivolta porta con sé il pericolo di una strumentalizzazione da parte di islamisti radicali e terroristi. Il gruppo islamista dei “Fratelli Musulmani” in particolare, gode già di un cospicuo consenso tra la popolazione egiziana, ed essendo ben organizzato e con una chiaro progetto politico religioso potrebbe sfruttare benissimo la rivolta e arrivare ai vertici del potere dello Stato.

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