domenica 11 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.01.2011 Per vincere la guerra in Afghanistan bisogna debellare il terrorismo islamico in Pakistan
Se lo dice pure Fareed Zakaria...

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 gennaio 2011
Pagina: 48
Autore: Fareed Zakaria
Titolo: «La sfida americana in Pakistan sbarazzarsi del fanatismo religioso»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/01/2011, a pag. 48, l'articolo di Fareed Zakaria dal titolo " La sfida americana in Pakistan sbarazzarsi del fanatismo religioso ".


Fareed Zakaria                              Pakistan

Questa settimana, il vicepresidente americano Joe Biden partirà per la più importante visita estera dal giorno della sua nomina. Andrà in quel Pakistan che vive uno stato di crisi a tutti i livelli: militare, politico, economico e sociale. Da tempo il Paese è scosso da un’infinità di problemi, ma l’attentato della settimana scorsa, che ha causato la morte di Salman Taseer, il suo politico più coraggioso, ha gettato una nuova e spietata luce su quelle difficoltà. Avevo sempre pensato che fintanto che l’élite politica fosse rimasta al governo, le forze armate non avrebbero permesso il disgregamento della nazione, né messo a rischio la tenuta dell’arsenale nucleare. Però, dopo i recenti avvenimenti, non ne sono più tanto sicuro. L’aspetto che trovo più spaventoso nell’assassinio di Taseer è che sia stato perpetrato da una delle sue guardie del corpo, un’unità scelta della polizia del Punjab, specificatamente addestrata nella lotta al terrorismo. Pare addirittura che Mumtaz Qadri, l’attentatore, avesse rivelato ai colleghi che aveva intenzione di far fuori il governatore. E nessuno di loro ha mosso un dito per fermarlo, né ha pensato di avvertire i superiori. Le altre guardie sono rimaste immobili a osservare mentre Qadri scaricava oltre venti proiettili nel corpo di Taseer, prima di riporre l’arma con tutta calma. Successivamente sono emerse prove che le posizioni estremiste di Qadri erano ben note ai suoi capi ed erano state trasmesse alle autorità, ma la guardia era rimasta al suo posto. E non è questa la prima conferma che i jihadisti abbiano infiltrato l’esercito pachistano, il cui appoggio decennale all’Islam militante ha contribuito a creare un mostro alla Frankenstein. Quando era presidente, Pervez Musharraf scampò a ben due attentati da parte di ufficiali dell’esercito e dell’aviazione. Uno degli attentatori, Ilyas Kashmiri, ex commando dell’esercito passato ai ranghi operativi di Al Qaeda, viene ritenuto dai servizi segreti americani allo stesso livello di Osama bin Laden, in quanto a capacità organizzative di azioni terroristiche. Nel 2007, un ufficiale pachistano si fece esplodere proprio nel centro dei Servizi speciali dell’esercito. Altrettanto preoccupante è che, subito dopo l’ultimo attentato, abbiano taciuto tutte le voci liberali e moderate pachistane. L’unico alleato di Taseer in Parlamento, Sherry Rehman, è passato alla clandestinità, mentre mullah, politici e persino alcuni giornalisti dichiarano apertamente che l’assassinio di Taseer sia giustificato proprio a causa delle sue posizioni liberali. Pochi sono coloro che osano parlare in sua difesa. E qui sta il dilemma della società pachistana: i partiti islamici fondamentalisti non hanno mai ottenuto più di qualche punto percentuale nelle elezioni, ma ecco che la fascia colta e liberale della società è pronta a inchinarsi davanti all’estremismo e all’intolleranza. Taseer era un politico carismatico e molto amato dalla gente, i suoi nemici sicari senza appoggio. Però se Taseer aveva i voti, i nemici hanno le armi. Sin dagli anni Settanta, quando l’allora dittatore Mohammed Zia ul-Haq comprese che i militari guadagnavano influenza alleandosi con i fondamentalisti, tutte le istituzioni politiche del Paese sono scese a compromessi con l’estremismo. E questa è la sfida che attende Biden. Toccherà a lui dire ai governanti pachistani che è arrivato il momento della verità, che spetta a loro lanciare l’offensiva e sbarazzarsi del cancro del fanatismo religioso. Biden ribadirà che gli Stati Uniti appoggiano il governo democraticamente eletto, e tutti coloro che lottano per la moderazione e la pace, e che sono pronti a combattere il terrorismo. L’influenza americana a Islamabad è grande e la scorsa settimana ha svolto un ruolo costruttivo nel raccogliere sostegno per il governo civile. I generali pachistani protestano, affermando di dare la caccia ai terroristi e adducendo come prova le perdite subite nei combattimenti. È vero. Ai massimi livelli, i militari sanno benissimo che devono combattere i militanti islamici. Eppure continuano a fare distinzioni tra i terroristi, mostrano tentennamenti e continuano a pianificare ossessivamente le loro strategie verso le nazioni confinanti, mentre il loro stesso Paese va in fiamme. Prendiamo ad esempio i talebani afghani, il cui quartier generale è insediato al completo nel Waziristan del nord, una regione confinante con l’Afghanistan. L’esercito pachistano si rifiuta di attaccare qualunque gruppo che si ricolleghi a loro, sostenendo di non avere le risorse necessarie. In realtà, i generali pachistani sono ancora convinti che l’unico modo per influire sull’Afghanistan sia tramite i talebani, con i quali hanno legami ventennali. Se il Pakistan non sarà in grado di invertire la rotta, gli sforzi americani in Afghanistan sono condannati al fallimento. Fintanto che i talebani e Al Qaeda restano al sicuro e ben approvvigionati nelle loro basi pachistane, ogni progresso in Afghanistan sarà sempre provvisorio. I talebani non dovranno far altro che chiudersi nei loro rifugi in Pakistan, aspettare il ritiro progressivo delle truppe americane previsto nei prossimi mesi per poi tornare, riposati e riarmati, a sferrare nuovi attacchi contro il governo di Kabul. A quel punto, quando i talebani rialzeranno la testa, gli Stati Uniti dovranno affrontare una scelta drammatica: inviare nuovi contingenti, oppure proseguire nelle operazioni di ritiro.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT