Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/01/2011, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L’Iran apre il suo nucleare ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Hey Obama, dov’è finita la carota?".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : "L’Iran apre il suo nucleare "

Maurizio Molinari
L’Iran invita un selezionato numero di Stati a visitare alcuni impianti nucleari ma facendo bene attenzione a escludere Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania. Il passo di Teheran è arrivato con una lettera firmata dall’alto diplomatico Ali Asghat Soltanieh, che suggerisce il fine-settimana del 15 gennaio per visitare la centrale di Bushehr, le centrifughe di Natanz e gli impianti di Arak. L’unico precedente del genere risale a tre anni fa, quando sei diplomatici di altrettanti Paesi in via di sviluppo vennero invitati nel centro di conversione dell’uranio a Isfahan. In questo caso però l’intenzione sembra quella di concedere un accesso maggiore, come dimostra il fatto che gli osservatori stranieri saranno accompagnati da Ali Salehi, ministro degli Esteri ad interim, e da Saeed Jalili, capo negoziatore sul nucleare.
L’intenzione della Repubblica Islamica sembra essere quella di raccogliere consensi in vista del prossimo incontro a Ginevra con il gruppo 5+1, composto da Usa, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna più la Germania. Per riuscirci, la strategia degli inviti ha puntato a escludere i Paesi più critici nei confronti del programma nucleare iraniano, ovvero gli Usa e i tre europei. A ricevere la lettera sono così stati i Ministeri degli Esteri della Russia e della Cina - che durante l’ultima battaglia all’Onu si impegnarono per moderare le sanzioni - assieme a Egitto, Lega Araba, Gruppo dei Non Allineati, Agenzia atomica dell’Onu, Cuba e Ungheria in qualità di presidente di turno dell’Ue.
«Questi inviti sono segno di buona volontà e una dimostrazione di maggiore trasparenza» ha spiegato da Teheran il portavoce del Ministero degli Esteri, Ramin Mehmanparast, ribadendo che le «nostre intenzioni sono pacifiche» mentre Usa ed europei sospettano si tratti di una copertura per arrivare all’atomica.
Mosca, Pechino e Budapest hanno confermato di aver ricevuto la lettera e sono ora in corso consultazioni per decidere quali saranno gli «osservatori» da inviare a Teheran. L’impressione che accomuna alcuni diplomatici al corrente del testo della lettera - redatta in quattro paragrafi - è che Teheran stia tentando di creare una cornice diplomatica alternativa al gruppo 5+1 per legittimare la continuazione delle attività di un programma nucleare del quale il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a più riprese ha chiesto la sospensione. Già in occasione delle più recenti sanzioni votate dall’Onu Teheran tentò una simile strada puntando sulla mediazione di Turchia e Brasile, ma senza risultato.
Non si può d’altra parte escludere che le scelte sul nucleare nascano da quanto sta avvenendo dentro il governo iraniano. In un documento segreto americano pubblicato da Wikileaks, e risalente alle fine del 2009, si legge che il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu spiegò all’inviato Usa Phil Gordon che Teheran avrebbe voluto «raggiungere un accordo sul nucleare» ma ciò era ostacolato dalle «forti pressioni sul presidente Ahmadinejad» esercitate da parte degli ambienti legati ai Guardiani della rivoluzione
Il FOGLIO - " Hey Obama, dov’è finita la carota?"

Mahmoud Ahmadinejad : " Che nucleare ?!"
Barack Obama : " Visto? Sedersi a parlare con questi ragazzi funziona!"
Il governo dell’Iran ha annunciato ieri i nomi dei paesi che saranno invitati a inviare i loro osservatori nelle centrali nucleari del regime islamico. Un portavoce del ministero degli Esteri ha detto che i rappresentanti dell’Unione europea, della Russia e della Cina saranno i benvenuti negli impianti che sollevano da anni i sospetti e le critiche della comunità internazionale. Secondo il New York Times, il tour comprende due tappe a Natanz e Bushehr, le grandi Disneyland del programma atomico iraniano. La lista non comprende gli Stati Uniti e non si tratta di una dimenticanza: è l’ultima sfida all’approccio scelto dal presidente americano, Barack Obama, per risolvere il dossier. Quando è salito alla Casa Bianca, Obama promise una soluzione basata sul principio del bastone e della carota: incentivi se l’Iran collabora, sanzioni se decide di proseguire con gli esperimenti clandestini. Il tempo è passato ma i progressi sono stati minimi. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, alterna le visite in medio oriente alle minacce contro Israele; i suoi ingegneri continuano ad arricchire uranio e spesso lo fanno con l’aiuto dei paesi di confine; il numero delle installazioni segrete cresce, come dicono gli esperti dell’Agenzia Onu che si occupa di energia atomica (Aiea). Secondo Wikileaks, un cablo dell’ambasciata americana a Gerusalemme rivela che l’Iran potrebbe attaccare Gerusalemme in dodici minuti. Al dipartimento di stato dichiarano che l’ultima trovata del governo di Teheran “è astuta” e che serve altro per sviare l’attenzione degli organismi di controllo. I diplomatici europei sostengono che l’offerta di Teheran sia interessante, ma aggiungono che nessuno di loro metterà piede in Iran prima del prossimo round di negoziati. Gli ultimi colloqui si sono svolti il mese scorso: per due giorni, a Ginevra, i negoziatori occidentali assieme a quelli russi e cinesi hanno cercato di stabilire una linea comune fra le proprie, rispettive posizioni e quella del regime islamico. Non possono dire di avere ottenuto grandi risultati. Ora la Turchia si candida a ospitare il prossimo incontro, che potrebbe avvenire a già metà gennaio. Le parola che Obama ha pronunciato nel 2008, il suo ricorso alla metafora naïf del bastone e della carota, sembrano oggi quantomeno avventate. Teheran ha mostrato una grande resistenza alle sanzioni e alle altre minacce che arrivano dall’esterno. Ora, i diplomatici iraniani si permettono di giocare uno scherzo ai colleghi di Washington come l’esclusione dalla visita ai loro impianti nucleari. Dopo aver rinunciato al bastone, Obama sta perdendo la carota. Non è un buon segno per la politica estera della Casa Bianca, che è sempre meno solida quando si tratta di medio oriente.
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