Islamismo di casa nostra. Giorgio Israel, su TEMPI, critica il dialogo con gli estremisti, con un opportuno diciamo all'on.D'Alema, mentre Dimitri Buffa, sull'OPINIONE, affronta il problema lagato alla mosche di Roma.
Ecco gli articoli:
Tempi-Giorgio Israel: " Anche al Cairo D'Alema andrebbe al braccio degli estremisti "

D'Alema a Beirut sottobraccio al deputato Hezbollah
Le persone si giudicano dalle opere e sul curriculum di Massimo D’Alema pesa il contributo all’iniziativa di creare una forza di interposizione in Libano tra Israele e Hizbullah, la famosa Unifil. Questa forza “di pace” ha certamente reso più complicata la scelta di scatenare un nuovo conflitto ma, in cambio, ha permesso un riarmo senza precedenti di Hizbullah, in barba alle decisioni di una risoluzione Onu che prevedeva che Unifil aiutasse l’esercito libanese a disarmare l’esercito fondamentalista. Al contrario, ora Hizbullah si è dotato, sotto gli occhi disattenti e impauriti di Unifil, di un arsenale missilistico da far impallidire quello che possedeva alla vigilia del conflitto del 2006 e che gli permetterebbe di colpire quasi ogni angolo del territorio israeliano, certamente fino a Tel Aviv. Bel successo, quello di una missione di pace che serve di scudo per preparare una guerra sanguinosa che costringerebbe metà della popolazione israeliana a rifugiarsi sottoterra. Del resto, gli intenti e i sentimenti del campione di questa gran pensata risultarono evidenti già allora, quando si esibì in una passeggiata a braccetto con un deputato di Hizbullah per le strade di Beirut. Né i “successi” di Unifil hanno minimamente scalfito le sue convinzioni. Anzi. Di fronte ai sommovimenti in corso in Egitto, D’Alema non si è limitato ad auspicare un cambiamento di regime e il passaggio dal potere autocratico di Mubarak alla democrazia, in forme che mantengano la pace tra Egitto e Israele e, possibilmente, favoriscano il processo complessivo di pace in Medio Oriente. Egli ha dichiarato senza mezzi termini: «Chiudere il dialogo con i movimenti islamisti è un errore perché è un’illusione pensare che le democrazie del mondo islamico non sono influenzate da questi movimenti». E, come se non bastasse, ha aggiunto: «L’Europa dovrebbe chiedere con molta chiarezza la creazione di un governo di transizione rappresentativo di un ampio arco di forze, per andare poi alle elezioni, già previste a ottobre, che possono essere anticipate. I Fratelli Musulmani devono partecipare al voto». Che i movimenti islamisti influenzino i regimi (piano a usare il termine democrazia) del mondo islamico è un’ovvietà del genere di quelle che propinava il celebre Catalano nella trasmissione televisiva di Renzo Arbore, “Quelli della notte”. Però Catalano ne traeva insegnamenti del tipo: «È meglio innamorarsi di una donna bella, intelligente e ricca anziché di un mostro, cretino e senza una lira». Non il contrario. Invece, per D’Alema, è meglio un governo comprendente coloro che predicano l’odio e vogliono guerre, che non un governo democratico che persegue la pace e la tolleranza (questo lo chiede soltanto a Israele). Se si informa – altrimenti dovrebbe cambiar mestiere – avrà sentito che, per esempio, uno dei leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Ghanem, ha chiesto la sospensione degli accordi con il “nemico sionista” e ha invitato a «prepararsi al conflitto con Israele». Certo che questi personaggi influiscono! Infatti, Mohammed ElBaradei, alla richiesta di quale fine farà il trattato di pace tra Israele ed Egitto, ha cambiato discorso. Ma D’Alema, invece di auspicare che non venga seguita questa strada, invita a imboccarla con decisione. Neanche i più timidi governi europei sono arrivati al punto di auspicare un nuovo regime egiziano con i fondamentalisti islamici in posizione chiave. Certo, D’Alema non è isolato. C’è chi è d’accordo con lui: per esempio, quelli con cui andava a braccetto. E a questo punto la sua visita di calore alla mostra sulla grandiosa storia del Pci rientra perfettamente in un quadretto poco edificante.
L'Opinione- Dimitri Buffa: " Arabia Saudita e Marocco si contendono la moschea di Roma e il Viminale sta a guardare "

La moschea di Roma
Qualcuno la chiama “masgid al talj”, cioè la “moschea del ghiaccio”, o della neve. E questo per il freddo che vi fa, accentuato dalla posizione non invidiabile di Monte Antenne, sotto i Parioli, praticamente una ex palude, e perché il riscaldamento in loco funziona solo ogni tanto. Altri ironizzano sul fatto che, “pur essendo la più grande Moschea d’Europa”, è “talmente carente di strutture culturali e associative” che “se fossero tutte così le moschee nel mondo gli islamici non sarebbero così numerosi”. La Moschea di Roma, l’unica in Italia ad avere la dignità di ente di culto riconosciuto dallo stato, si trova non solo all’interno di una crisi economica che la attanaglia ma anche al centro di un conflitto politico - religioso - diplomatico tra Arabia Saudita e Marocco, cioè i due stati che la mantengono in vita. L’Egitto invece mertte solo l’imam. I sauditi fino a oggi ci hanno messo i soldi, cioè gli spiccioli, meno di 300 mila euro l’anno, per pagare stipendi del pesonale, riscaldamento (quando c’è) e poche altre cose. In realtà una struttura del genere avrebbe bisogno di almeno 1 milione di euro l’anno per funzionare come funzionano quella di Parigi o quella di Vienna. Ma i soldi lesinati si spiegano con il fatto che l’attuale segretario Abdallah Redouane, marocchino, moderato e fautore del dialogo intereligioso, ha empre fatto di tutto per tenere fuori la comunità islamica romana e italiana dal circuito Ucoii-fratelli musulmani. Solo che il Marocco molto raramente ha messo el mani al portafoglio e i sauditi, che invece vorrebbero una conduzione di tipo wahabita, lesinano su stipendi e riscaldamento per costringere Redouane alla resa. Della cosa ieri si è occupato il “Messaggero” in prima pagina e tempo fa anche “L’opinione” aveva mosso il problema. Lo scorso 4 gennaio c’è stata una riunione di tutte le componenti delegate dai paesi arabi che hanno in gestione la moschea. E’ emerso il ruolo dell’ex segretario e imam della moschea di Vienna Farid Al Khoutani, inviato da Riyad a Roma nel tentativo di commissariare la Moschea e il suo segretario generale. Benchè i soldi sinora dati siano in realtà spiccioli per un paese come l’Arabia Saudita, Redouane è accusato di “averli spesi male”. Al Khoutani per ora lo affiancherà, e già basta vederlo in foto per capire di che tipo si tratta: “un barbuto”. Qualcuno nel pettegolo ambiente dei musulmani romani maligna pure che abbia “più di una moglie”, altri invece giurano sulla sua lungimiranza culturale e religiosa. Una sola cosa è certa: se la Moschea di Roma dovesse cadere in mano agli wahabiti, tutti gli islamici d’Italia possono dire “addio” sin da subito a ogni futuro riconosimento anche per la annosa questione dell’8 per mille. E i musulmani nel nosto paese sono almeno due milioni.
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