Se l'islam fosse una religione come le altre, saremmo i primi a sottoscriverne le richieste. Luoghi di preghiera, innanzi tutto, ma anche rispetto per le festività e tutto quanto fa parte dell'osservanza religiosa.
Ma l'islam non è una religione come le altre, non siamo noi ad affermarlo ma loro. E non solo i cosidetti 'estremisti', ce ne sono anche in altre religioni, ma anche i 'moderati', che dovrebbero rivelarne il carattere 'pacifico' sono ben altro.
La prova ?
Basta guardare come il terrorismo ha potuto svilupparsi in Europa, avendo come basi proprio le moschee. Ma non dovevano essere luoghi di preghiera ? Questo lo dicono coloro che non hanno ancora capito nulla dell'islam o sono in malafede. L'islam è una religione-stato, che si propone l' obiettivo di convertire il mondo. Se gli infedeli, cioè tutti i non musulmani, non si convertono spontaneamente, allora devono/dovranno essere obbligati. Potrà non piacere, ma questa è la realtà. L'Europa sta per essere invasa da una popolazione che non prevede l'integrazione, ma impone ai paesi ospiti che adeguino le loro società alle leggi musulmane. E' quello che sta avvenendo.
E' Eurabia che avanza, come documenta il coraggioso lavoro di informazione di Ugo Volli su IC, al quale aggiungiamo oggi, 16/01/2011, due articoli, dalla STAMPA e da GIORNALE, che confermano, se mai ve ne fosse bisogno, il futuro che ci attende.
La Stampa-Alessandro Alviani: " Ramadan, niente gita scolastica"


a destra, la copertina del libro di Theo Sarrazin sull'avanzata dell'islam in Germania (best seller in Germania, ma non tradotto in Italia)
Niente gite scolastiche durante il Ramadan, lezioni di sport divise per sessi e, per le ore di educazione sessuale, meglio separare gli studenti: di qua i ragazzi, di là le ragazze. Sono alcuni dei consigli che il ministero dell' Istruzione della Renania-Palatinato, il piccolo Land nell’Ovest della Germania guidato dall’ex leader socialdemocratico Kurt Beck, sta distribuendo in questi giorni agli insegnanti. Obiettivo: andare incontro agli studenti musulmani e aiutare i docenti a superare le situazioni conflittuali.
I suggerimenti, spesso, non fanno che ricalcare quelli già proposti in altri Länder, a partire dalla città-Stato di Berlino: «Quando possibile, le lezioni di nuoto e sport dovrebbero essere tenute separando i sessi» e «nessun insegnante, custode o controllore di sesso maschile dovrebbe entrare mentre le ragazze fanno sport».
Eppure, in un clima surriscaldato dalle tesi dell’ex banchiere della Bundesbank Thilo Sarrazin, che in un libro ha accusato gli immigrati di non volersi integrare e di abbassare il livello medio di intelligenza dei tedeschi, il dépliant ha finito per provocare polemiche. «Questo non è un documento per l’integrazione, ma per la segregazione», ha protestato sul settimanale Focus il presidente dell'Associazione tedesca dei filologi, Heinz-Peter Meidinger. E il suo collega della Renania-Palatinato, Malte Blümke, ha parlato di un progetto «anti-emancipazione».
Parole che a Magonza, placido capoluogo della RenaniaPalatinato, non capiscono. «Io non ci vedo nulla di riprovevole», nota un portavoce del ministero regionale dell’Istruzione. Dopo tutto, ricorda, il dépliant è frutto di un gruppo di lavoro in cui sedevano anche rappresentanti delle Chiese cattolica e protestante: «Noi le gite non le organizziamo neanche nel periodo di Natale».
«Quando si pianificano le manifestazioni scolastiche bisogna prestare attenzione a che possibilmente le gite non cadano durante il mese del digiuno o altre festività religiose», si legge nel dépliant. E ancora: «Digiunare tutto il giorno può portare a una limitazione delle capacità di concentrazione», per cui vanno ricercate «soluzioni flessibili» per evitare troppi compiti in classe. Quanto all’educazione sessuale, in caso di contrasti potrebbe essere utile «organizzare le lezioni in gruppi omogenei dal punto di vista sessuale». Stesso discorso per sport e nuoto: meglio separare per sessi.
Nulla di nuovo: già nel 1993 la Corte amministrativa federale aveva stabilito che una ragazza musulmana può essere esonerata dalle lezioni di sport se queste non sono divise per sessi. A Magonza, però, vanno oltre. Se proprio una studentessa di fede islamica non vuole scendere in piscina col costume da bagno e il dialogo coi suoi genitori fallisce, c'è sempre una soluzione: «costumi da bagno o tute prodotte apposta per le ragazze musulmane, come il burkini».
Il Giornale-Francesco De Remigis: " L'Ikea mette il velo alle impiegate musulmane, è per rispetto all'islam "

islam,religione pacifica
«Cassiere, magazziniere, aiuto cuoche e addette alle vendite. Per le impiegate musulmane dell'Ikea Edmonton Glover Drive c'è ampio spazio per esprimere la loro appartenenza religiosa. Una piccola gabbia formata da due pezzi che incornicia il volto e le etichetta immediatamente come «muslim staff». Qualunque sia la posizione professionale nel punto vendita.
Accade a pochi chilometri a nord di Londra, dove per le operatrici musulmane che ne fanno richiesta la catena svedese mette a disposizione un capo di abbigliamento particolare. Un hijab confortevole in perfetto stile Ikea, con finiture giallo oro ed il caratteristico blue navy della divisa aziendale.
L'idea è nata nel 2005, dopo l'inaugurazione del nuovo punto vendita in un'area popolata da cittadini britannici di fede islamica. È lì che è stata lanciata questa nuova politica aziendale: per far sentire a proprio agio la clientela musulmana, s'inserisce un elemento considerato da molte donne il simbolo della sottomissione. Cioè il velo semi integrale. Che per altre è invece un semplice modo di interpretare l'appartenenza alla comunità.
Per attirare l'attenzione dei musulmani, la filiale inglese si è rivolta ad una società già nota nell'ambito dei copricapi islamici. The Hijab Shop, cartello sul mercato dal 2004, che attraverso l'ecommerce riceve ordini da diversi paesi del mondo. Per Ikea ha realizzato un particolare modello. Due pezzi componibili, con il logo cucito sul retro.
Come coniugare confort ed equilibrio spirituale, senza urtare la suscettibilità dei giuristi dell'islam. In Gran Bretagna, infatti, gli Shaykh hanno preso in analisi anche questa iniziativa. «Il colore non è un problema per l'hijab, e finché il logo non viene apposto su di esso in modo troppo vistoso, i musulmani non hanno nulla da ridire su questa iniziativa», ha chiarito Ibrahim Mogra, già membro del Consiglio musulmano. «Non ci risultano precedenti ha spiegato tempo fa alla Bbc uno dei portavoce di Ikea a Londra - e non abbiamo notizia di nessun'altra azienda che finora abbia abbracciato iniziative di questo genere».
La politica di Ikea non è infatti eccessivamente omologatoria. Ogni filiale si regola secondo convenienza e gestisce i suoi rapporti con i dipendenti i maniera del tutto autonoma. Il sito a cui Edmonton si è affidata è uno dei leader mondiali nella vendita di veli islamici. Thehijabshop. com sostiene di ricevere ordini da tutto il mondo, dal sudamerica al nordamerica, dalla Bosnia all'Australia al Giappone, destinando il 10 per cento degli utili a organizzazioni islamiche di beneficenza. Perciò più che aprire una polemica, che avrebbe potuto scatenare le reazioni della comunità islamica, in Gran Bretagna si è scelto di non dare importanza a quella che sembra essere rimasta una politica isolata. Solo la comunità islamica rilancia di tanto in tanto l'iniziativa di Edmonton, su blog e siti specializzati: «Noi lodiamo Ikea per aver colmato le esigenze religiose dei suoi dipendenti», ha commentato uno dei membri Consiglio culturale musulmano della Gran Bretagna. «Ci sarebbe bisogno di questi copricapi in ogni punto vendita d'Europa», scrive un altro blogger. Ma sono tantissime anche le donne che invece immettono on line il proprio disappunto: «Mi piace l'arredamento Ikea, sono musulmana, ma vado nel punto vendita soltanto per comprare la merce, non per l'abbigliamento delle commesse». Se è vero che l'hijab si sta affermando anche come accessorio di lusso, anche nel mondo anglosassone, resta da capire se siamo di fronte ad una operazione di marketing o ad una deriva comunitarista. C'è infatti chi parla di corporate hijab, per via del logo Ikea sistemato poco sopra le spalle. Mentre la scrittrice americana Asra Nomani, per definire un'analoga iniziativa presa dal Tony Tysons Corner Center Mall, in Virginia, ha utilizzato il termine hijab chic.
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