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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-Il Foglio Rassegna Stampa
12.02.2011 Egitto: Fratelli musulmani, una sottovalutazione
Un editoriale del Foglio, l'opinione di Fareed Zakaria

Testata:Corriere della Sera-Il Foglio
Autore: Fareed Zakaria-Editoriale del Foglio
Titolo: «I militari salgono al potere in Egitto, il vero rischio è un nuovo Pakistan-Il mondo come non lo conoscevamo»

Due analisi dopo la caduta di Mubarak, la prima sul CORRIERE della SERA di oggi, 12/02/2011, a pag.56, di Fareed Zakaria, la secondo  un editoriale del FOGLIO, entrambi con un nostro commento.

Corriere della Sera-Fareed Zakaria: " I militari salgono al potere in Egitto, il vero rischio è un nuovo Pakistan "


Fareed Zakaria

L'  autore non smetisce l'ambiguita che gli è abituale. La sottovalutazione del pericolo rappresentato dal Fratelli musulmani gli fa scrivere  "Le proteste egiziane sono di stampo laico e i Fratelli musulmani rappresentano solo uno dei tanti gruppi che vi hanno aderito, condividendo le istanze unanimi della piazza, che riguardano democrazia e diritti umani." Salvo poi a chiedere scusa quando dovrà prendere atto di quanto, purtroppo, il suo giudizio è stato errato. Altra frase rivelatrice della sostanziale ignoranza, Tuttavia, se i militari in Turchia hanno ceduto a fatica il potere, ciò è stato solo grazie alle costanti pressioni dell’Unione europea volte a indebolire il loro ruolo in politica quando è noto che è stata la sconfitta dei militari da parte del governo di Erdogan ad avere portato la Turchia nel campo islamista. Certo, anche grazie alla spinta dell'Unione Europea, altro organismo noto per la cecità con la quale affronta le situazioni.
Ecco l'articolo:

U no spettro si aggira per l’Occidente. Nel 1979, gli Stati Uniti restarono a osservare le folle rivoluzionarie che si riversavano per le strade in Medio Oriente e non mossero un dito in difesa del loro fedele alleato, lo Scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, che venne rovesciato dal trono solo per essere sostituito da una repubblica islamica teocratica. Oggi, mentre assistiamo a un’altra rivolta di piazza in un altro Paese del Medio Oriente, molti osservatori appaiono angosciati a quel ricordo. I timori di una vittoria islamica non assillano soltanto Glenn Beck, con i suoi cupi pronostici che la caduta di Hosni Mubarak spianerà la strada all’ascesa di un califfato islamico con mire di dominio globale (il consiglio di Beck al popolo americano è ancor più demenziale: «Fate scorte alimentari» ). Ma i politici conservatori più accreditati, quali Mitt Romney e John McCain, descrivono l’opposizione islamica in Egitto in termini non molto dissimili da quelli impiegati da Glenn Beck. A sinistra, Richard Cohen del Washington Post, commenta: «Il sogno di un Egitto democratico quasi certamente si trasformerà in un incubo» . Leon Wieseltier è convinto che gli islamisti tenteranno un colpo di mano in stile bolscevico. Tutte queste ipotesi potrebbero effettivamente realizzarsi, ancorché vi siano finora ben pochi elementi per giustificare scenari apocalittici. Le proteste egiziane sono di stampo laico e i Fratelli musulmani rappresentano solo uno dei tanti gruppi che vi hanno aderito, condividendo le istanze unanimi della piazza, che riguardano democrazia e diritti umani. L’Egitto non è l’Iran, sotto molti punti di vista essenziali. I suoi religiosi sunniti non svolgono alcun ruolo gerarchico o politico, come accade invece in Iran. Per di più— fattore decisivo— l’attuale regime iraniano non è molto ben visto nel mondo arabo. Gli egiziani conoscono bene sia Mubarak che i mullah e non vogliono né l’uno né gli altri. Un sondaggio Pew del 2010 ha rivelato che la stragrande maggioranza della popolazione è a favore di un governo democratico. I timori di una possibile svolta islamica hanno distolto lo sguardo americano dal vero problema dell’Egitto, ovvero la dittatura militare. L’Egitto non è un regime incentrato su Mubarak e fondato sul culto della personalità, malgrado le voci insistenti sulle sue favolose ricchezze e i ripetuti tentativi di insediare il figlio al potere come successore. Sin dai giorni del colpo militare nel 1952, l’Egitto è stato una dittatura governata da e per i militari. I pochi presidenti che si sono succeduti da allora sono stati tutti selezionati tra gli alti ufficiali delle forze armate, che godono di cospicui stanziamenti finanziari nonché di totale indipendenza, e sono coinvolte in ogni aspetto della vita sociale — e proprietarie, tra l’altro, di vasti fondi agricoli e centinaia di aziende. — in questo momento, i militari stanno rafforzando il loro potere. I tentativi di Mubarak, dal 2004 a oggi, di introdurre nel governo personalità imprenditoriali e civili si sono bloccati nell’ultima settimana e, anzi, gli imprenditori sono stati trasformati in capri espiatori, sacrificati al potere dei generali. I tre uomini che governano l’Egitto — il vice presidente, il primo ministro e il ministro della Difesa — provengono dalle forze armate. I componenti del governo sono al 50%militari e circa l’ 80%dei potenti governatori sono anch’essi membri dell’esercito. I militari sembrano pronti a scaricare Mubarak, e si sforzano di gestire il processo di transizione per continuare a tenere ben saldo in mano il timone della nazione. Non dimentichiamo che l’Egitto è tuttora governato dalle leggi marziali e dai tribunali militari. Molti osservatori hanno tracciato analogie con la Turchia, dove le forze armate hanno svolto un ruolo cruciale nella modernizzazione del Paese. Tuttavia, se i militari in Turchia hanno ceduto a fatica il potere, ciò è stato solo grazie alle costanti pressioni dell’Unione europea volte a indebolire il loro ruolo in politica. Il pericolo è che l’Egitto si trasformi non nella Turchia, bensì nel Pakistan, una democrazia di facciata dove il vero potere è in pugno ai generali che agiscono dietro le quinte. Il governo Obama fa bene ad adoperarsi a favore di una transizione senza scossoni, perché esiste il reale pericolo che la situazione degeneri nel caos totale. I programmi dei Fratelli musulmani sono retrogradi e dannosi. Senza una nuova Costituzione e senza le indispensabili tutele legali vi sono seri rischi di creare una «democrazia illiberale» , dove le elezioni sotto le leggi attualmente in vigore porterebbero a risultati funesti per le minoranze, per i diritti umani e le libertà civili. La transizione dovrebbe essere non solo da Mubarak a un altro leader, bensì dall’intero sistema attuale a un altro. Vale la pena ricordare i motivi che hanno generato l’estremismo islamico e il rancore anti americano in Medio Oriente. Gli arabi vedono fino a che punto Washington ha puntellato le brutali dittature che opprimono i popoli. Ai loro occhi, gli americani hanno preferito ignorare la repressione, fintanto che i tiranni si allineavano con la politica estera degli Stati Uniti. Se la popolazione intuisce che Washington si prepara a mediare un accordo per mantenere al potere la dittatura militare in Egitto, de jure o de facto, le strade del Cairo saranno agitate da sentimenti di profonda delusione e frustrazione. Col tempo, l’opposizione al regime e agli Stati Uniti si inasprirà, facendosi più radicale, religiosa e violenta. E non sarà difficile trovare qui il vero parallelo con le forze che condussero alla rivoluzione iraniana.

Il Foglio-" Il mondo come non lo conoscevamo "


Piazza Taharir

Verrebbe da suggerire all'estensore dell'editoriale che segue, di leggere l'analisi pubblicata a fianco,nella setessa pagina 3 del FOGLIO, la cui tesi è opposta. Con tutto quanto ha scritto in queste settimane il FOGLIO, ci chiediamo cosa giustifichi una svolta simile. Una curiosità, ci piacerebbe conoscere quali forze democratiche hanno popolato in queste settimane la rivolta egiziane. Forse Al Jazeera ?

 Dell’11 febbraio 2011, il giorno in cui Hosni Mubarak, rais egiziano per quasi trent’anni, ha lasciato il potere e il Cairo, ricorderemo il boato di piazza Tahrir, quella gioia scoppiata tutta in un momento, incontenibile. Diciotto giorni di protesta, e alla fine i manifestanti, nonostante le botte e le delusioni, hanno ottenuto quel che volevano: il dittatore se n’è andato, come già se n’era andato quello di Tunisi, Ben Ali. Questo, per la piazza araba, è il crollo del Muro di Berlino, del mondo come è stato costruito negli anni Ottanta, quando la realpolitik accettava i regimi per garantirsi stabilità. Ora quel paradigma non esiste più, lo stanno capendo anche gli altri rais dell’area, prendendo misure preventive per evitare proteste incontrollabili. Il mondo che sta nascendo è quello concepito dopo l’11 settembre 2001, e le pressioni dell’Amministrazione Bush per instillare la voglia di democrazia in medio oriente non sono certamente estranee a tutto quel che sta accadendo nelle ultime settimane. E’ ancora presto per parlare di libertà, dal momento che il potere, in Egitto, è passato all’esercito, non alle forze democratiche, e la transizione si presenta complessa e delicata. E’ ancora presto per esultare, perché è concreto il rischio che anche le forze islamiste vogliano approfittare del passaggio di potere per occupare un posto di rilievo in un paese da sempre considerato ostile perché troppo vicino alle istanze di Stati Uniti e Israele. Ma ora la piazza d’Egitto ha costretto alla fuga il suo dittatore, ora ha vinto la sua battaglia: la comunità internazionale deve abbandonare i tentennamenti, le incertezze, i balbettii, e non lasciarla sola.

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