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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.11.2010 Referendum = democrazia
Ma per Francesco Battistini è solo un sistema per affossare i negoziati

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 novembre 2010
Pagina: 48
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Se il futuro del Medio Oriente sarà deciso dai referendum»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/11/2010, a pag. 48, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Se il futuro del Medio Oriente sarà deciso dai referendum ".


Bibi Netanyahu

Francesco Battistini non approva la legge sul referendum appena approvata in Israele. Sostiene che sarà un ulteriore elemento di affossamento di qualunque futuro negoziato.
Ma il referendum è lo strumento della democrazia. Offrire la possibilità alla popolazione di esprimere una decisione che riguarda Israele  non significa bloccare i negoziati, ma applicare la democrazia in tutti i suoi punti. La forza del referendum non va sottovalutata, è grazie ad esso se, per fare qualche esempio, l'Italia è diventata una repubblica, se ci sono leggi che garantiscono l'aborto e il divorzio. Non è detto che la popolazione opti sempre per la soluzione migliore, ma questo non significa che la sua opinione non vada presa in considerazione, specialmente su questioni di vitale importanza, come la sicurezza dello Stato e la possibilità di cedere parte di territori.
In passato le decisioni sono sempre state prese dai governi.
Eppure i negoziati non si sono mai conclusi.
Forse la via del referendum porterà a una soluzione più rapida e definitiva.

Vox populi, vox Dei? Nella Città delle tre religioni serpeggia qualche dubbio. Il voto di lunedì sera al parlamento israeliano complica il futuro, complicatissimo, dei negoziati su Gerusalemme. Non a breve, perché non ci sono accordi in vista, ma a lungo termine: stando alla legge approvata lunedì, qualunque intesa d’un governo israeliano dovrà passare, per la prima volta, il doppio filtro d’una ratifica qualificata (due terzi) della stessa Knesset e pure d’un referendum popolare. Per intenderci: non basterà più una stretta di mano a Camp David, per dire che pace è fatta, e quest’obbligo della consultazione popolare varrà sia per Gerusalemme Est che per il Golan, conquistati a Giordania e a Siria nel ’67 e mai più restituiti.

Religiosi e nazionalisti esultano: c’è di meglio che rimettersi all’arbitro sovrano, il Popolo d’Israele, per deciderne il futuro? Anche il premier Netanyahu è soddisfatto: la sua politica del no agli americani ne esce blindata e, d’ora in poi, sarà facile trovare alibi nel promettere a Washington ciò che non si può mantenere a Gerusalemme. Dice tutto l’imbarazzo dell’amministrazione Obama, che nella lunga partita negoziale con Israele sta perdendo i set decisivi. La rabbia di palestinesi e siriani è ovvia, quasi quanto il calabraghismo della sinistra laburista che lunedì non ha preso posizione, pur di non perdere qualche poltrona. Meno scontato il voto contrario dell’opposizione Kadima di Tzipi Livni, che nell’era della politica inginocchiata al Dio Sondaggio si chiede se c’era bisogno di quest’altra resa alla pancia del Paese. Già: che fine hanno fatto i leader? Da Rabin a Sharon, la storia israeliana è ricca d’attacchi per decisioni prese in solitudine e con la semplice forza del mandato politico, non nascosti nel gregge del consenso popolare a ogni costo. In questo, Netanyahu è al sicuro: non dovrà mai pentirsi di scelte non sue. Ma il Medio Oriente non è la Svizzera referendaria, scriveva ieri un giornale israeliano. E non è con una crocetta che se ne fissano i confini.

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