Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/12/2010, a pag. 15, l'articolo di Stefano Montefiori dal titolo " Gioia, pianto, delusione. La lunga notte di Lévy e degli 'amici' francesi ", con le dichiarazioni di Bernard-Henri Lévy. Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " 'Sakineh liberata'. Ultimo giallo in Iran ".

Sakineh, ancora in prigione
Apprendiamo dai siti internet dei quotidiani che le voci sulla scarcerazione di Sakineh e suo figlio erano false.
Chissà che cosa ne pensa Emma Bonino, intervistata da Stampa e Unità e ottimista sull'efficacia delle proteste occidentali in entrambe le interviste di questa smentita.
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori : " Gioia, pianto, delusione. La lunga notte di Lévy e degli 'amici' francesi "

Bernard-Henri Lévy
PARIGI — «È una cosa da piangere». La notizia della liberazione di Sakineh, Bernard-Henri Lévy se l’era immaginata in un altro modo. Senza dubbi, senza il sospetto di una manovra. In questi lunghi mesi di mobilitazione in favore della donna iraniana, l’intellettuale francese con la sua rivista online LaRègleduJeu.org ha raccolto oltre 160 mila firme e sollecitato l’intervento dei governi occidentali, in primo luogo quello francese. «Per me è diventata un’ossessione — confidava ancora qualche giorno fa —, non riesco a non pensare ogni giorno a quella donna e a suo figlio».
Ieri sera, quando si è diffusa la voce della fine dell’incubo, la voglia di crederci non ha prevalso sulla cautela. «Abbiamo meso in allerta tutti i nostri amici iraniani, consultato le fonti affidabili alle quali abbiamo accesso in Iran e fuori — spiega Lévy —, e non siamo riusciti a trovare una reale conferma». Anche il Quai d’Orsay, il ministero degli Esteri francese con il quale Lévy ha lavorato in questi mesi, ha emanato una nota ispirata alla prudenza: «Cerchiamo di verificare la notizia ma per il momento non ci sono conferme». E anche il ministero degli Esteri tedesco, che segue da vicino i fatti anche perché due giornalisti tedeschi sono stati arrestati mentre stavano intervistando il figlio di Sakineh, non ha potuto fornire prove dell’avvenuta liberazione.
È lo stesso Lévy a raccontare su LaRègleduJeu.org come è stata accolta la notizia in redazione: «All’inizio abbiamo gridato la nostra gioia. Abbiamo pianto di emozione. Abbiamo scritto comunicati febbrili, euforici, vittoriosi. Ma perdonateci, amici lettori, voi che avete accompagnato questa mobilitazione di lunga durata, voi che ci state scrivendo messaggi di felicitazioni, di gioia condivisa, di vittoria. Perdonatemi se vi sembro troppo prudente, o esageratamente pessimista, o guastafeste. Non ci sono conferme».
Le nuove foto di Sakineh appaiono molto diverse dall’immagine della donna usata in questi mesi di campagna planetaria per la sua liberazione, e c’è qualche discordanza anche sulla data in cui sono state scattate (tra il 4 e il 6 dicembre secondo alcuni, ieri secondo altri). Prima che anche lui venisse arrestato, il figlio Sajjad ha tenuto un filo diretto con la rivista di Lévy grazie al giovane esule iraniano Armin Arefi, che ha più volte fatto da interprete. Ieri sera non è stato possibile ristabilire questo contatto.
«Tutto è possibile, naturalmente — scrive Lévy —. Che Sakineh sia, in effetti, libera, ma anche che gli iraniani, come hanno già fatto spesso in passato, stiano giocando con i nostri nervi, con quelli dell’opinione pubblica mondiale, con quelli di Sakineh stessa e di quel che resta della sua famiglia. Sono triste di doverlo dire così ma bisogna attendere ancora; serve qualche ora prima di dire se siamo in presenza dell’evento magnifico che speriamo con tutte le nostre forze, o invece di una montatura gigantesca e abietta».
La trasmissione della televisione iraniana che, con grande enfasi, avrebbe dovuto mostrare le prove dell’avvenuta liberazione di Sakineh, si conclude invece promettendo «la verità» per «domani, venerdì (oggi, ndr) ore 20.30». A parere di Bernard-Henri Lévy, «questo non fa che rafforzare l’ipotesi della manipolazione e della montatura».
La STAMPA - Francesca Paci : " 'Sakineh liberata'. Ultimo giallo in Iran "
«Sakineh è libera». Alle 20 la notizia rimbalza dai siti internet alle redazioni di mezzo mondo che da giugno promuovono la campagna per la salvezza di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per adulterio e per il coinvolgimento nell’assassinio del marito.
La legge degli ayatollah aveva sentenziato che venisse uccisa a colpi di pietre. Ma secondo il «Comitato internazionale contro la lapidazione» la sentenza, rinviata da settimane, sarebbe stata annullata e la donna avrebbe già lasciato il braccio della morte della prigione di Tabriz, dov’è rinchiusa dal 2006, insieme al figlio Sajjad Qaderzadeh e all'avvocato Javid Hutan Kian.
Il condizionale è d’obbligo. Le diplomazie occidentali si rallegrano per l’effetto delle pressioni ma capire cosa stia davvero accadendo a Teheran è a dir poco complicato. Per mesi i media internazionali hanno rilanciato la foto di Sakineh ed è ancora un’immagine virtuale a far sperare nel lieto fine.
Nelle istantane pubblicate sulla homepage del Comitato ma soprattutto nella sequenza trasmessa dalla tv iraniana Press TV la donna piange, cammina, sembra riflettere davanti a un albero in procinto di perdere tutte le foglie, ma appare diversa da quella che conoscevamo. Invecchiata, certamente. Quattro anni di carcere duro non sono certo elisir d’eterna giovinezza e Sakineh ne ha compiuti 43. Eppure molti, in Iran e all’estero, sospettano che quella nelle immagini risalenti, pare, al 6 dicembre, non sia la stessa persona. Così come lascia piuttosto perplessi l’espressione di Sajjad, quasi spaventato mentre posa accanto alla madre, senza un sorriso.
I telefoni delle cancellerie occidentali sono roventi. Si cercano certezze e ci si congratula con cautela. «La liberazione di Sakineh è un’ottima notizia, la dimostrazione che accendere i riflettori sul rispetto dei diritti umani è utile, oltre che giusto» commentano d’intesa il ministro per le Pari Opportunità, Mara Carfagna e il collega degli Esteri Franco Frattini ricordando l’impegno dell’Italia nella campagna per la vita di Sakineh.
L’avvocato storico della donna però, quel Mohammad Mostafaei costretto dalle minacce a rifugiarsi in Norvegia, aspetta a stappare champagne. «Non mi sento di confermare nulla» confessa. Nei mesi scorsi notizie e smentite si sono moltiplicate in un gioco indecifrabile di specchi in cui l’ammissione di colpa di Sakineh si sovrapponeva alla sua innocenza e viceversa.
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