Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Egitto, Usa: Analisi del Foglio, cronaca di Alessandra Farkas, intervista di Maurizio Molinari Israele preoccupato per l'appoggio di Obama ai manifestanti
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera - La Stampa Autore: La redazione del Foglio - Alessandra Farkas - Maurizio Molinari Titolo: «Ecco perché Israele non si fida dell’addio americano a Mubarak - Intervento Usa 'Basta sangue. Transizione immediata' - I Fratelli musulmani sono un pericolo, l’Occidente li fermi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/02/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Ecco perché Israele non si fida dell’addio americano a Mubarak". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 13, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Intervento Usa «Basta sangue. Transizione immediata» ". Dalla STAMPA, a pag. 5, l'intervista di Maurizio Molinari a Yossi Klein Halevi dal titolo " I Fratelli musulmani sono un pericolo, l’Occidente li fermi ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Ecco perché Israele non si fida dell’addio americano a Mubarak"
Hosni Mubarak con Barack Obama
Gerusalemme. Sulla rivolta anti Mubarak, gli alleati Israele e Stati Uniti hanno preso due strade divergenti. Dopo gli iniziali tentennamenti, Washington si è mostrata pronta ad archiviare i suoi legami stretti con il regime e a scommettere sulla possibilità di un’evoluzione democratica delle proteste che hanno portato centinaia di migliaia di egiziani in piazza. Il governo israeliano del premier Benjamin Netanyahu, al contrario, rimane scettico e teme che trent’anni di pace con l’Egitto siano spazzati via qualora salisse al potere, con la forza o per elezione, la componente al momento più forte e organizzata della rivolta, l’organizzazione estremista dei Fratelli musulmani. Così, poche ore dopo che Gerusalemme aveva ordinato ai suoi diplomatici di spingere i governi occidentali ad appoggiare il rais in difficoltà, l’Amministrazione americana ha scaricato uno dei suoi alleati più fedeli in medio oriente. Martedì sera, il presidente Barack Obama ma ha fatto capire che l’annuncio di Mubarak di non volersi presentare alle prossime elezioni non era abbastanza, perché “la transizione deve essere significativa, pacifica e deve iniziare adesso”. Netanyahu continua a evocare lo spettro della rivoluzione iraniana del ’79, che portò all’ascesa degli ayatollah, e paventa la nascita di una repubblica islamica sul confine meridionale d’Israele. “Quando ci sono rapidi cambiamenti e tutti gli elementi di una democrazia moderna non si sono ancora sviluppati, quello che succede è che s’instaura un regime islamico radicale e oppressivo – ha detto il premier dopo un incontro con il cancelliere tedesco, Angela Merkel – Un simile regime schiaccerebbe i diritti umani, la democrazia e la libertà, e costituirebbe una minaccia per la pace”. In realtà, anche Israele è rassegnato alla fine dell’era Mubarak. Nelle sue ultime direttive ai diplomatici, Netanyahu ora chiede che i governi occidentali si facciano garanti dell’accordo di pace del ’79, il primo firmato da un paese arabo, e ne impongano il rispetto a qualunque nuovo regime assuma il potere al Cairo. Quello che però preoccupa Israele, sostengono alcuni analisti, è la rapidità con cui gli Stati Uniti si sono uniti al coro della rivolta, un atteggiamento che non rassicura gli altri leader moderati della regione e che può spingerli tra le braccia dei fondamentalisti. “Nel discorso di Obama non c’era neanche una buona parola per Mubarak, che per tre decenni è stato un alleato degli Stati Uniti”, spiega Itamar Rabinovich, ex ambasciatore d’Israele a Washington. “Se non si possono fidare degli americani, gli altri leader moderati andranno nella direzione opposta e cominceranno a fare accordi con gli islamisti”. Rabinovich dice al Foglio che dietro l’entusiasmo di Washington c’è una “grande coalizione” che vuole a tutti costi credere che le sollevazioni mediorientali possano portare l’area verso la democrazia. Questa insolita ed eterogenea alleanza va dai democratici, che vedono negli attuali tumulti i frutti del discorso di Obama al Cairo nel 2009, ai neocon. Israele, d’altra parte, convive tutti i giorni con le conseguenze dell’esperimento di democrazia che portò al potere nei territori palestinesi i terroristi di Hamas. La spaccatura tra Israele e Stati Uniti sul futuro del medio oriente potrebbe proseguire, soprattutto se Washington si adopererà per favorire un ricambio delle classi dirigenti egiziane, dato che Israele spinge per mantenere lo status quo. Per Netanyahu è importante che al potere arrivi qualcuno della cerchia di Mubarak, ad esempio il capo dell’intelligence e neovicepresidente Omar Suleiman. Eli Shaked, ex ambasciatore al Cairo, ha scritto su Yedioth Ahronoth: “I fedelissimi di Mubarak sono gli unici in Egitto impegnati per la pace, se il prossimo presidente non sarà uno di loro, saremo nei guai”.
CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Intervento Usa «Basta sangue. Transizione immediata» "
Robert Gibbs, Alessandra Farkas
«Per noi è imperativo che la transizione in Egitto sia immediata» . Il presidente americano Barack Obama affida al portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, il compito di comunicare al faraone egiziano assediato — ma anche al resto del mondo — il nuovo mood della superpotenza alla luce degli ultimi, sanguinosi disordini di ieri. «Il messaggio che il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inviato con franchezza al presidente egiziano, Hosni Mubarak è che è arrivata l’ora del cambiamento» , ha spiegato Gibbs, durante il briefing dedicato alla situazione in Egitto. «Ora vuol dire ora» , ha precisato poi, rispondendo a una domanda sui tempi della transizione. Gli sviluppi delle ultime ore— tra cui la notizia dell’aggressione alla star della Cnn Anderson Cooper da parte dei sostenitori di Mubarak appoggiati dalla polizia in borghese— impongono a Obama un inasprimento dei toni. «Se ci sono violenze istigate dal governo, devono cessare immediatamente» , chiosa Gibbs, aggiungendo che la gestione della crisi, «mostrerà chi è veramente Mubarak» . «Il popolo egiziano ha bisogno di vedere il mutamento, ha bisogno di progresso» , ha aggiunto il portavoce, precisando però che il futuro dell’Egitto «è nelle mani del suo popolo» e ogni decisione «spetta al popolo egiziano, non agli Stati Uniti» . Un chiarimento, questo, inteso forse a fugare le critiche arrivate dal ministero degli Esteri egiziano, secondo il quale questi richiami dall’esterno servono solo «ad infiammare la situazione interna» . Infine, rispondendo a una domanda sulla possibilità che gli Stati Uniti blocchino i loro aiuti all’Egitto, il cui valore annuo è di circa 1,5 miliardi di dollari, Gibbs ha affermato che non è stata presa alcuna decisione, ma la questione «è ancora oggetto di valutazione» . I contatti tra Usa ed Egitto sono continuati nella notte. Il segretario di Stato Usa Hillary Clinton, al telefono con il nuovo vice-presidente Omar Suleiman, ha condannato le violenze contro i manifestanti e chiesto di indagare sui responsabili. Il ministro della Difesa Usa Robert Gates ha chiamato il collega egiziano Mohammed Hussein Tantawi. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha definito le violenze «inaccettabili» e ha invitato il regime ad «ascoltare le richieste della gente» .
La STAMPA - Maurizio Molinari : " I Fratelli musulmani sono un pericolo, l’Occidente li fermi "
Yossi Klein Halevi Maurizio Molnari
La transizione egiziana può prendere tre strade diverse e bisogna evitare che a giovarsene siano i Fratelli Musulmani»: questa l’opinione di Yossi Klein Halevi, politologo dello Shalom Hartman Institute di Gerusalemme, molto sensibile agli orientamenti del governo israeliano. Quali sono i tre scenari possibili del dopo Mubarak? «Può prevalere una coalizione di forze democratiche e filo-occidentali, con dentro componenti dell’ex governo Mubarak, oppure possiamo andare verso una soluzione “turca” con i Fratelli Musulmani che entrano nel governo, se ne impossessano progressivamente e lo portano a rapporti gelidi con l’Occidente e Israele. Il terzo scenario è il peggiore: i Fratelli Musulmani divengono la maggiore forza politica e trasformano l’Egitto in un nuovo Iran con la rottura totale con Occidente e Israele». Qual è il fattore da cui dipende cosa avverrà? «Il ruolo dei Fratelli Musulmani».
Chi sono i Fratelli Musulmani? «Sono portatori di un’ideologia estremista islamica che persegue il dominio dell’Islam sul mondo. Il fondamentalismo può avere più volti, moderati e violenti, ma restano accomunati dall’estremismo. Inoltre, ciò che preoccupa Israele è la presenza nella loro ideologia di un antisemitismo feroce mutuato da quello europeo degli Anni 30 e 40, con gli ebrei descritti con termini e immagini nazisti». Dunque i Fratelli Musulmani non dovrebbero entrare nella transizione politica che la Casa Bianca vuole accelerare... «La comunità internazionale deve unirsi a sostegno delle forze democratiche presenti in Egitto, favorevoli a riforme liberali, impedendo ai Fratelli Musulmani di sfruttare la situazione per prendere le redini del governo e creare un altro Iran». Eppure a Washington ci sono pareri discordi, c’è chi non li considera così pericolosi... «Chi li sottovaluta commette un grave errore. Anche Israele ha fatto in questi giorni degli sbagli: la decisione del premier Netanyahu e del presidente Peres di parlare a favore di Mubarak è stata nociva. Israele in questo frangente deve restare in silenzio. La comunità internazionale deve farsi sentire, e bloccare i piani dei Fratelli Musulmani. Non è solo nell’interesse di Israele, ma del mondo intero». C’è chi obietta che l’argine anti Fratelli Musulmani può essere il neo vicepresidente Suleiman, capo dell’intelligence... «Suleiman è un duro ma non può fare tutto da solo. Deve costruire delle alleanze solide con le forze democratiche protagoniste delle proteste di piazza. E questo è un processo ancora in corso. Proprio la difficoltà nella creazione della coalizione di forze democratiche ex Mubarak porta a rafforzare i timori israeliani per un possibile avvento dei Fratelli Musulmani».
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