Nei commenti dei giornali di oggi, 29/01/2011, continua l'interpretazione consolatoria della rivolta egiziana. Viene sottovalutato il pericolo integralista rappresentato dai Fratelli Musulmani e quello iraniano nella persona di El Baradei, del quale si fa gran spreco di essere 'Premio Nobel per la Pace', come se non lo fosse stato anche Arafat.
Fanno eccezione alcune testate, fra le quali Il FOGLIO, il GIORNALE, ILSOLE24ORE, con gli articoli che riprendiamo.
Il Foglio- " Nelle piazze del Cairo la voce più forte è quella di Allah "

Fratelli Musulmani
Il Cairo. Al quarto giorno di proteste, i giovani del Cairo sono riusciti a prendere alcuni palazzi del potere egiziano. Hanno sfidato la polizia di fronte alla sede della televisione pubblica e sono riusciti a entrare in quello del Partito nazionale democratico (Pnd), il movimento più potente del paese. Gridavano slogan contro il presidente, Hosni Mubarak, e contro il figlio Gamal, l’uomo scelto per raccogliere la sua eredità – un’operazione che ora pare problematica. I manifestanti hanno occupato i ponti, le strade e le piazze della capitale nonostante gli appelli del governo e l’annuncio di un coprifuoco arrivato nel pomeriggio. Dicevano che “il governo non c’è più, il governo siamo noi”. Li ha fermati soltanto la preghiera della sera: hanno smesso di combattere per inchinarsi a terra e cantare salmi rivolti verso la Mecca. Sullo sfondo c’erano le fiamme alle finestre del palazzo del Pnd e i colpi sparati dalle squadre speciali. Così, l’islam fa il proprio ingresso nella rivolta che sta mettendo in crisi Mubarak, uno dei leader più longevi di tutto il medio oriente. Le proteste di ieri sono cominciate dopo la preghiera del venerdì e hanno scosso ogni angolo del paese. I Fratelli musulmani, un movimento al limite della legalità, è sceso in strada per la prima volta al fianco dei giovani d’Egitto. Secondo il direttore del quotidiano filogovernativo al Ahram, Osama Sarian, gli islamisti “stanno usando la violenza per andare al potere”. Poche ore più tardi, la redazione del suo giornale è finita sotto attacco. La polizia ha perquisito alcuni circoli dei Fratelli musulmani nella notte fra giovedì e venerdì e avrebbe arrestato una quindicina di persone. Il governo ha chiesto ai manifestanti di stare lontani dalle chiese e dalle moschee, gli imam del Cairo hanno detto che l’islam “è contro le divisioni”, ma le prediche non hanno avuto effetto. La “Giornata della collera” è già nella memoria del popolo e ha già cambiato questo paese grande e decisivo per gli equilibri della regione. In strada c’era anche il premio Nobel Mohammed El- Baradei, tornato in patria giovedì per partecipare a quello che ha definito “un momento storico per il paese”. La polizia lo ha arrestato ieri nella parte occidentale del Cairo. Peggio è andata al leader liberale Ayman Nour, che sarebbe ricoverato in gravi condizioni dopo essere stato colpito da una pietra al capo. Il bilancio dei feriti è alto – negli ospedali del Cairo ne sono arrivati più di ottocento in poche ore, dicono le fonti locali – ma quello dei morti è misteriosamente basso. Secondo il sito internet al Masry al Youm, uno dei pochi media indipendenti che riescono ancora a fornire notizie, sarebbero “dieci” in tutto il paese, cinque dei quali nella capitale. L’ultimo è un ragazzino di quattordici anni, ucciso negli scontri con la polizia a Port Said nella zona di Suez. La grande città di porto è uno dei centri della protesta insieme con Alessandria, dove l’esercito ha dovuto prendere il posto della polizia, ormai impotente di fronte alla forza della piazza. I resoconti del network al Arabiya dicono che la gente ha salutato l’arrivo dei soldati come una vittoria. Le telecamere hanno ripreso i blindati nelle piazze, ma per il sito internet dei Fratelli musulmani “sia Alessandria, sia Suez sono nelle mani dei manifestanti”. ElBaradei, uno dei politici più attesi alle proteste di ieri, ha partecipato alla preghiera del venerdì nella moschea di al Jiza, nella parte ovest del Cairo. Prima della manifestazione ha trovato il tempo per parlare con un reporter del Guardian e dire che il regime egiziano “è ormai allo stremo” delle forze. “C’è certamente un rischio per la mia sicurezza – ha aggiunto – ma è un rischio che vale la pena prendersi quando vedi il tuo paese in un simile stato. Sarò con il popolo oggi”. La polizia ha dovuto combattere contro decine di manifestanti prima di raggiungere ElBaradei, che era protetto da un cordone di sicurezza molto solido. Il premio Nobel è stato costretto agli arresti domiciliari per alcune ore. ElBaradei vuole un ruolo nella transizione, chiede a Mubarak di farsi da parte e di lasciare il potere alla piazza. Nei mesi scorsi ha cercato di costruire una coalizione con i Fratelli musulmani per arrivare alle prossime presidenziali con qualche possibilità di successo. L’operazione è fallita, ma i suoi legami con i gruppi islamisti potrebbero aiutarlo in questa fase. Quando il Foglio va in stampa, c’è ancora attesa per un discorso alla nazione che Mubarak avrebbe dovuto tenere già nel pomeriggio, come annunciato dall’emittente araba al Jazeera. Le parole del rais saranno decisive per comprendere le sorti di questa rivolta. Secondo Fawaz Gerges della London University, “Mubarak non ha il tempo di preparare un messaggio, deve improvvisare, deve trovare il modo di comunicare con un paese che è completamente diverso rispetto a quello di quattro giorni fa”. L’altro grande blocco di potere è rappresentato dai generali, che hanno mantenuto sinora una posizione indipendente. La presenza dell’esercito ha riportato la calma in molti centri del paese, ma la situazione è tutt’altro che stabile: il capo di stato maggiore egiziano, Sami Annan, era negli Stati Uniti ieri, ma ha interrotto la propria visita per tornare in patria.
IlSole24Ore- Khaled Fuad Allam: " Il crepuscolo della Sfinge Mubarak"

Khaled Fuad Allam
Forse non abbiamo ancora misurato la gravità degli eventi che stanno attraversando il mondo arabo, in particolare l'Egitto. Questo non è un paese come gli altri, per due motivi essenziali: in primo luogo, è l'unico paese arabo che funge realmente da interfaccia fra Israele e la Palestina, e il mondo ha bisogno della sua stabilità politica. In secondo luogo, per la grande koiné araba e per tutta la cultura islamica sunnita l'Egitto ha sempre avuto il ruolo di centro intellettuale e politico. È lì, in questo stato e nella capitale Il Cairo, che sono nate e si sono sviluppate le grandi tendenze che lungo il XX secolo hanno percorso il mondo arabo, da Casablanca a Beirut; è qui che sono stati sperimentati i primi tentativi di modernizzazione delle società arabe; i primi grandi film e i primi grandi romanzi arabi, le prime grandi riforme sono nati in Egitto. Ricordo sempre che la donna egiziana ha avuto il diritto di voto nel 1927, quella francese solo nel 1936, l'italiana addirittura nel 1946. Ma qui è anche nata nel 1929 l'ideologia del fondamentalismo islamico, con la Fratellanza musulmana fondata da Hassan al Banna; ed è qui che è stata concepita l'ideologia del terrorismo islamico, con Sayyd Qutub, imprigionato e condannato a morte da Nasser nel 1966.
L'Egitto rappresenta un miscuglio pauroso e preoccupante di tutte le contraddizioni che attraversano il mondo musulmano: il desiderio di modernità e di democrazia, e all'opposto la spinta fondamentalista al ritorno a una specie di età dell'oro dell'Islam attraverso lo stato della sharia. L'Egitto oggi si trova realmente a un bivio, e nessuno può dire se la folla che manifesta nelle diverse città del paese saprà approdare a una democrazia compiuta, che si sbarazzi definitivamente del pericolo fondamentalista, oppure se sottilmente il fondamentalismo islamico, attraverso i Fratelli musulmani o altri, strumentalizzerà e utilizzerà la questione democratica per realizzare ciò che vuole, uno stato islamico.
Il pericolo è grave, se si pensa che già alla fine degli anni 70 il defunto presidente Anwar al Sadat, per contenere la crescita dei movimenti fondamentalisti, aveva fatto la concessione di modificare il preambolo della Costituzione sancendo che la sharia (legge islamica) rappresenta la fonte principale della legislazione in Egitto.
Abbiamo oggi nello scacchiere egiziano tutti i termini di un'equazione con due possibili soluzioni: democrazia o fondamentalismo. Sociologicamente la società civile egiziana appare molto meno strutturata di quella tunisina, e dunque più fragile; e ciò può favorire un inasprimento del potere attuale di Mubarak oppure una deriva verso il fondamentalismo islamico. Va ricordato che ElBaradei è in parte indirettamente appoggiato anche dai Fratelli musulmani, che comunque siedono in Parlamento; e che gli altri movimenti, come ad esempio il movimento Kifaya (che significa "Basta!"), essendo meno strutturati, non hanno leadership di rilievo. In questo momento il ruolo degli europei è di importanza fondamentale, e un'iniziativa internazionale va intrapresa per evitare pericolose derive. La storia dell'Iran rappresenta un monito.
Certo, al di là della vicenda egiziana, l'Europa deve essere consapevole che per il mondo arabo la questione democratica è la questione del XXI secolo, e che le democrazie dinastiche stanno vivendo la loro agonia. Questo è il messaggio lanciato da una popolazione che per il 70% ha meno di 25 anni, in una crisi economica devastante. L'aspirazione alla libertà si scontra oggi, dal Cairo a Sana'a, con la volontà di un ritorno a ciò che in occidente si chiama uno "stato etico" attraverso il fondamentalismo islamico.
Il Giornale-Fausto Biloslavo: " Magdi Allam, rischiamo un altro Iran "

Magdi Cristiano Allam
Al Cairo e nelle altre cittàdell’Egitto scoppia la rivolta anti-Mubarak: decine i morti, mille i feriti, scatta il coprifuoco. Dopo Tunisia e Algeria, l’Egitto è l’ultimo Paese nordafricano in cui si diffonde la rivolta. E l’eurodeputato di origine egiziana Magdi Cristiano Allam lancia l’allarme: «Non escludo l’intervento di Al Qaida, i Fratelli Musulmani soffiano sul fuoco ».
Magdi Cristiano Allam è nato 58 anni fa nel quartiere popolare Bab el Shaarya de Il Cairo. Europarlamentare fondatore del movimento «Io amo l'Italia», spiega a «Il Giornale » luci e ombre della sanguinosa rivolta di queste ore.
Cosa sta accadendo in Egitto dove ha vissuto per 20 anni?
«La necessità dei ceti meno abbienti di garantirsi la sopravvivenza economica e la frustrazione dei giovani più acculturati, che chiedono libertà e democrazia, si sono mescolate esplodendo. Le borse, il commercio, l'economia sono state globalizzate, ma non i diritti della persona, la democrazia, le libertà. Da una parte la globalizzazione ha accresciuto le difficoltà dei ceti meno abbienti nel fronteggiare la crisi economica. Dall'altra ha accentuato la frustrazione dei giovani alfabetizzati, istruiti, laureati, che guardano la tv satellitare, navigano su internet, usano Facebook e si rendono conto di essere cittadini del mondo. Al tempo stesso, però, non possono partecipare, nel loro Paese, alla libertà e alla democrazia».
E noi c’entriamo qualcosa?
«L'Europa ha le sue responsabilità. I dittatori di questi Paesi li abbiamo aiutati e sostenuti noi. Per decenni in nazioni come l'Egitto è stata esercitata una democrazia solo formale basata sul rituale delle elezioni, ma senza rispettare veramente i principi democratici ».
Hosni Mubarak, che guida il Paese da tre decenni, cadrà?
«Parliamo di una persona che ha quasi 85 anni ed è malato. Mubarak viene sostenuto dall'esercito, la vera forza che regge il Paese. Oggi la domanda da porsi è: chi sarà il candidato che le forze armate sceglieranno per sostituire Mubarak?
».
É cominciato a scorrere del sangue. Quale ruolo giocheranno le forze armate?
«L'esercito in Egitto è fondamentale, garante dell'unità del paese. I militari sono una classe privilegiata, l'unica forza che può tenere insieme la nazione più popolosa dell' area e con il maggior peso politico della regione, nulla di comparabile con la Tunisia. Se gli estremisti islamici dovessero assumere il potere in Egitto l'effetto sarebbe ancora più devastante di quello che ci fu nel 1979 con l'ascesa di Khomeini in Iran. Lui rappresentava la minoranza sciita, ma i Fratelli musulmani in Egitto sono invece la maggiorana sunnita diffusa in tutti i paesi islamici».
Chi potrebbe prendere il potere?
«La situazione è ancora confusa. Si parlava di Gamal, il figlio di Mubarak, ma non gode della fiducia dell'esercito. E poi è un civile. Bisogna capire quale sarà il ruolo di Mohammed El Baradei, che è stato a lungo presidente dell'Agenzia atomica e ha mantenuto rapporti internazionali importanti. Bisogna capire se non si stia prestando a diventare la faccia accettabile dei Fratelli musulmani ».
I Fratelli musulmani sono scesi in piazza, ma anche i cristiani copti hanno deciso di unirsi alle proteste. É una rivolta islamica o di tutti?
«Al momento non ha forti connotati religiosi, almeno in apparenza, ma gli islamici sono molto forti. Controllano le moschee e diverse associazioni di categoria come quella degli avvocati, degli insegnanti dei medici. Hanno un radicamento soprattutto fra i ceti meno abbienti. Al di là del fatto che oggi non siedono in parlamento, il rischio che l'Egitto possa venir pesantemente condizionato dagli integralisti islamici è elevato. Loro sono molto abili ad appiccare l'incendio e poi a proporsi come pompieri per spegnerlo. In cambio chiedono la compartecipazione nella gestione del potere, fino a quando non lo monopolizzano del tutto».
Esiste un pericolo Al Qaida, tenendo conto che il suo numero due, Ayman al Zawahiri, è egiziano?
«No, lo escluderei. Qualcuno legato ad al Qaida potrebbe cercare di aizzare ulteriormente gli animi, ma non riuscirà mai a prevalere. Chi vincerà saranno i Fratelli musulmani, per certi aspetti ben più insidiosi ».
Nei prossimi giorni dobbiamo prepararci ad un'escalation?
«É stato imposto il coprifuoco, ma il regime non è in grado di dare risposte soddisfacenti alle necessità economiche ed alla richiesta di democrazia da parte del popolo».
L'effetto domino si espanderà?
«L'effetto domino c'è già. Abbiamo visto l'Algeria, la Tunisia, l'Egitto, il Libano. E pure nello Yemen, il paese più povero fra quelli citati, gli animi si stanno scaldando».
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