Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Ahmadinejad non perde l'occasione per attaccare Israele Continuano l'eliminazione delle persone 'scomode' e il programma nucleare. A che cosa sono servite le sanzioni?
Testata:Corriere della Sera - Il Foglio Autore: La redazione del Corriere della Sera - La redazione del Foglio Titolo: «Israele? Un insulto alla dignità umana - Cacciato Mottaki, i pasdaran ingoiano un altro pezzo di Iran - Il piano leninista di Ahmadinejad per cancellare la borghesia»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/12/2010, a pag. 19, la breve dal titolo " Israele? Un insulto alla dignità umana ". Dal FOGLIO, a pag. 3, gli articoli titolati " Cacciato Mottaki, i pasdaran ingoiano un altro pezzo di Iran " e " Il piano leninista di Ahmadinejad per cancellare la borghesia ".
CORRIERE della SERA - " Israele? Un insulto alla dignità umana "
Mahmoud Ahmadinejad
TEHERAN— L'esistenza di Israele è «un insulto alla dignità umana» e «il vero genocidio è quello compiuto dagli israeliani a danno dei palestinesi» . Lo ha detto il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, citato dalla televisione iraniana in inglese PressTv. «Il metodo usato nella fondazione del regime sionista (Israele, ndr) e la continuazione della sua esistenza sono un grande insulto alla dignità umana» , ha affermato il presidente iraniano. Ahmadinejad, che più volte in passato ha profetizzato l'imminente scomparsa di Israele e ha definito «una favola» l'Olocausto, ha fatto queste affermazioni incontrando ieri a Teheran i membri di un convoglio con membri di vari Paesi asiatici che intende raggiungere la Striscia di Gaza. Il programma prevede l’arrivo in Egitto, da dove il convoglio cercherà di entrare nella Striscia di Gaza, sottoposta al blocco israeliano.
IL FOGLIO - " Cacciato Mottaki, i pasdaran ingoiano un altro pezzo di Iran "
Manuchehr Mottaki
Roma. La brusca rimozione di Manuchehr Mottaki dalla poltrona di ministro degli Esteri da parte del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, è ben più che un rimpasto di governo: rappresenta la resa dei conti tra il cosiddetto partito dei Pasdaran e i conservatori pragmatici, che hanno come leader il presidente del Parlamento, Ali Larijani. Il quadro politico iraniano è profondamente mutato nel 2009, l’anno della repressione contro l’Onda verde e dell’esclusione dei riformisti guidati da Mir Hossein Moussavi. Nel momento di crisi di Ahmadinejad, il grande blocco centrista guidato da Larijani ha interrotto i rapporti con Ali Rafsanjani, sponsor dei riformisti di Moussavi, per stringere un accordo con il presidente. Quel patto ha permesso al regime di superare il momento di difficoltà. In questo tempo, Ahmadinejad ha mostrato di essere un eccellente demagogo con la sua campagna per la distruzione di Israele e la negazione dell’Olocausto, nonché un tessitore di alleanze internazionali – ha trovato amici in Venezuela, Bolivia, Brasile e Turchia, con il premier di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, che ha promesso il sostegno del proprio governo ai negoziati sul nucleare. Per sua sfortuna, Ahmadinejad non è riuscito a costruirsi una base di potere personale, se non come portavoce dell’alleanza fra il clero combattente e i pasdaran. In questo contesto si è consumato per mesi lo scontro parlamentare tra gli uomini di Ahmadinejad e l’alleanza formata dal sindaco di Teheran, Bagher Qalibaf, e Larijani – che è stato Ph.D all’Università della California, conosce cinque lingue e ha conquistato trecentomila preferenze elettorali nelle Hosém Elmié, le scuole coraniche del suo collegio di Qom. I fronti avevano due punti in comune. Il primo era la ferrea repressione dell’Onda verde: il fratello di Larijani, Sadegh, è il procuratore generale dei tribunali islamici e ha dovuto nominare un generale dei pasdaran, Baqer Zolqadr, come suo consigliere, a sigillo della subordinazione dell’ordine giudiziario alle Guardie della Rivoluzione. Il secondo consisteva nel pieno appoggio di Ali Khamenei, la Guida suprema, che è stato l’arbitro nel confronto tra le fazioni. La battaglia politica nel fronte conservatore è divenuta più volenta negli ultimi mesi per l’oltranzismo di Ahmadinejad sul programma nucleare e per il suo tentativo di rispondere alle sanzioni dell’Onu con strumenti demagogici – dall’incremento dei sussidi di povertà allo spostamento fuori Teheran di ben tre milioni di abitanti su nove. Larijani e Mottaki, espressione del blocco sociale del bazar, sono fautori di una politica più cauta sul nucleare, vorrebbero ridurre il peso delle sanzioni internazionali e chiedono una politica economica di rigore e non populista (sono contrari ai sussidi). La loro debolezza è tutta nella fragilità dei referenti politici: il bazar, una base finanziaria che è strutturalmente debole – i capitali della Borsa di Teheran sono passati a Dubai – e un corpo di dirigenti dell’apparato di regime che non riesce a contenere l’infiltrazione degli uomini dei pasdaran. Il licenziamento di Mottaki segna un balzo in avanti nella militarizzazione del regime voluta dai pasdaran, che hanno in mano le più importanti risorse economiche dell’Iran – le telecomunicazioni, l’industria nucleare, quella missilistica e buona parte del sistema bancario – e godono della definitiva emarginazione dei “turbanti” dalla vita politica. Al contrario di quanto si dice, fu Khomeini il primo a emarginare i grandi ayatollah dal potere (anche arrestandoli, come fece con Shariat Madari e Ali Montazeri) e a epurare il clero (tremila fra ayatollah e mullah imprigionati dopo il 1979). Oggi, se si escludono i “grandi vecchi”, il gioco è tutto nelle mani degli islamisti convinti che non fanno parte del clero e sono sempre più egemonizzati dalle Guardie della Rivoluzione.
IL FOGLIO - " Il piano leninista di Ahmadinejad per cancellare la borghesia "
Mahmoud Ahmadinejad
Roma. Che il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinajd, avesse poca simpatia per la classe media era un fatto conosciuto. Medici, scrittori e commercianti sono scesi per le strade di Teheran un anno fa e hanno protestato a lungo contro le misure economiche intraprese dal loro leader. Ora il governo ha trovato il sistema per evitare che accada di nuovo: il piano economico del ministero delle Finanze prevede tagli ai sussidi e aumenti consistenti sul prezzo di beni di prima necessità. Di questo passo, dicono gli analisti, nei centri commerciali dell’Iran non ci saranno più clienti e i primi a pagare le conseguenze della manovra saranno proprio gli elettori che appartengono al ceto medio, quelli più lontani dal populista Ahmadinejad. “Per il regime noi rappresentiamo tutto quello che è andato storto dopo la Rivoluzione del 1979 – ha detto Mehdi, un commerciante di metalli, in una intervista con i reporter iraniani del Washington Post – Io sono orgoglioso della Rivoluzione, ma non mi piace quello che sta accadendo adesso. La classe media è riuscita ad adattarsi ai tempi che corrono, sarebbe il caso che i nostri politici facessero lo stesso”. Il programma economico del governo dice che il costo del carburante è destinato ad aumentare assieme a quello di elettricità, pane e manufatti. Chi vive nelle zone rurali riceverà un sussidio dallo stato, chi è in città dovrà cavarsela senza aiuti. Il piano doveva entrare in vigore il mese scorso, ma è stato rinviato a dicembre. Il governo tiene segreta la data in cui saranno distribuiti i primi sussidi: l’obiettivo è evitare nuove proteste e rivolte nei centri urbani. Gli uomini di Ahmadinejad spiegano che la colpa è delle sanzioni decise dall’occidente contro il programma atomico dell’Iran. Molti, tuttavia, sono convinti che il presidente abbia un approccio elettorale alla finanza pubblica: il conto degli esperimenti nucleari eseguiti dal regime negli ultimi anni sarà pagato in via quasi esclusiva dalla classe media di Teheran, che potrebbe anche scomparire dopo la cura Ahmadinejad. E’ un’operazione degna di uno specialista del socialismo reale. Per il presidente questo è il modo migliore di redistribuire la ricchezza nel paese. Secondo i suoi calcoli, una volta che il programma sarà entrato a regime, sessanta milioni di iraniani che appartengono alle fasce di reddito più basse riceveranno quaranta dollari al mese nei loro conti bancari: in questo modo potranno fare fronte all’aumento dei prezzi delle merci di prima necessità. Quello che il governo non dice è che cosa accadrà ai 15 milioni di cittadini, concentrati nei grandi centri dell’Iran, in grado di costruire una piccola ricchezza con le attività economiche indipendenti. La storia di questa categoria è sempre meno simile a quella del resto del paese. Dopo la Rivoluzione, le città dell’Iran sono cresciute molto più rapidamente rispetto alle zone rurali. I venditori di tappeti, i dentisti e i proprietari terrieri che si sono trasferiti a Teheran negli anni Ottanta oggi possiedono auto europee, passano le ferie sulle spiagge di Dubai, divorziano e mandano i figli a studiare nelle università più prestigiose. Il loro stile di vita non è certo quello che i conservatori avrebbero immaginato per il futuro della Repubblica islamica. I due blocchi si sono scontrati in modo palese nel 2009, quando alcuni membri della classe media di Teheran hanno guidato le proteste anti regime scoppiate dopo le elezioni presidenziali. Le forze di sicurezza non hanno mostrato grande riguardo nei loro confronti per le strade della capitale, e lo stesso sta facendo ora Ahmadinejad, usando strumenti completamente diversi.
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti