Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Libano: la Chiesa cattolica da che parte sta? a che cos'è servito l'Unifil ?
Testata:Il Foglio - Il Manifesto Autore: La redazione del Foglio - Geraldina Colotti Titolo: «Il (non)senso di Unifil - Il Tribunale penale internazionale, una colpevole e pericolosa ingerenza»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/01/2011, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Il (non)senso di Unifil ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'intervista di Geraldina Colotti a padre Abdo Raad dal titolo " Il Tribunale penale internazionale, una colpevole e pericolosa ingerenza ", preceduta dal nostro commento. Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Il (non)senso di Unifil "
Unifil
Gli scontri in Libano, che scandiscono in questi giorni la formazione di un governo vicino a Hezbollah, aumentano i dubbi sulla missione dei dodicimila Caschi blu di Unifil schierati nel sud del paese, tra il fiume Litani e il confine israeliano. Questa missione ha perso via via credibilità, in quanto non è riuscita a ottenere l’obiettivo che si era posto: disarmare il Partito di Dio sciita, come prevedeva la risoluzione 1.701 del Consiglio di sicurezza che rinforzò il dispositivo militare dell’Onu dopo la guerra con Israele nell’agosto del 2006. Anzi, negli ultimi anni Hezbollah si è rafforzato militarmente e ha ricostituito gli arsenali di razzi da lanciare contro Israele: ce ne sarebbero almeno 40 mila. Le regole d’ingaggio prevedono che i Caschi blu non possano ispezionare i depositi dei miliziani (la cui posizione è ben nota) né i veicoli sospettati di trasportare armi. Questi compiti spettano alle forze libanesi, che possono chiedere il supporto di Unifil, ma non lo hanno mai fatto. L’anno scorso, un’esercitazione voluta dal generale spagnolo Antonio Asarta Cuevas, comandante di Unifil, finì con i mezzi dell’Onu bloccati dai manifestanti mobilitati da Hezbollah che riuscirono pure a disarmare alcuni soldati francesi. Per questo, già nel marzo scorso, il generale Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa, suggerì di rivedere gli obiettivi di Unifil, sottolineando che “l’efficacia delle operazioni militari dipende dalla chiarezza della missione”. Nell’ultimo anno l’impegno italiano si è ridotto da 2.400 a 1.700 militari che scenderanno presto a 1.200. La caduta del governo di Saad Hariri e l’incarico di formare un nuovo governo a Najib Mikati, imposto da Hezbollah, rischiano di riaprire il conflitto con Israele, soprattutto se arriveranno nei porti libanesi le navi da guerra che Teheran ha annunciato di voler inviare nel Mediterraneo e che possono rappresentare il primo passo verso l’invio di forze iraniane in Libano. Ma i Caschi blu hanno limiti operativi invalicabili. E fonti militari israeliane hanno rivelato che buona parte degli arsenali di Hezbollah si trovano vicino alle postazioni di Unifil: così i Caschi blu che dovrebbero disarmare i miliziani sciiti fanno loro da scudi umani.
Il MANIFESTO - Geraldina Colotti: " Il Tribunale penale internazionale, una colpevole e pericolosa ingerenza "
Padre Abdo Raad
Ecco le dichiarazioni di Padre Abdo Raad sul Tribunale Hariri al quotidiano di Rocca Cannuccia : " Ci piacerebbe sapere chi ha ucciso Hariri, chi ha compiuto tanti atti di terrorismo nel nostro paese – dice il sacerdote -, ma come far fiducia a un Tribunale che è finanziato dagli stati che sono alla base di quegli atti? Perché, prima di indagare in casa nostra non scoprono i colpevoli in casa loro? Prima hanno accusato i siriani, ora hezbollah. ". Quali sarebbero gli Stati finanziatori del Tribunale internazionale e colpevoli del terrorismo di Hezbollah? Il prete continua con queste parole : " Per il Partito di Dio, il punto più dolente è che non siano state chiamate in causa le eventuali responsabilità di Israele. Allora, piuttosto che finire in una guerra di religione fra sunniti e sciiti, piuttosto che far la fine dell'Iraq, preferiamo non conoscere gli autori di quell'omicidio ". Se proprio non si può dare ragione a Hezbollah e incolpare Israele, allora è meglio mettere tutto a tacere. Ma da che parte sta la Chiesa cattolica in Libano?
«Lo stato è di tutti, Dio è una questione privata - dice al manifesto il sacerdote libanese Abdo Raad – non si può continuare a vivere in uno stato diviso secondo le religioni». Padre Abdo – che ama definirsi «un prete laico» - dirige il centro sociale San Sauveur a Joun, nella regione del monte Chouf, a una quindicina di chilometri da Sidone. È anche il presidente del Consiglio nazionale del lavoro sociale, un coordinamento di «tutte le associazioni che suppliscono alle carenze dello stato intervenendo sui bisogni della popolazione»: perché – afferma il sacerdote - «quando ci sono molte associazioni in campo, significa che lo stato non fa il suo lavoro. Le scuole pubbliche funzionano male, non ci sono centri sociali per anziani o disabili. Le disuguaglianze sociali sono molto evidenti, i poveri diventano sempre più poveri. Anche le associazioni hanno i loro problemi di coordinamento, ma il terreno sociale è luogo di incontro fra differenti concezioni e religioni». Le associazioni – spiega - «hanno un contratto con lo stato attraverso alcuni ministeri. Lo stato dovrebbe finanziare almeno il 66% del costo assistenziale. Ma per aiutare un bambino occorrerebbero almeno 15 euro al giorno, invece ne riceviamo 5 e sempre con molto ritardo». Abdo Raad è venuto in Italia per promuovere la mostra «Arte per la vita», organizzata da alcune associazioni come Mameli 7, e raccogliere i fondi per la costruzione di un ospedale nel sud del Libano: un ospedale aperto a tutti, perché «la nostra Chiesa – dice - agisce nel segno della condivisione. Invitiamo i rappresentanti di tutte le religioni, senza distinzione». Padre Abdo ha però anche un suo preciso punto di vista sulla situazione in Libano «e sulle forze esterne, come Stati uniti e Israele, che fanno guerre terribili e hanno interesse amantenere alta la confusione». Forze che «pretendono di esportare la democrazia in contesti che non sono pronti a riceverla, e provocano, come in Iraq, un bagno di sangue». In Iraq – dice il sacerdote – «prima che arrivassero gli americani i cristiani vivevano in pace con tutti, oggi sono presi di mira». Racconta di aver vissuto in Siria, «dove, certo, vi sono limiti alle libertà,ma almeno non si è in preda alla barbarie e ai conflitti di religione». Quali sono i rapporti fra cristiani eHezbollah (il Partito di Dio)? gli chiediamo. In Libano – spiega padre Abdo – i cristiani sono divisi, «una parte è alleata con gli sciiti di hezbollah, l'altra con i sunniti del Movimento del futuro di Saad Hariri, verso i quali sembra propenda anche il patriarca. I cristiani sono in grande difficoltà: non sono armati, non hanno più una forza politica. Cinquant'anni fa erano il 60%, oggi il 27%. Difficile che il governo continui a essere diviso a metà fra cristiani e musulmani. La demografia cambia la politica». Il Tribunale penale internazionale per il Libano? «Ci piacerebbe sapere chi ha ucciso Hariri, chi ha compiuto tanti atti di terrorismo nel nostro paese – dice il sacerdote -, ma come far fiducia a un Tribunale che è finanziato dagli stati che sono alla base di quegli atti? Perché, prima di indagare in casa nostra non scoprono i colpevoli in casa loro? Prima hanno accusato i siriani, ora hezbollah. Per il Partito di Dio, il punto più dolente è che non siano state chiamate in causa le eventuali responsabilità di Israele. Allora, piuttosto che finire in una guerra di religione fra sunniti e sciiti, piuttosto che far la fine dell'Iraq, preferiamo non conoscere gli autori di quell'omicidio».
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