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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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IlSole24Ore-La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
12.02.2011 Egitto: Tramballi intervista Zvi Mazel
Aldo Baquis sulle reazioni in Israele, Il Foglio sui Fratelli musulmani

Testata:IlSole24Ore-La Stampa-Il Foglio
Autore: Ugo Tramballi-Aldo Baquis-Il Foglio
Titolo: «Il vero rischio sono i fratelli musulmani-Israele rimpiange il vecchio alleato e teme l'arrivo degli islamisti-Mani pulite islamiste, in Egitto la Fratellanza musulmana domina i sindacati»

Ugo Tramballi da elogiare per aver scelto l'ambasciatore Zvi Mazel, nostro illustre collaboratore, nonchè uno dei massimi esperti di cose egiziane, per informare i lettori del SOLE24ORE oggi, 12/02/2011.
Di Zvi Mazel, IC aveva pubblicato ieri un articolo, scritto però il giorno prima della caduta di Mubarak. Tramballi ne riporta oggi le valutazioni.
 Sulla STAMPA, Aldo Baquis riferisce le reazioni di Israele, con alcune citazioni di Zvi Mazel, mentre IL FOGLIO, a pag.3, descrive con accuratezza le ramificazioni del potere dei Fratelli musulmani, una analisi in contrasto con il tono possibilista sul movimento teocratico-integralista dell'editoriale pubblicato accanto e che critichiamo in altra pagina di IC.

(nell'immagine a destra Zvi Mazel)
Ecco gli articoli:

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Il vero rischio sono i fratelli musulmani "


 Ugo Tramballi

«Dietro le quinte si è dipanato un dramma. Gli uomini che hanno convinto Mubarak ad andarsene, avevano fatto carriera con lui, esisteva fra loro una relazione personale. Avevano e continuano ad avere la stessa paura del caos che i Fratelli musulmani potrebbero scatenare». Come la piazza al Cairo, anche Zvi Mazel si rilassa davanti alla televisione nel suo salotto. Al-Jazeera canale in lingua araba, non parla più: manda solo i suoni dell'entusiasmo egiziano.

Sembra un fatto personale. In un certo senso lo è. Giovane diplomatico, nel 1982 Zvi Mazel ha aperto l'ambasciata israeliana al Cairo. Poi vi è tornato come ambasciatore dal 1996 al 2001 e di nuovo molte altre volte. Per quanto a titolo personale perché in pensione, Mazel è l'unico autorizzato a parlare da un governo israeliano attentissimo a dire lo stretto indispensabile - quasi nulla - sulle vicende egiziane. «È un momento delicato», ammette.

Dopo questo golpe militare-istituzionale cosa accadrà adesso?

L'uomo doveva essere Omar Suleiman. Ha 76 anni, non poteva candidarsi per più di un mandato: un ideale presidente di transizione. Con lui l'Egitto avrebbe ritrovato stabilità. Ora i militari dovranno cambiare il sistema, renderlo più democratico.

Alla fine potrebbero essere bruciati anche loro.

Nella storia delle rivoluzioni popolari non c'è un'agenda e all'inizio nemmeno un leader. Non sai mai come va a finire.

Gli israeliani dovrebbero essere i meglio informati.

Sin dall'inizio eravamo convinti che Mubarak fosse politicamente finito. Si dice che abbia un tumore alla tiroide ma in tv sembrava molto in forma, date le circostanze. Il regime però è un'altra cosa: l'esercito è il regime, è in ogni istituzione civile. Aveva schierato quattro divisioni, 6mila uomini attorno al Cairo, hanno garantito l'approvvigionamento alimentare, hanno fatto riaprire le banche. Hanno preso il controllo politico del paese solo per evitare il caos.

Perché alla fine hanno scaricato Mubarak?
Non era questo l'obiettivo. Era evidente che l'esercito, Suleiman e Mubarak avessero un disegno comune, che stessero cercando di difendere il regime e garantire un'uscita dignitosa al presidente che avrebbe dovuto restare e al tempo stesso andarsene: in quei sei mesi di transizione non sarebbe stato lui a decidere. Poi nelle ultime 48 ore il progetto era saltato. L'esercito doveva garantire una continuità e impedire ai Fratelli musulmani di dirottare la rivoluzione.

Lei da per scontato che la Fratellanza voglia prendere il potere. Fino ad ora si sono mostrati molto moderati.

Sono sempre gli stessi. Se i governi egiziani li combattono da 80 anni ci sarà una ragione. Noi li studiamo da sempre: sono completamente uomini di Dio. Quando dicono «Dio è la soluzione» espongono il loro programma. Israele, Cipro, la Sicilia, la Francia del sud: tutto deve tornare all'Islam. Sono un vero pericolo.

Sono loro che già dirigono la piazza?

Se ci riusciranno cambierà tutto il Medio Oriente. E sarebbe un problema per noi. Sono certo ci sia una terza via democratica, è possibile che i partiti laici si rafforzino. Ma questo ora non lo sa nessuno. Nemmeno noi.

Cosa ha dato tanta forza agli oppositori?
La rivolta l'hanno incominciata i giovani blogger. All'inizio islamici, nasseriani e liberali si erano perfino rifiutati di scendere in piazza. Ma è diventata al-Jazeera la forza principale di un movimento senza leader. Ogni secondo di trasmissione del suo canale in arabo è guardato dai 40 ai 60 milioni di persone. E al-Jazeera è piena di Fratelli musulmani.

Non le sembra esagerato?

Guardi, ascolti questa televisione. Legga i sottotitoli! Non è giornalismo, è propaganda dei Fratelli musulmani. Io sono per la libertà di stampa ma questa è istigazione, 18 giorni ininterrottamente. Da oggi il Medio Oriente è un po' più democratico e noi ne siamo felici. Ma è anche molto più instabile.

La Stampa-Aldo Baquis: " Israele rimpiange il vecchio alleato e teme l'arrivo degli islamisti "


Bibi Netanyahu con Hosni Mubarak

In un mondo in tripudio per la defenestrazione di Mubarak, Israele fa eccezione. L’uscita di scena del presidente egiziano, sulla spinta della piazza e delle forze armate, innesca istintivamente in Israele il rimpianto per la partenza forzata di un partner che per 30 anni - anche in periodi di alta tensione, come la guerra in Libano - aveva garantito gli accordi di pace siglati da Sadat e Begin e che si era prodigato per una pace israelopalestinese. Il futuro senza di lui non sarà certamente meglio, prevedono tutti i dirigenti israeliani, sia al governo sia all’opposizione.

Ieri, anche in concomitanza con il riposo sabbatico, il premier Benyamin Netanyahu ha imposto il silenzio ai ministri. In termini generali, portavoce governativi hanno detto - in anonimato - che c’è da sperare che il passaggio dei poteri al Cairo avvenga senza scosse né spargimenti di sangue e che la pace con Israele non subisca ripercussioni negative.

Ma il futuro rischia di essere nero come la pece, ha previsto l’ex ministro laburista Benyamin Ben Eliezer che giovedì ha avuto un’ultima conversazione telefonica con Mubarak, suo amico personale. «Abbiamo parlato un po’ in arabo, un po’ in inglese», ha detto Ben Eliezer, natio dell’Iraq. Mubarak gli ha detto che la regione è travolta da un terremoto e che «la valanga delle rivolte popolari non si fermerà in Egitto». In Medio Oriente ci sarà dunque più spazio per le forze radicali ed islamiche, ha previsto ancora Mubarak: una analisi condivisa anche dai dirigenti israeliani. E come loro, anche Mubarak (secondo Ben Eliezer) ha espresso una grandissima delusione per il ruolo svolto nella vicenda da Barack Obama. Gli Stati Uniti vorrebbero seminare democrazia, ma raccoglieranno Islam radicale, hanno convenuto i due vecchi amici al telefono.

«L’America ha perso ieri la maggior parte della sua influenza nella regione», ha rincarato Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo. Per decenni Mubarak era stato un punto obbligato di riferimento nel mondo arabo e aveva contribuito alla lotta contro i progetti nucleari iraniani, contro il terrorismo e al controllo del canale di Suez. Gli Stati Uniti, secondo Mazel, avranno difficoltà a sostituirlo. Nel frattempo in Egitto rischia di iniziare un lungo periodo di instabilità politica e sociale che può essere sfruttato dai Fratelli musulmani, amici di Hamas e inflessibilmente ostili ad Israele.

L’altra grave incognita di Israele è, da oggi, il confine di 270 chilometri con l’Egitto. Sabato una deflagrazione ha messo fuori uso lo strategico gasdotto che fornisce Giordania ed Egitto. Bande di beduini sono in stato di fermo e Hamas potrebbe approfittarne per il contrabbando di armi e per attentati. Senza più Mubarak, il «confine di pace» rischia di trasformarsi in una gigantesca falla nelle linee di difesa dello Stato ebraico.

Il Foglio- " Mani pulite islamiste, in Egitto la Fratellanza musulmana domina i sindacati "


Il simbolo dei Fratelli musulmani

Roma. Giovedì al Cairo sono state decisive le proteste di cinquemila avvocati che, vestiti con le loro toghe nere, hanno marciato verso il palazzo Abdin, sede degli uffici presidenziali di Mubarak. Per la prima volta c’erano anche i medici e gli infermieri, che a loro volta, in camice bianco, si sono diretti verso piazza Tahrir. Ci sono ventidue ordini professionali in Egitto. Dal 1982, con una strepitosa strategia di ascesa politica, i Fratelli musulmani sono arrivati a controllare i cinque ordini principali del paese, quelli più politici e di peso sociale, ovvero medici, ingegneri, farmacisti, scienziati e avvocati. Un tempo questi erano tutti bastioni del regime egiziano e della sua constituency secolarista e liberale. Il primo ordine a cadere nelle mani islamiste fu quello dei medici nel 1984, mentre nel 1987 fu la volta degli ingegneri. Per la prima volta grazie ai sindacati la Fratellanza ha acquisito un canale di “legittimità” sociale. Servivano loro dei canali per parlare alla middle class egiziana. Fu la repressione degli anni Ottanta a spingere il movimento islamico a dedicarsi alla conquista della società civile. L’associazione degli avvocati è decisiva, infatti, per la stabilità di un regime come quello egiziano. Molti degli avvocati della Fratellanza si sono fatti le ossa nei tribunali in difesa delle cellule islamiste della Jamaa al Islamiya, il gruppo jihadista fuorilegge in Egitto da quando si è reso responsabile dell’assassinio del presidente Sadat. Il regime ha sempre cercato di controllare gli ordini professionali. Nel 1958 Nasser ad esempio rese obbligatoria l’iscrizione al partito al potere per accedere a queste organizzazioni. Nel 1971 Sadat arrivò a sciogliere tutti i sindacati, nel timore che diventassero fonte di delegittimazione del regime. Uno dei cardini dell’ascesa della Fratellanza nei sindacati è stata la guerra alla corruzione. Per conquistare il sindacato dei medici, ad esempio, lo slogan utilizzato dagli islamisti è stato “Votate per le mani pulite”. C’è il timore che la conquista dell’ordine degli avvocati sia decisivo, nei piani della Fratellanza, per la graduale introduzione della sharia. Saif al Banna, il figlio del fondatore della Fratellanza, dopo aver vinto la campagna elettorale per la guida degli avvocati ha proclamato: “Vogliamo che l’ordine diventi un’associazione islamica, alcuni articoli della Costituzione devono essere emendati per essere conformi alla sharia”. Il maggior quotidiano egiziano al Ahram ha definito la vittoria islamica tra gli avvocati come “uno dei più significativi eventi politici dell’ultimo decennio”. Il settimanale Akhbar El Yom ha scritto che l’ordine degli avvocati, “per lungo tempo difensore della libertà di opinione e del rispetto della legge, è stato preso d’assalto dai ‘tartari’, i gruppi estremisti”. Due anni fa l’ordine degli avvocati ha votato nuovamente per rinnovare la leadership islamista. La vittoria dentro al sindacato degli avvocati, secondo il Journal of International Affairs, “ha scioccato i circoli liberali e laici in Egitto e nel mondo arabo”. Per la prima volta fra gli avvocati e il partito al potere di Mubarak non c’era più quel cortocircuito fondamentale che ha sempre retto il sistema. Oggi questi sindacati costituiscono anche una fondamentale base elettorale della Fratellanza. Anche l’ottanta per cento dei membri dell’Egyptian Medical Syndicate è iscritto alla Fratellanza. Questo sindacato, fondato nel 1940, è il più grande d’Egitto dopo quello degli avvocati e rappresenta 170 mila iscritti, di cui 70 mila dipendenti dello stato. E’ uno dei paradossi della Fratellanza islamica: illegale ma egemone nei cardini sociali del regime egiziano. Abu al Futuh non è soltanto uno dei vecchi capi del movimento islamista, è anche il leader del sindacato dei medici. Per questo tutti lo chiamano con rispetto “Al Ductur”. Va da sé che negli ospedali egiziani, da quando il sindacato è passato ai Fratelli, i medici e le infermiere portino tutti camici e hijab bianchi. E nel 2008 il sindacato dei medici egiziani ha proibito persino i trapianti tra persone di “diverso credo o nazionalità”. Forte è stato anche l’ostracismo della Fratellanza nei confronti dei medici cristiani iscritti al sindacato, tanto che medici laici e non musulmani hanno finito per costituire un sindacato indipendente, l’Association of Egyptian Doctors. Sono tutti esempi evidenti del successo religioso e culturale di una strategia all’apparenza soltanto professionale, come la scalata ai sindacati. Sotto la guida della Fratellanza, i benefici alla popolazione e agli iscritti non si sono fatti attendere. I sindacati hanno offerto coperture mediche ai membri dell’organizzazione, mutui agevolati per le auto e le case, finanziamenti ai nuovi matrimoni. Nella carta della Fratellanza della Da’wa, predicazione e missione, l’associazionismo, l’egemonia nella società civile, il controllo degli ordini professionali è il quarto pilastro della strategia islamista, ovvero la “costruzione dello stato musulmano”, dopo l’individuo musulmano, la famiglia musulmana e la società musulmana. Per dirla con Abu El Magd, membro del sindacato degli ingegneri, “non puoi costringere le persone a essere buoni musulmani, devi insegnarglielo”.

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