martedi` 13 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






La Stampa-Libero Rassegna Stampa
09.01.2011 Il ritorno di Moqtada Al Sadr in Irak: una mina pronta ad esplodere
Cronaca e commenti di Maurizio Molinari, Carlo Panella

Testata:La Stampa-Libero
Autore: Maurizio Molinari-Carlo Panella
Titolo: «Iraq, il ritorno di Al Sadr, fuori tutti i soldati Usa- Il ritorno di Al Sadr, cacciamo gli americani, ma con la politica»

Sul ritorno di Moqtada Al Sadr in Iraq, riprendiamo oggi, 09/01/2011, due articoli. Sulla STAMPA, a pag. 14, di Maurizio Molinari, su LIBERO, a pag.14, di Carlo Panella.

La Stampa-Maurizio Molinari: " Iraq, il ritorno di Al Sadr, fuori tutti i soldati Usa"


Moqtada al Sadr con el Maliki            Maurizio Molinari

L’imam sciita ribelle Moqtada al Sadr torna in Iraq dall’esilio iraniano e nel primo discorso pubblico a Najaf si scaglia contro gli Stati Uniti: «Gli americani restano degli invasori e li colpiremo con tutti i mezzi a disposizione della resistenza». Nel 2007 Al Sadr, che oggi ha 37 anni, fuggì a Teheran inseguito da un mandato di cattura iracheno per l’assassinio di un altro imam sciita e la sua uscita di scena consentì alle forze americane di ridimensionare l’Esercito del Mahdi, la milizia da lui creata nel 2003 e protagonista di due sanguinose insurrezioni, nel 2004 e nel 2006.

David Petraeus, allora comandante delle forze Usa, definì i miliziani sciiti del Mahdi «il nostro nemico più agguerrito» accusandoli di essere addestrati e armati dai Guardiani della rivoluzione iraniana. Il ritorno di Al Sadr dall’autoesilio pone il rischio di un ritorno all’azione dell’Esercito del Madhi anche se nel frattempo Al Sadr ha formato un partito politico che nelle ultime elezioni ha ottenuto 40 seggi, entrando nella maggioranza che sostiene il riconfermato premier Nuri al Maliki e ricoprendo otto posizioni di rilevo nell’esecutivo.

Il discorso di Najaf ha riproposto il tono ribelle del 2004 affiancandolo però a una raffica di messaggi politici. Le parti più infuocate sono state infatti nell’appello alla «resistenza con ogni mezzo» e nella definizione degli americani come «occupanti da colpire». Nel complesso ne è uscita la chiara minaccia di colpire le rimanenti truppe degli Stati Uniti in Iraq: 50 mila uomini che entro la fine dell’anno, sulla base degli accordi fra Washington e Baghdad, dovranno ritirarsi. L’accento sulla possibilità di «atti di resistenza condotti da chi non porta le armi» paventa inoltre forme di disobbedienza civile e sabotaggio che potrebbero creare complicazioni al ritiro.

La folla dei seguaci ha osannato i toni duri dell’intervento di Najaf mentre i portavoci del premier al Maliki ne hanno sottolineato con una certa preoccupazione gli aspetti politici. Si tratta in particolare di quando al Sadr ha detto riguardo al fatto di «sorvegliare l’impegno del governo iracheno a mantenere le promesse fatte sul ritiro americano» con una terminologia che sembra puntare a ostacolare possibili accordi fra Washington e Baghdad sulla permanenza di basi militari americane. Fra gli scenari discussi dalla Casa Bianca con il nuovo governo c’è infatti l’ipotesi di lasciare dopo fine anno dei contingenti minori per aiutare l’Iraq a «sorvegliare i propri confini».

Il governo iraniano ha già fatto conoscere la contrarietà ad un simile scenario e ora Al Sadr trasforma l’opposizione alle basi permanenti Usa in un fatto politico interno iracheno. Ma nel Parlamento di Baghdad prevale al momento la convinzione che Al Sadr stia «tentando di tornare alla ribalta» come osserva il deputato curdo Mahmud Othman: «Se dovesse tornare alla resistenza armata commetterebbe un grave errore, nuocendo anzitutto alla sua influenza sul governo».

Libero-Carlo Panella: " Il ritorno di Al Sadr, cacciamo gli americani, ma con la politica"


rogo di bandiere Usa in Iraq            Carlo Panella


Sinoa poche settimane fa, il comizio roboante tenuto ieri da Moqtada al Sadr a Najaf, dopo un assenza dall’Iraq di 7 anni, sarebbe stato foriero di una nuova tempesta. Ma non è così oggi, tant’è che la virulenza del leader dell’“Esercito del Mahdi”è stata di ben altro segno rispetto al passato. Frasi roboanti contro Usa, Israele e Gran Bretagna «comuni nemici », appelli per «una resistenza con tutti i mezzi», ma anche l’inedita precisazione che «le armi sono solo per i militari», seguita dall’ordine di non colpire i connazionali iracheni: «Respingete l'America e prendete di mira solo gli occupanti». Infine la precisazione: «Se il governo di Nouri al Maliki serve il popolo e la sua sicurezza siamo con lui; se non lo facesse ci sono vari modi per sistemare le cose, ma sono solo politici». Dunque, persino Moqtada ha scelto la strada del confronto politicoe abbandonato quella della guerra civile contro gli altri partiti iracheni. Dunque, nuovo successo - sia pur temporaneo - nel Nation Building del nuovo Iraq voluto da George W. Bush. Per anni, Moqtada al Sadr ha guidato un forte, ma minoritario, gruppo armato, ben insediato a Sadr City, l’enorme sobborgo sciita di Baghdad, teso non solo a contrastare la Coalition of Willing, quanto a sconfiggere e uccidere i leader sciiti anti khomeinisti (la stragrande maggioranza) dell’opposizione irachena a Saddam Hussein cui “l’inva - sione Usa”del 2003 aveva permesso l’ac - cesso al potere. Moqtada agiva agli ordini degli ayatollah iraniani per sconfiggere i leader sciiti iracheni che, a partire dal loro leader, l’ayatollah al Sistani, sin dal 1979 si erano opposti alla concezione teocratica dello Stato di Khomeini. Il 9 aprile 2003, scherani di Moqtada uccisero a Najaf Abdul Majd al Khoei, amico di Tony Blair, prestigioso ayatollah, che avrebbe permesso un raccordo tra anglo-americani e il “vaticano sciita di Najaf”. Nei mesi successivi Moqtada scatenò il suo Esercito del Mahdi contro il grande ayatollah Ali al Sistani, massima autorità di tutto il mondo sciita, scomunicandolo e tentando di ucciderlo. Nel giugno del 2004, Moqtada proclamò una insurrezione sciita, ma fu sconfitto dalle truppe Usa e irachene. Sino al 2007, Moqtada lanciò i suoi uomini prima contro il governo di Iyyad Allawi e poi contro quello di Nuri al Maliki, sino a quando, sconfitto sul piano militare, non si ritirò in Iran per proseguire i suoi studi (figlio di un prestigioso ayatollah khomeinista, Bagher al Sadr, non aveva ancora alcun titolo religioso). Su di lui, e sui 39 deputati che è riuscito a far eleggere il 7 marzo 2010, si è infine incentrato l’ulti - mo tentativo dell’Iran di controllare a distanza l’Iraq, facendolo alleare con l’ex acerrimo nemico, il premier Nuri al Maliki e favorendo la formazione a Baghdad di una coalizione esclusivamente sciita. Tentativo fallito, per merito della resistenza della Coalizione Iraqyia dell’ex premier Iyyad Allawi (che unisce laici, sunniti e sciiti), appoggiato dall’Arabia Saudita, che ha portato il 21 dicembre scorso alla formazione di un governo di unità nazionale con tutti i partiti iracheni, un curdo, Jalal Talabani alla presidenza della repubblica e un sunnita Ossana Nujaifi, alla presidenza del parlamento. Sconfitto sul piano militare, Moqtada non è dunque riuscito a ottenere, neanche con l’appoggio iraniano, la “golden share” del nuovo governo iracheno e a far fruttare il consenso che - per ragioni etniche e “tribali”- continua a riscuotere in un settore marginale del mondo sciita. Ma resta sempre una mina vagante sul futuro dell’Iraq.

Per inviare la propia opinione a Stampa e Libero, cliccare sulle e-mail sottostanti.

lettere@lastampa.it
lettere@libero-news.eu

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT