La politica di Obama sotto analisi: Sul FOGLIO di oggi, 19/11/2010, a pag.1, il problema dei processi ai terroristi di Guantanamo, sul SOLE24ORE, l'analisi di Christian Rocca sulla carriera in precipitosa discesa del presidente americano.
Il Foglio: " Per un pelo la corte civile di NY non assolve lo stragista di al Qaida"
Il colpo alla linea Obama.


A K Ghailani
Washington. Ahmed Khalfan Ghailani, il primo detenuto di Guantanamo processato da una corte civile degli Stati Uniti, è stato riconosciuto imputabile soltanto di uno dei 285 capi d’accusa mossi per gli attentati del 1998 alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Non dovrà rispondere davanti al giudice né di omicidio né di strage, soltanto “complotto” finalizzato a danneggiare edifici governativi. La mattina di quel 7 agosto due esplosioni simultanee a Nairobi e Dar es Salaam hanno ucciso 297 persone, fra cui 12 americani, e ne hanno ferite circa quattromila. E’ stata la prima volta in cui l’opinione pubblica ha sentito i nomi di Osama bin Laden e del dottor Ayman al Zawahiri. Dopo l’11 settembre 2001 Ghailani è finito nella lista dei terroristi e le forze speciali americane lo hanno stanato in Pakistan tre anni dopo; è stato trasferito in un “black site”, una prigione segreta della Cia, rinchiuso nel carcere di Guantanamo e infine condotto a Manhattan per essere processato da una corte civile, secondo il volere dell’Amministrazione Obama. Mercoledì sera il giudice di New York Lewis Kaplan ha accolto la decisione della giuria popolare (formata da sei uomini e sei donne) e ha stabilito che Ghailani non possa essere imputato per le accuse più gravi, quelle che lo inchioderebbero a un ruolo da protagonista negli attentati, ma soltanto per un’accusa minore (benché la pena per questa preveda un minimo obbligatorio di vent’anni di prigione). Il dipartimento di Giustizia di Obama si è ritrovato in un cortocircuito: da una parte, è stato proprio il presidente, nella sua campagna per la chiusura di Guantanamo, a insistere perché il processo di Ghailani fosse celebrato in sede civile e, con una certa enfasi simbolica, proprio a Manhattan; dall’altra, il procedimento doveva essere la dimostrazione che i terroristi possono essere condannati anche senza ricorrere a corti militari e tribunali speciali, retaggio pestilenziale dell’era Bush. La sentenza del giudice Kaplan è un colpo di frusta sulle ambizioni normalizzatrici di Obama e gli stessi dettagli del procedimento rivelano le sue difficoltà nella gestione dei processi ai terroristi. Il dipartimento di Giustizia puntava tutto su un supertestimone, Hussein Abebe, che era pronto a dire davanti al giudice che aveva venduto a Ghailani la dinamite per l’attentato, la prova schiacciante. Kaplan però ha escluso Abebe dalla lista dei testimoni, perché il governo ha scoperto della sua esistenza proprio da una confessione di Ghailani ottenuta durante la sua permanenza in una località segreta controllata dalla Cia. Il suo avvocato dice che lì è stato torturato e che in seguito gli agenti hanno estorto ad Abebe una confessione troppo poco credibile per essere ammessa fra le testimonianze: conseguenza prevedibile quando si mischiano il campo militare e le leggi speciali della guerra con il garantismo di un processo civile. Non è un processo modello Il 25 gennaio Ghailani arriverà al giudizio monocratico dopo che la giuria popolare ha stabilito i capi d’accusa non senza un dettaglio inquietante: uno dei sei giurati donna ha ricevuto minacce dagli altri colleghi, perché nei dialoghi la sua opinione non rispecchiava la linea innocentista prevalente. Se il mondo liberal esulta per questo processo, che dovrebbe fare da modello ad altri simili per i detenuti di Guantanamo, il dipartimento di Giustizia ha dichiarato freddamente che l’Amministrazione “gradisce” il verdetto e del modo in cui è stato condotto il processo. Duro invece il fronte che sostiene la necessità che in tempi di guerra agiscano i tribunali di guerra. L’associazione Keep America Safe di Liz Cheney parla di “conseguenze pericolose” per la lotta al terrorismo e la sicurezza nazionale. C’è anche una terza scuola di pensiero, che bada solo al singolo risultato: “Gli daranno almeno vent’anni – dice al Foglio l’analista di Wired Spencer Ackerman – e forse si beccherà l’ergastolo, mi pare un risultato sufficiente anche dal punto di vista della sicurezza. Non so se potrà fare da modello ad altri processi, ma non capisco perché si interpreti il verdetto come una sconfitta per Obama”. Questo è uno degli argomenti usati dal dipartimento di Giustizia, ma, come sottolinea Ackerman, non può fare da modello generale per il trattamento dei terroristi rinchiusi a Guantanamo. Che la sovrapposizione dei piani civile e militare sia un gioco pericoloso lo si capisce quando il giudice Kaplan dice che con il suo status di prigioniero di guerra Ghailani potrebbe comunque essere detenuto “fino al cessare delle ostilità fra Stati Uniti e al Qaida e i talebani”. Come succederà alla mente dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed.
IlSole24Ore- Christian Rocca: " Obama e un'agensda di spine "

Sei mesi fa, all'ultimo vertice tra Stati Uniti e Unione Europea di Madrid, Barack Obama non si presentò. L'Europa si sentì snobbata dal giovane presidente e iniziò a sospettare che Obama non fosse quel gran ricucitore dei rapporti transatlantici che il mondo attendeva dopo gli otto tormentati anni di George W. Bush. Sabato, a Lisbona, Obama invece ci sarà e, per usare la celebre definizione di Bob Kagan, continuerà suo malgrado a rappresentare quella parte di mondo che proviene da Marte in un contesto europeo più decisamente ancorato a Venere. L'impegno a ridurre le testate nucleari (trattato Start con la Russia), nonostante le scaramucce dei repubblicani al Senato, non si discosta dalle analoghe e più consistenti riduzioni post Guerra Fredda avviate da Bush senior e continuate da Bush jr.
Le sfide internazionali di Obama sono altre, a cominciare dalla questione israelo-palestinese. I dossier che dall'11 settembre in poi hanno lacerato le relazioni con la vecchia e la nuova Europa sono ancora sul tavolo: gli interventi militari in Medio Oriente, la guerra antiterrorismo, Guantanamo, i sequestri clandestini della Cia, la corte penale Onu.
La data del ritiro dall'Afghanistan non è più il 2011, come aveva lasciato intendere la Casa Bianca al momento del surge che ha triplicato il numero delle truppe americane. Ora Obama ha il problema di ritardare, se non di evitare, la pericolosa smobilitazione di quasi tutti i paesi alleati (Gran Bretagna e Italia escluse). Il summit dell'Alleanza atlantica di Lisbona sancirà l'impegno a restare a Kabul fino al 2014, ma tra gli uomini Nato in Afghanistan c'è chi spiega che la data «non è garantita». La transizione potrebbe continuare ancora «nel 2015, oppure oltre». Obama, inoltre, ha esteso la guerra al Pakistan, sul cui confine negli ultimi 10 giorni i droni Cia hanno lanciato cinque missili che hanno ucciso 44 talebani.
L'agenda di politica estera non è tra le più semplici per un presidente che cerca un successo internazionale per compensare la sconfitta di metà mandato e dedicarsi interamente all'economia per recuperare consenso interno. Obama pensava di riuscirci con il viaggio in Asia, iniziato il giorno successivo alle elezioni di metà mandato. Ma quella visita, con l'eccezione del consolidamento dei rapporti con l'India, è stata un semi-fallimento per il rifiuto del G-20 di accogliere la sua proposta di premere sulla Cina perché rivaluti lo yuan, per il rimbrotto alla politica monetaria volatile della Federal Reserve e per il mancato accordo di libero scambio con la Corea del Sud.
Il paradosso è che la buona notizia arriva dall'Iraq, paese che Obama preferisce non citare per non alimentare il disagio della sua base. A Baghdad si è risolto l'impasse politico a otto mesi dalle elezioni, e Nouri al Maliki continuerà a occupare la poltrona di primo ministro. Ma le incertezze sono ancora molte.
Guantanamo è un altro tema che Obama non vorrebbe mai ricordare, avendo promesso di chiudere il super-carcere in campagna elettorale e avendo poi firmato il decreto di chiusura due giorni dopo l'insediamento alla Casa Bianca. Guantanamo però è ancora aperto. Alcuni dei detenuti ci resteranno a tempo indeterminato, senza processo e senza diritti. Il tentativo di giudicare alcuni terroristi in corti penali ordinarie, invece che nelle commissioni militari ideate da Bush e approvate dal Congresso, si è rivelato un boomerang politico e giudiziario. L'idea di processare a pochi isolati da Ground Zero Khaled Sheik Mohammed, l'ideatore degli attacchi islamisti dell'11 settembre, per restaurare l'immagine americana nel mondo si è scontrata con la difficoltà di trattare i prigionieri di guerra come criminali comuni (anche Bill Clinton aveva fatto flop). Uno dei responsabili della strage all'ambasciata americana in Tanzania, Ahmed Ghailani, mercoledì è stato condannato da un tribunale ordinario per aver tentato di far saltare in aria un edificio federale americano (l'ambasciata), ma è stato assolto da altri 284 capi d'imputazione, compreso quello di aver aiutato il kamikaze di Bin Laden fornendogli il tritolo con cui ha ucciso 224 persone. Ghailani s'è comicamente difeso dicendo che credeva di aver comprato sapone per cavalli, non tritolo. Il giudice non ha ammesso prove e testimonianze raccolte in una prigione segreta della Cia, perché non ammissibili in una corte ordinaria. Prima o poi Obama sarà costretto a spiegare al mondo, cui aveva promesso altro, perché l'ideologo dell'11 settembre e molti talebani e qaedisti catturati sul campo non saranno processati né da tribunali ordinari né da corti militari (come voleva Bush) e per quale motivo marciranno in carcere fino alla fine delle ostilità. L'unica risposta possibile è che così succede nelle guerre.
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