Sefardita Eliette Abecassis
Traduzione di Ester Borgese
Tropea Euro 18,00
Il viaggio di una donna verso l’altare, e quello di un popolo disseminato ai quattro angoli del mondo. I preparativi del matrimonio di una giovane ragazza francese dei nostri giorni, diventano una macchina del tempo per ripercorrere la diaspora dei sefarditi, gli ebrei fuggiti dalla Spagna durante la Riconquista cristiana alla fine del Quattrocento. “E’ la sintesi di tutti i miei romanzi, il risultato di dieci anni di ricerche e studio” racconta Eliette Abecassis, quarantuno anni e una quindicina di titoli, tra cui il fortunato Qumran. Anche in Sefardita, la cultura del mondo ebraico è lo sfondo per indagare le relazioni familiari, la trasmissione generazionale, il peso della tradizione. Esther si prepara alle nozze in Israele. Ma prima di cominciare la sua nuova vita sente il bisogno di scoprire le sue vere radici, alla ricerca della chiave del misterioso dono che il padre farà al promesso sposo.
Ci sono molte analogie tra lei e il personaggio di Esther?
“Come me, è un’ebrea sefardita, nata a Strasburgo, figlia di immigrati marocchini. Quando i miei genitori sono arrivati in Alsazia volevano integrarsi ad ogni costo. Per un lungo periodo, hanno cercato più di tramandarci l’amore della Francia che non quello per la nostra cultura. Credo che accada in molte famiglie di immigrati. A un certo punto, però, ho scoperto che queste origini erano più importanti di quello che pensavo. Riempivano certi silenzi nella nostra famiglia. E ho avuto voglia di indagare.
Una saga familiare, ma anche un romanzo storico sull’epopea del popolo sefardita.
“Sono riuscita a scrivere questo libro dopo una lunga maturazione. Ho viaggiato molto, facendo diverse interviste e documentando la vita di sefarditi in Marocco, Italia, Spagna, Israele e Canada. Nel frattempo mi sono sposata, sono diventata madre. Il libro è un racconto corale di tutte queste storie che ho raccolto, anche se c’è ovviamente una parte autobiografica”.
Il punto di svolta è la voglia di Esther di affrancarsi dal peso delle tradizioni?
“Per lei è insopportabile l’idea della donna sottomessa, ancora chiusa in un ruolo che risale a secoli fa. Guarda con orrore le sue nonne o zie, che hanno passato la vita rinchiuse in una cucina. Nel romanzo ci sono molte scene intorno ai fornelli, perché fa parte della nostra cultura. Esther pensa che per essere veramente felice debba liberarsi da quest’asfissiante tradizione. Ma il passato torna nella sua vita. Il libro è un percorso iniziatico. Alla fine, Esther capirà che può convivere con quest’antica cultura, e che ne ha anzi bisogno perché fa già parte di lei”.
Dal suo primo romanzo Qumran, il mondo ebraico continua a essere per lei una fonte di ispirazione?
“E’ vero che dal punto di vista letterario lo considero un universo a parte, la mia risorsa: anche quando parlo di maternità o di paternità c’è sotto traccia il concetto della trasmissione, fondamentale nella nostra cultura. Ma ci sono molte donne non sefardite che si sono riconosciute nel personaggio di Esther. Il suo è un caso paradigmatico, rappresenta il conflitto che provano molte donne delle seconde generazioni di immigrati, immagino anche in Italia”.
Qual è l’identità sefardita?
“Volevo combattere una certa caricatura che esiste in Francia. Spesso i sefarditi vengono associati ai commercianti di vestiti, sono visti come attaccati ai soldi e al cibo. Ma gli ebrei fuggiti dalla Spagna alla fine del Quattrocento hanno portato ovunque una loro cultura molto ricca, fatta di antiche tradizioni e riti. Purtroppo, la nostra è una memoria orale che si sta lentamente perdendo. L’ultima generazione di ebrei del Marocco sta scomparendo. Ho immaginato questo romanzo come un prezioso scrigno delle loro storie”.
Esther diventa più forte nel momento in cui riscopre le proprie origini?
“E’ molto importante sapere da dove si viene, per capire dove si sta andando. Credo che il fanatismo religioso sia la forma sbagliata di una ricerca di identità, ed è questo che arricchisce la nostra epoca”.
Anche in questo libro si ritrova il suo interesse per la mistica.
“Ho studiato con mio padre, Armand, che è un maestro dell’ebraismo. Sono cresciuta in un ambiente molto praticante. I sefarditi hanno scritto la Cabala che ha dato un contributo fondamentale all’ebraismo. Ancora oggi è un pensiero che segna le nostre vite come una forma di superstizione”.
Sefardita parla di un matrimonio. Il suo nuovo libro, Une affaire coniugale appena uscito in Francia, affronta invece il tema del divorzio.
“L’evoluzione delle libertà femminili si ritrova in gran parte dei miei romanzi. Siamo in una fase complessa, nella quale la liberazione delle donne è scritta sulla carta ma non è reale. E’ così anche quando una coppia si separa. Il matrimonio, la maternità, il divorzio sono tappe della vita nelle quali la donna si costruisce, ma ogni volta è ancora sola, troppo sola”.
Anais Ginori
R2 Cult – La Repubblica