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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero-IlSole24Ore Rassegna Stampa
21.11.2010 Nato: un regalo ai Talebani
E' l'opinione di Carlo Panella, ma per Ahmed Rashid ci vuole il dialogo

Testata:Libero-IlSole24Ore
Autore: Carlo Panella-Ahmed Rashid
Titolo: «Un regalo ai Talebani-L'azzardo di karzai, scaricare Obama per Iran e Pakinstan»

Sul vertice Nato di Lisbona, due commenti. Il primo di Carlo Panella su LIBERO di oggi, 21/11/2010 a pag.20, dal titolo, molto chiaro, " Un regalo ai Talebani ". Perchè questo è il risultato più evidente.Il secondo, di Ahmed Rashid, un commentatore, ambiguamente bipartisan (come se in una guerra contro il terrorismo lo si potesse essere) che spiega perchè è giusto arrivare ad un accordo con i Talebani. Sul SOLE24ORE, a pag. 13, con il titolo " L'azzardo di karzai, scaricare Obama per Iran e Pakinstan ".

Libero- Carlo Panella: " Un regalo ai Talebani "


Carlo Panella

Ha un qualche senso la scelta di annunciare se non una “ritirata strategica” quantomeno un radicale disimpegno - una exit strategy come si dice oggi - nel momento in cui non si sta affatto vincendo una guerra, anzi, si stenta a portarla avanti? No, non ha nessun senso. È una follia totale. Pure, questo ha deciso ieri a Lisbona il vertice della Nato che inizierà nel 2011 a diminuire i propri soldati in Afganistan, per arrivare a un disimpegno totale nel 2014. Il segretario Nato, Fogh Rasmussen ha però chiarito che truppe internazionali rimarranno anche dopo il 2014, però non con una missione di combattimento, bensì di appoggio, che comprenderà la formazione delle forze di sicurezza afghane. Barack Obama inoltre ha indicato che gli Usa e la Nato «non abbandoneranno gli afghani a loro stessi» dopo il 2014. Una strategia dunque formalmente giustificata da una balla colossale: l’assicurazione di Hamid Karzai che per quella data l’esercito afgano sarà in grado di fare fronte e sconfiggere i Talebani, col supporto delle poche migliaia di “consiglieri militari” della Nato che resteranno a Kabul. Karzai, si sa, è tanto elegante quanto inattendibile, corrotto e incapace (ha appena ammesso bello bello di avere intascato qualche centinaio di migliaia di euro “rega - latigli” dagli iraniani), e questa sua affermazione è poco meno che risibile. Da oggi, i Talebani sono dunque avvisati: basterà loro riuscire a resistere alla bene meglio ancora per tre anni (ma hanno già dimostrato di saper resistere per ben 9 anni) e alla fine potranno trionfare per “abbandono” del nemico. Con questa sua decisione, la Nato ha dunque segnato la sua fine politica, e l’occidente ha messo le premesse per rendere permanente e cronica - e forse anche perdente - la sua guerra al terrorismo. Se infatti i Talebani riusciranno a resistere alla guerra iniziata nel 2001 da tutto l’Occiden - te, dopo che i loro padri avevano sconfitto nel 1989 i sovietici, dopo 9 anni di guerra, è evidente che la credibilità, la forza e la capacità d’attra - zione del movimento terrorista si moltiplicheranno con progressione geometrica su scala mondiale. Il dramma è che questo, esattamente questo è quanto sostengono i generali americani, a iniziare da David Petraeus (comandante in capo in Afganistan), durante burrascose riunioni alla Casa Bianca con Barack Obama. Ma hanno perso: il presidente americano non sa fare la guerra e non sa fare la pace, ma sa fare politica (nel senso dell’intrigo di palazzo) e con questa decisione ha semplicemente salvato capra e cavoli: il 2014 è ben oltre la fine del suo primo mandato e quindi il rispetto o meno di questa scadenza sarà sulle spalle o del proprio successore, o di lui stesso, forte però di una recente riconferma e quindi in grado di prendere decisioni impopolari, come quella di restare i Afganistan (anche perché non rieleggibile). Il punto vero, infatti, è proprio questo: la riluttanza di Obama nel affrontare questa guerra e la sua palese inadeguatezza al riguardo, non sono solo una caratteristica negativa del presidente degli Stati Uniti. La verità è che le opulente democrazie basate sul consenso e su consumi ormai parossistici, mal sopportano il peso di una guerra, per sacrosanta che sia. Lo vediamo bene in Italia, dove il fronte dei critici e di chi chiede una exit strategy non vede più solo gli estremisti della sinistra radicale, ma si è allargato al grande corpaccione della Lega, ormai unico grande partito nazional-popolare del Paese (e così è anche in Olanda, Austria e altrove).

 IlSole24Ore- Ahmed Rashid: " L'azzardo di karzai, scaricare Obama per Iran e Pakinstan "


Ahmed Rashid

I leader della Nato riuniti a Lisbona per definire una via di uscita dall'Afghanistan entro il 2014, erano chiamati a prendere anche una decisione molto più urgente: come rinsaldare la collaborazione con il presidente afghano Hamid Karzai.
Da un animato confronto con Karzai durato due ore, nel palazzo presidenziale di Kabul, emerge chiaramente che il suo modo di vedere gli eventi globali, l'intervento Usa in Afghanistan, il futuro politico del suo Paese, il ruolo e l'atteggiamento della Nato, ha subìto un profondo cambiamento. La sua nuova visione del mondo riflette la svolta politica più radicale che gli abbia visto compiere da quando ci siamo conosciuti 26 anni fa.
Karzai è fortemente critico nei confronti dell'Occidente e soprattutto degli Stati Uniti, incapaci a suo avviso di portare la pace in Afghanistan e di assicurarsi l'appoggio del Pakistan, che continua a dare asilo ai talebani. Gli Stati Uniti accusano erroneamente gli afghani dei propri fallimenti passati e presenti, afferma Karzai rinviando al mittente le critiche americane al suo governo.Non condivide più la guerra al terrorismo secondo la definizione di Washington, e giudica controproducente l'incremento delle forze militari Nato nel sud del Paese, che si basa sulla conta dei talebani morti, ma trasforma le città in fortezze e aliena sempre più le simpatie della gente comune.
Avanzando un'ipotesi che genera allarme e malumore fra gli occidentali, Karzai sostiene che esista un'alternativa politica alla Nato: fare più affidamento sui Paesi della regione, soprattutto Iran e Pakistan, per arrivare alla cessazione delle ostilità e trovare un accordo con i talebani. Eppure, negli ultimi sei mesi, nessuno dei due vicini ha fatto nulla di concreto per agevolare la pace fra Karzai e i talebani. A Kabul, rappresentanti occidentali e afghani concordano nel dire che l'Iran negli ultimi mesi ha rafforzato il sostegno ai talebani nell'Afghanistan occidentale, forse per accumulare un credito da riscuotere nelle future trattative per un accordo di pace. Il Pakistan, che ospita l'apparato dirigente talebano, aspira a un ruolo centrale in qualsiasi negoziato fra la Nato o Karzai e i talebani. L'unica concessione fatta in estate dall'Isi (i servizi segreti pakistani) è stata esercitare pressione sulla rete di Jalaluddin Haqqani affinché non inviasse attentatori suicidi a Kabul, una promessa sostanzialmente mantenuta. Tuttavia, l'Isi ha rifiutato di liberare i leader talebani arrestati a febbraio per aver condotto trattative segrete con il presidente afghano. Secondo Karzai, l'incapacità statunitense di controllare l'Isi non gli lascia altra scelta che rafforzare i rapporti con il Pakistan, per raggiungere la pace con i talebani.
Durante la conversazione mi ha sfidato a ricordare se, nel corso della nostra lunga conoscenza, si sia mai dimostrato antioccidentale. In effetti, durante l'esilio in Pakistan e nei primi anni da presidente, è stato un convinto ammiratore dell'Occidente. Questa inversione di rotta, sebbene in parte alimentata dalla paranoia dei suoi consiglieri, si basa anche su quasi un decennio di rapporti frustranti con gli occidentali.
Non sorprende che gli afghani siano confusi. Per Karzai è obiettivamente difficile spacciare alla propria gente i tentennamenti occidentali come una politica coerente. Non c'è ancora un'autorità civile centrale statunitense o della Nato in grado di mettere in atto le decisioni sulla politica afghana e lanciare un messaggio chiaro a Karzai, anche se il generale Petraeus svolge questo ruolo per l'esercito.
Indebolito nel suo ruolo, con l'escalation della guerra in tutto il Paese e le forze occidentali che vogliono andarsene, Karzai è determinato a mantenere l'apparenza di potere presidenziale e a riaffermare la sovranità dell'Afghanistan. È esattamente ciò che fece il presidente comunista Mohammed Najibullah quando i sovietici cominciarono a ritirarsi dall'Afghanistan nel 1989: creò un nuovo partito nazionalista con un'ampia base e definì un programma patriottico per l'esercito allenato alla guerra e il suo manipolo di fedeli ufficiali che avevano sconfitto gli allora mujahedin in numerose battaglie.
Forse Karzai vuole seguire le orme di Najibullah, ma non dispone degli stessi mezzi, e la mancata creazione di istituzioni statali è imputabile a lui, non agli americani. La riaffermazione della sovranità afghana può essere raggiunta solo ponendo fine alla guerra con i talebani, ma il presidente afghano confonde il suo popolo agendo sia come capo di governo sia come uomo unico di opposizione, spesso pronto a deplorare le uccisioni di talebani, più che quelle dei propri soldati.
Ma allora qual è la via di uscita da questo circolo vizioso? Karzai sbaglia se crede di poter contare solo sui Paesi della regione per superare le difficoltà attuali. Gli stessi Iran e Pakistan sono alle prese con situazioni di instabilità politica, violenza terroristica e un forte sentimento antioccidentale diffuso nelle forze armate. Possono offrire un collegamento con i talebani, ma di certo non una "road map" per la pace.
Bisogna dire che i ministri del governo afghano nella maggior parte dei casi non condividono la visione del mondo di Karzai e continuano a collaborare fattivamente con la Nato. Questo scollamento fra presidente e governo non può durare a lungo. Tuttavia, le voci di corruzione che aleggiano intorno alla famiglia Karzai e ad alcuni ministri creano non pochi ostacoli al coordinamento fra loro e, ancora di più, alla riconciliazione con gli Stati Uniti.
Il compito più importante della Nato è riesaminare quanto fatto in Afghanistan negli ultimi nove anni e smetterla di incolpare soltanto Karzai e gli afghani per il peggioramento della situazione. Le politiche degli Stati Uniti e della Nato devono essere più chiare, e i messaggi contraddittori devono finire. Se Karzai e la maggior parte degli afghani vogliono davvero parlare di pace con i talebani, l'impegno della Nato deve concentrarsi su questo.
Karzai non romperà con la Nato, ma un presidente non collaborativo, e non più semplicemente scontento, potrebbe offrire ai talebani proprio quella sponda che non riescono a ottenere sul campo di battaglia. Purtroppo le probabilità che il vertice di Lisbona, dove Karzai ha parlato, delinei un nuovo corso per affrontare una situazione sempre più complessa, sono tristemente scarse.
(Traduzione di Francesca Marchei)

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