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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-IlSole24Ore Rassegna Stampa
06.02.2011 Egitto: Brucia il gasdotto nel Sinai, il livore di Ugo Tramballi
e la cronaca corretta di Gian Micalessin

Testata:Il Giornale-IlSole24Ore
Autore: Gian Micalessin-Ugo Tramballi
Titolo: «Il nuovo Egitto si presenta con un sabotaggio anti Israele-Alleby, la quiete prima della tempesta»

Ieri osservavamo come i nostri 'esperti' di cose mediorientali avessero totalmente ignorato, durante la crisi egiziana, la posizione di Israele, il primo paese a dover affrontare un probabile cambiamento nei rapporti con l'Egitto dopo la caduta di Mubarak, il quale, se non altro, non aveva alterato il rapporto instaurato da Sadat, mantenendo in più buoni rapporti con il mondo occidentale, combattendo il fondamentalismo nel proprio paese.
Avevamo anche scritto che la spiegazione stava nel fatto che Israele non era coinvolto negli avvenimenti egiziani, veniva quindi a mancare la possibilità di attaccarlo, quindi zitti e mosca.
Oggi Israele torna di attualità. L'attacco al gasdotto nel Sinai è stato un anticipo della politica che il 'nuovo' Egitto potrebbe instaurare, come scrive Gian Micalessin sul GIORNALE, di oggi, 06/02/2011, a pag.12, un pezzo accurato ed esauriente. Altri giornali  ignorano completamente, fra i quali la STAMPA e il CORRIERE della SERA. O ne scrivono per demonizzare Israele, come fa Barbara Uglietti su AVVENIRE, il quotidiano della CEI, che titola " Israele pensa di rioccupare il Corridoio Philadelphia", presentando, come fa sempre, lo Stato ebraico pronto ad aggredire, per diminuire la notizia vera, l'attacco al gasdotto.
Chi va più in là, è Ugo Tramballi, che sul SOLE24ORE, a pag.8, sfoga il suo livore, augurandosi che salti in aria la "quiete" al confine con la Giordania. Israele viene presentata come guidata da un governo militare, l'esatto contrario della realtà.
Consigliamo ai nostri lettori di scrivere dirttamente al direttore del Sole24Ore, Gianni Riotta, per protestare duramente.
gianni.riotta@ilsole24ore.com

Ecco gli articoli:

Il Giornale- Gian Micalessin: " Il nuovo Egitto si presenta con un sabotaggio anti Israele"


Sinai, il gasdotto in fiamme

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora il dopo-Mubarak sembra assai poco roseo. Mentre una piazza senza leader sogna l’ultima spallata i demiurghi del disa­stro prossimo venturo sono già in azione. Il più chiaro se­gnale della loro presenza è la lingua di fuoco sospesa sul terminal di El Arish, nel nord del Sinai. Li corrono le tuba­ture che garantiscono le for­niture di gas a Israele. Lì ieri notte un gruppo di terroristi ha fatto saltare le condotte con una potente carica di esplosivo. La notizia fa il pa­io con quella rilanciata negli Usa da Fox Tv, che parla di un attentato al vice presiden­te Omar Suleiman messo a segno negli scorsi giorni. L’attentato, non confermato da fonti ufficiali, sarebbe co­stato la vita a due uomini del­la scorta. Anche la notizia del gasdotto ha margini d’in­certezza. Mentre il governa­tore di El Arish Abdel Wahab Mabrouk ammette un sabo­taggio, i responsabili del ga­sdotto parlano di semplice incidente. Difficile crederci. Anche perché lo scorso lu­glio il gasdotto era già stato preso di mira da una banda di beduini. A dar retta a Site, un gruppo privato che tiene sotto controllo i siti integrali­sti, l’attacco di ieri sarebbe stato innescato da un mes­saggio internet che invitava «i fratelli beduini del Sinai, Eroi dell’Islam, a colpire con pugno d’acciaio per blocca­re i rifornimenti agli israelia­ni ».
La minaccia degli uomini del deserto è uno dei tanti fat­tori che contribuiscono a de­lineare scenari assai grigi nel caso di un passaggio di pote­ri troppo frettoloso. Le tribù beduine - esasperate da un regime che le ha tenute al margine dello sviluppo turi­stico
del Sinai - sono oggi le protagoniste della coltivazio­ne della droga e del contrab­bando di armi diretto verso Gaza. Malcontento e predi­sposizione per le attività ille­gali, unite ad una perfetta co­noscenza del territorio, han­no trasformato i clan del de­serto in un naturale centro di reclutamento per Al Qaida.
Non a caso nel Sinai sono
stati messi a segno i sanguino­si attentati che tra il 2004 e il 2006 hanno colpito Taba, Sharm el Sheik e Dahab ucci­dendo decine di turisti. Non a caso il Sinai è oggi una delle zone più a rischio dell’Egitto. Una zona dove solo i ferrei controlli imposti fin qui dai servizi segreti di Omar Sulei­man garantiscono il mantenimento della sicurezza. I primi a saperlo so­no gl­i israeliani im­pegnati da anni, d’intesa con Mu­barak e Suleiman, in una guerra se­greta per colpire i carichi di armi che attraverso i tunnel di Rafah raggiun­gono Gaza. E così la prima conse­guenza di una mancanza di con­tinuità politica al Cairo potrebbe es­sere il ritorno del­l’esercito israelia­no in quella Stri­scia abbandonata nell’estate del 2005.
L’altra conse­guenza, assai più nefasta, è quella di una progressiva irachizzazione del­­l’Egitto. Un cam­bio di poteri che non preveda una sostituzione del­l­’elite di potere len­ta
e graduale ri­schia di consenti­re alla storia di ripetersi. Nel 2003 a Bagdad si decise di sciogliere un esercito di 500mila uomini e di dare il benservito ad un’elite sunni­ta al potere da trent’anni. Sun­niti e militari, pronti inizial­mente a collaborare, si tra­sformarono ben presto in in­sorti e terroristi. Oggi licen­ziando in tronco i generali e l’aristocrazia di regime che gestisce commerci, indu­strie, servizi si rischia non so­lo di spaccare il Paese, ma di affidarlo a chi non è né in gra­do di governare, né di garanti­re la sicurezza del territorio. E a quel punto l’Irak sarebbe ad un passo.

IlSole24Ore-Ugo Tramballi: " Alleby, la quiete prima della tempesta"


Ponte Allenby, confine Israele-Giordania

Hillary Clinton dice che in Medio Oriente sta per arrivare «una tempesta perfetta». All'apparenza in questo posto di frontiera che sembra un'oasi nel deserto è tutto molto tranquillo. L'unica ragione di scontro è se il luogo autentico del battesimo di Cristo sia sulla riva israeliana o su quella giordana del fiume che è diventato un ruscello, e qui più che un ruscello sembra una cloaca.

A ben guardare, tuttavia, questa non è una frontiera di pace, firmata ormai nel 1994 da re Hussein, Yitzhak Rabin e Bill Clinton. Dall'altra parte prima o poi avrebbero dovuto esserci i palestinesi, secondo gli accordi di Oslo. Invece ci sono ancora gli israeliani che controllano tutta la frontiera e l'intera Cisgiordania. Dall'una e dall'altra parte i campi dovrebbero essere stati sminati ma nessuno si fiderebbe ad attraversarli. C'è ancora qualche avviso arrugginito forse dimenticato, forse no: «Mine!».
Questo confine era il "fronte orientale" ritenuto sacrificabile nel sistema difensivo israeliano dopo che gli americani avevano distrutto le forze armate di Saddam Hussein: la sola minaccia che poteva venire da questa parte. Ora, di nuovo, non esiste una sola frontiera di pace. A Rafah, i servizi segreti militari israeliani rilevano che approfittando della distrazione dell'esercito egiziano, nei tunnel che portano a Gaza Hamas sta facendo passare nuove armi. Anche qui, verso la calma Giordania, l'attenzione è tornata alta.

Hillary Clinton ricorda che lo status quo mediorientale «non è semplicemente sostenibile». A Gerusalemme però quell'insostenibilità non è un'opportunità di democrazia del mondo arabo ma di mobilitazione anti-israeliana. Aver scaricato Hosni Mubarak non è che «un tradimento americano» verso il vecchio alleato ma implicitamente verso Israele. Il problema dell'amministrazione Obama, dice una fonte del governo, «è ideologico e ignora la realtà del Medio Oriente. Le riforme democratiche devono essere promosse ma quando è fatto scaricando un alleato, diventa un cattivo messaggio ai leader della regione».

Il caso del gasdotto esploso ieri nel Sinai è sintomatico per misurare la tensione in Medio Oriente: è stato un incidente che costerà caro alla Giordania che dipende interamente dal gas egiziano e per qualche settimana non ne avrà. La chiusura verso Israele che da lì importa il 40% del suo fabbisogno è solo precauzionale. Ma per ore si è dato per certo l'attentato, fatto contro Mubarak che dava gas egiziano ai "sionisti".
Il vecchio ponte militare fatto costruire sul Giordano dal generale inglese che nel 1917 aveva conquistato la Palestina è stato sostituito da uno nuovo sul quale passano diplomatici, un po' di turisti e molti palestinesi. Ci sono altri due passaggi di frontiera più a Nord e a Sud. Il traffico è ancora più scarso. Diciassette anni dopo la pace, da una parte e dall'altra non sono nati commerci di frontiera, nessuna osmosi di pendolari. Solo terra di nessuno con filo spinato, forse ancora qualche mina e pattuglie armate.

Il silenzio qui attorno è una quiete prima della tempesta. Nonostante tanti anni di pace «c'è una guerra fredda ufficiale e una dichiarata a livello popolare - spiega Yasser Abu Hilaleh, capo di al-Jazeera ad Amman -. Sono state bruciate più bandiere israeliane dopo la firma del trattato che nei 50 anni precedenti. I sostenitori della pace lavorano in segreto come fossero trafficanti di droga e l'ambasciata israeliana è solo un peso per la sicurezza».

La Giordania è un paese fragile, ci vivono circa tre milioni di palestinesi, due terzi formalmente profughi anche se non vivono più nei campi. Israele non ha mai rinunciato all'idea che un giorno o l'altro la Giordania diventi Palestina. Sei mesi fa la metà dei 120 deputati della Knesset ha presentato una risoluzione che prevede solo «due stati per due popoli sulle due rive del Giordano»: Israele di là, Palestina di qua. «L'80% dei giordani sono palestinesi. Re Abdullah potrebbe essere l'ultimo re della dinastia hashemita», spiegava qualche tempo fa il generale Yair Naveh a un gruppo di stupiti diplomatici stranieri. Il nuovo candidato del ministro della Difesa Ehud Barak alla carica di capo delle forze armate israeliane è Yair Naveh.

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