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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
19.01.2011 La Tunisia non vuole più dittatori
Ma bisogna far attenzione che non finisca nelle mani degli islamisti

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: Redazione del Foglio - Alix Van Buren
Titolo: «Elliott Abrams ci dice che Egitto e Libia devono stare attenti - Il ritorno del rivale di Ben Ali: Il paese non vuole più dittatori»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 19/01/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Elliott Abrams ci dice che Egitto e Libia devono stare attenti  ". Da REPUBBLICA, a pag. 17, l'intervista di Alix Van Buren a Moncef Marzouki dal titolo "Il ritorno del rivale di Ben Ali: Il paese non vuole più dittatori".
Ecco i due articoli:

Il FOGLIO - " Elliott Abrams ci dice che Egitto e Libia devono stare attenti "


Elliott Abrams

Roma. La Tunisia ha una situazione interna tutta sua, ma può essere un esempio per gli altri paesi della regione: ora più che mai una “freedom agenda” come quella di George W. Bush è indispensabile. Ecco come spiega i fatti di Tunisi Elliott Abrams, che ha lavorato nell’Amministrazione Bush occupandosi di diritti umani e sicurezza, e conosce bene il medio oriente. Al Foglio dice: “La Tunisia è uno dei paesi arabi più sviluppati sul piano sociale ed economico, ha un tasso di alfabetizzazione superiore all’80 per cento e un reddito pro capite di 8.000 dollari. Qui non c’era una dittatura istituzionale o militare come in Algeria, ma il dominio incontrastato di una famiglia. Quando sono scoppiate le violenze, l’esercito non ha protetto il regime, lo ha fatto la polizia, ma è stato l’esercito a vincere la battaglia”. Ora che succederà? “Per promuovere la transizione, ci devono essere elezioni libere, precedute da una campagna elettorale libera, e la presenza di osservatori internazionali”. C’è poi il problema del contagio. Abrams spiega le peculiarità di ogni paese della regione. In Egitto “la possibile candidatura del figlio del presidente Mubarak, Gamal, a suo successore sembra indicare un passaggio dal dominio militare a quello familiare. Circolano parecchie storie sulla corruzione della famiglia Mubarak e sulla favolosa ricchezza dei suoi figli: ci troviamo di fronte allo stesso tipo di polvere da sparo esplosa in Tunisia”. L’Algeria è diversa dalla Tunisia, “è una dittatura retta dal ‘Pouvoir’, un’oscura combinazione di ufficiali dell’esercito. Il presidente Bouteflika è al potere da dodici anni, ma la sua autorità ha un fondamento meno familiare e il regime è meno corrotto. Le rivolte potrebbero spingere i leader militari a sbarazzarsi di lui, ma sarà molto più difficile spodestare anche il regime”. La Libia è un caso a sé “per del carattere unico del suo leader Muammar Gheddafi, i cui figli detengono posigliono posizioni di altissima autorità nel regime”. Ma se la rivolta tunisina è destinata a diffondersi, dice Abrams, “i candidati più probabili sono l’Egitto e la Libia”. Altro discorso vale per Giordania, Marocco e i regimi monarchici del Golfo. “Questi paesi possono contare su due vantaggi: il monarca è considerato come un capo legittimo al di sopra della politica; la colpa delle inefficienze, della corruzione e della repressione del governo può essere scaricata sui ministri, che possono essere rimpiazzati. Nei paesi del Golfo non si è nemmeno tentato di creare monarchie costituzionali nelle quali una parte del potere sia affidata a politici eletti, e anche in Giordania e Marocco l’esperimento è difficile da realizzare. Ciononostante, questi paesi potrebbero offrire un cammino più pacifico verso la democrazia rispetto a quello che si potrebbe aprire nelle posticce ‘repubbliche’ del mondo arabo”. Nel 2005 si è molto parlato di una “primavera araba” sull’onda delle dimostrazioni di massa in Libano, in Egitto e per le elezioni palestinesi. Capiterà ancora? “Dubito che vedremo una nuova ‘primavera araba’, i dittatori di tutta la regione reagiranno con una nuova ondata di repressione. Ma magari alcuni avranno l’intelligenza di capire che è necessario allentare la stretta e concedere una certa autonomia di vita politica all’interno del sistema – altrimenti si troveranno esautorati dal sistema e contro di esso”. Per Barack Obama, la Tunisia “è un’importante lezione”, conclude Abrams: “Non bisogna appoggiare i dittatori perché i loro regimi sono forti e solidi. Bisogna appoggiare le popolazioni e sostenere la libertà, in Tunisia come in Iran o in Egitto. Sostenere la libertà sarà una cosa da idealisti, ma è anche una scelta intelligente. Obama ha buttato nel cestino la ‘freedom agenda’ perché la riteneva associata al nome di Bush e quindi sbagliata e impopolare. Che errore”.

La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Il ritorno del rivale di Ben Ali: Il paese non vuole più dittatori"


Moncef Marzouki

Moncef Marzouki, lo storico capofila dell´opposizione democratica, è appena rientrato a Tunisi dopo dieci anni d´esilio. Accolto come un eroe da folle esultanti, issato in trionfo sulle spalle fra l´ululare delle donne, è naturale che il suo parlare ora sia concitato. «Come raccontarle la mia felicità?», si strozza la voce al telefono. «Sono emozionato, frastornato, travolto».
La prima tappa di Marzouki, 65 anni, neurologo, scrittore, leader del Congresso per la Repubblica e forse il più fiero avversario di Ben Ali, non è il lindo appartamento in città. Invece, lui fila in automobile verso Sidi Bouzid, dov´è scoppiata la rivolta. Bacia la terra dov´è la tomba di Bouaziz, il giovane «martire» della Rivoluzione: «Immolandosi con le fiamme il 17 dicembre», è aspro Marzouki, «ha dato fuoco alla legna rinsecchita del regime di Ben Ali. Ma le condizioni erano ideali».
Quali in particolare, professore Marzouki?
«Perché l´incendio divampi servono la giusta temperatura atmosferica e formidabili pile di legna secca, cioè la cricca corrotta del Paese. Mancava la scintilla, e quel giovane l´ha fornita con il suo corpo. Ha spalancato una porta, che credevamo sbarrata. Lui avrebbe voluto vivere a testa alta in un Paese libero. Il mio primo dovere è rendergli omaggio, ecco».
Professore, le fiamme, che dice lei, non si spengono. Le proteste continuano. Non la convincono le aperture del nuovo governo?
«Qualche apertura s´è vista: oggi ho parlato per la prima volta nella mia vita alla radio tunisina. S´è aperto un dibattito reale. Per le strade si avverte un´ebbrezza popolare che dà le vertigini. Però, si tratta di costruire il futuro, di formare un vero governo di unità nazionale».
Qual è il primo passo?
«È che il premier Ghannouchi se ne vada. Il suo governo non ci appartiene. Il popolo intero chiede la dissoluzione dell´Rcd, il partito di Ben Ali, il pilastro della dittatura. La situazione è impossibile, capisce? Sarebbe come se, nella Germania del 1989 dopo la caduta del Muro, Honecker, il capo del partito egemonico dell´Est, avesse guidato la transizione verso la democrazia. Infatti ora il popolo sta occupando le sedi dell´Rcd».
Chi dovrebbe guidare la transizione?
«Un governo coi partiti che si sono battuti contro la dittatura: comunisti, Lega democratica, Verdi, islamisti di An Nahda, insomma tutti, tranne l´Rcd».
Il suo è un partito laico, di centro-sinistra. Come tratterà con gli islamisti?
«Il loro leader, Rachid Ghannouchi, è un moderato. Rientrerà fra breve. E poi, basta con il mito degli islamisti sempre col coltello fra i denti. Confondere Ghannouchi con Bin Laden è come equiparare Berlinguer e Pol Pot: nulla in comune. Ghannouchi è un democratico. Per noi lo spartiacque è fra chi è pro o contro la democrazia».
Lei si candiderà alla presidenza?
«Lo farò, se il partito mi presenterà. Ma la mia persona non conta. Le questioni urgenti sono altre: restituire la sovranità al popolo, assicurare elezioni libere, trasparenti, democratiche. E votare in tempi rapidi, sei mesi e non di più, perché ci aspettano dossier gravissimi, come quello economico e sociale».
Lei chiederà l´estradizione di Ben Ali dall´Arabia Saudita?
«Lo farà il governo d´unità nazionale: non solo del tiranno, ma anche della moglie Leïla, che ha molto da rispondere alla giustizia. Domandiamo a tutti i Paesi di recuperare i soldi rubati ai tunisini. Però, c´è un altro messaggio importante».
Quale, professore Marzouki?
«Vorrei ringraziare la società civile d´Italia, Spagna, Francia, America, che è stata al nostro fianco. Però non ringrazio affatto i governi, compreso il vostro, che hanno appoggiato Ben Ali. A loro, io dico questo: ascoltatemi bene. Fatevi perdonare, sostenete la transizione democratica. E poi: rimediate ai vostri errori, perché i dittatori su cui scommettete hanno i giorni contati. S´illude chi pensa che i Mubarak, i Gheddafi, i Bouteflika garantiscano la stabilità. Rileggete la storia: le liberazioni a catena nell´Europa dell´Est. Il risveglio tunisino farà da esempio. L´incendio appiccato da Bouaziz ha già varcato i nostri confini».

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