Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/11/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Dopo duemila anni,al Qaida caccia i cristiani dal medio oriente? ". Dalla STAMPA, a pag. 19, l'articolo di Giacomo Galeazzi dal titolo " Rischiamo un secolo di martirio cristiano " , preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Dopo duemila anni,al Qaida caccia i cristiani dal medio oriente?"

Roma. Da ieri, secondo un comunicato diffuso su Internet da al Qaida in Iraq, “tutte le chiese e le organizzazioni cristiane e i loro capi sono un obiettivo legittimo dei mujaheddin”. A quattro giorni dall’attacco alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad – costato la vita ad almeno 58 persone, tra cui tre sacerdoti – i terroristi che si riuniscono sotto la bandiera dello Stato islamico dell’Iraq battono di nuovo sullo stesso pretesto per aggredire i cristiani in medio oriente. A essere sotto accusa è la chiesa copta egiziana, che avrebbe rinchiuso in un convento le mogli di due sacerdoti copti – Camilia Chehata e Wafa Constantine – come punizione per la loro conversione all’islam. La notizia della doppia apostasia è stata smentita da tutti, anche dai Fratelli musulmani, ma lo Stato islamico tira dritto: “E’ scaduto l’ultimatum che abbiamo lanciato per la liberazione delle due donne musulmane prigioniere. Non abbiamo avuto alcuna risposta e ora siete tutti coinvolti nella guerra all’islam, per cui state attenti alle anime dei vostri seguaci”. Un portavoce di al Qaida ha detto che l’attacco di domenica a Baghdad è servito ad “accendere la miccia della campagna contro i cristiani”. L’annuncio, purtroppo, è nei canoni dell’ordinario per i fedeli della chiesa irachena, che vent’anni fa erano quasi un milione e mezzo e nel 2003, all’inizio della guerra, erano stimati dall’Onu attorno alle 700 mila persone – il tre per cento della popolazione. Durante il conflitto, quasi 400 mila cristiani sono scappati dal paese, spesso verso la Siria, dove rappresentano il 15 per cento dei rifugiati. Nell’editoriale di ieri, il Monde parlava della “più grande emorragia degli ultimi decenni in medio oriente”, il cui traguardo è segnato: “L’esilio dei cristiani orientali”. Sarebbe la fine dei duemila anni di storia di una comunità cristiana che rivendica con orgoglio la sua discendenza diretta dagli apostoli (attraverso san Tommaso), rifiutando lo status di “terra di missione”. Secondo l’Onu, “molti cristiani sono il bersaglio di attacchi sistematici e non sono più sicuri qui”. Eden Naby e Jamsheed K. Choksy, dell’americano Foreign Policy, hanno scritto che “c’è la possibilità allarmante che, entro la fine del secolo, non ci sia più una presenza significativa di comunità cristiane in Iraq o in Iran. Le scuole cristiane, gli spazi delle loro comunità, i siti storici e le chiese sono in corso di espropriazione da parte del governo centrale e delle autorità provinciali, delle organizzazioni musulmane finanziate dal governo e dei gruppi islamici radicali. Chi si converte all’islam ottiene in cambio incentivi economici e personali”. Non scappare, per principio Quando sente queste analisi, monsignor Shlemon Warduni, vescovo cattolico di Baghdad e guida spirituale dei caldei, si infervora: “Invece di fare pubblicità a chi attacca la pace e la sicurezza inneggiando all’estinzione dei cristiani, dovrebbero aiutarci a riottenere i nostri diritti”, dice al Foglio monsignor Warduni, “dove sono la libertà e la democrazia per cui sono venuti a combattere?”. Monsignor Warduni è determinato a resistere – “questo è il nostro paese, qui siamo nati e qui vogliamo essere seppelliti”, dice con fermezza – ma sente di essere stato abbandonato da quelli che chiama genericamente “gli occupanti”: “Quelli che hanno occupato l’Iraq sono venuti e se ne sono andati senza avere alcuna cura della sicurezza del nostro paese, senza lasciarci una vera democrazia. Se vogliono aiutarci a ottenere quello per cui sono venuti devono fare di tutto per riportare la sicurezza nei luoghi cruciali, che poi sono la Palestina, l’Iraq e direi anche il Libano”. La democrazia potrebbe fare un passo avanti il prossimo lunedì, quando il fragile Parlamento iracheno eleggerà il proprio presidente. Un voto che, a otto mesi dalle elezioni del 7 marzo scorso, potrebbe preparare la strada alla creazione di una coalizione di governo, ancora in bilico tra il vincitore ufficiale, Iyyad Allawi, e il premier uscente, Nouri al Maliki – con lo zampino rumoroso del leader radicale Moqtada al Sadr e del regime di Teheran. Le speranze avare della politica irachena, però, non fanno molta presa su monsignor Warduni, che osserva: “Io non sono preoccupato, l’Iraq è un paese molto proficuo e pieno di possibilità, se ci sarà garantita un po’ più di sicurezza sociale la chiesa tornerà a fiorire. Noi cercheremo di garantire un minimo di sorveglianza almeno attorno alle chiese principali. Per il resto, io tra mezz’ora celebro la messa, come tutti i giorni. Chiederò l’aiuto al Signore, che è molto meglio di quello degli uomini”. Da vescovo ausiliare di Baghdad, monsignor Warduni è al centro dell’offensiva martellante di al Qaida. Ma, assicura, “non è semplice dire con chiarezza perché i terroristi ce l’abbiano con noi. Di sicuro i cristiani non hanno fatto male a nessuno: le loro case sono aperte a tutti, le chiese sono pronte ad aiutare chiunque ne abbia bisogno. I fanatici religiosi, che sono aumentati durante la guerra, ci prendono di mira per diversi motivi. A volte ci collegano agli occidentali, come se non fossimo sempre stati qui. Ma, a dire la verità, a volte i terroristi di al Qaida ci attaccano semplicemente perché non vogliono vedere nessuno vivere in pace. Loro pensano che la nostra umiltà e il nostro amore siano una debolezza. E forse lo pensano anche certi governi occidentali, che non sono sempre stati molto svelti nel condannare gli attentati contro la comunità cristiana”. Gli oltre settecento fedeli che hanno affollato i funerali delle vittime dell’attacco di domenica hanno confortato monsignor Warduni, che è determinato a fare “come Gesù nel giardino degli ulivi: poteva fuggire ma non l’ha fatto. Noi non scappiamo, non per fanatismo ma per principio. Dobbiamo essere pronti anche alla Croce”. Chiedere ai cristiani di non lasciare l’Iraq, esortandoli a vivere con lo spettro quotidiano della morte violenta e del martirio, non è facile, osserva monsignor Warduni: “Certo, un uomo che fugge non è proprio quello che io chiamerei un coraggioso. Noi diciamo alla gente di non andarsene, di restare, ma la cosa è molto difficile. Quando noi diciamo ‘stiamo fermi qui e seguiamo Cristo’, spesso i fedeli ci rispondono ‘ma Cristo si può seguire anche altrove’. Ma noi rispondiamo: ‘Ci ha voluto qui, e quindi noi restiamo qui’”. Monsignor Warduni sa di rappresentare quello che resta dell’esigua minoranza non islamica dell’Iraq, ma non teme per il futuro della sua chiesa: “I terroristi qualche volta se lo dimenticano, ma noi siamo qui da prima di loro, come fiori nel giardino dell’Iraq”.
La STAMPA - Giacomo Galeazzi : " Rischiamo un secolo di martirio cristiano "

Benedetto XVI
I cristiani vengono massacrati nei Paesi islamici. Il Vaticano sta iniziando a prenderne coscienza. Peccato che da Sinodo siano arrivate accuse quasi solo a Israele, l'unica democrazia del Medio Oriente, l'unico Stato che garantisce ai propri cittadini la libertà di culto. I pochi padri sinodali che hanno denunciato la violenza del fondamentalismo islamico sono stati messi a tacere. Dall'articolo di Galeazzi, però, si nota che il Vaticano, pur riconoscendo che per i cristiani l'islam è una minaccia, cerca di trovare delle giustificazioni non necessariamente connesse alla violenza del fondamentalismo islamico. Il teologo Gianni Gennari, per esempio, sostiene che uno dei fattori che spinge gli islamici a massacrare i cristiani sia anche il fraintendimento delle parole di Benedetto XVI per colpa dei media.
Un modo come un altro per nascondere la testa sotto la sabbia...
Ecco l'articolo:
Vangelo di sangue. Il XX secolo è stato il secolo con il maggior numero di martiri cristiani, il XXI rischia di essere quello della scristianizzazione di interi quadranti del pianeta. «C’è il pericolo che un mondo di convivenza sparisca - ammette Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio, “diplomazia laica” della Chiesa -. È sparito già, in parte, nei Balcani, ad Algeri e Casablanca, a Istanbul. Il Medio Oriente si impoverisce anche se migliaia di cristiani immigrati (filippini, indiani) possono diventare la salvezza per le antiche Chiese cristiane arabe». Non c’è alternativa all’arte del convivere e al dialogo («tanto più difficile quanto più necessario»), puntualizza Marazziti: «Scontiamo il decennio dell’11 settembre e della guerra, che ha reso più difficile la vita dei cristiani. E questa globalizzazione con grande crisi sociale e finanziaria. Ma non c’è alternativa». Demonizzare l’altro, alla fine, è «sempre un boomerang, anche perché il radicalismo islamista è un pericolo anche per l’Islam». Il dialogo fa più male ad Al Qaeda di ogni altra strategia.
La religione più colpita
«Il futuro dei cristiani è aleatorio, la loro fuga dai Paesi islamici è un dato irreversibile, anche se la Santa Sede non cesserà di impegnarsi affinché restino nelle loro terre - avverte il ministro vaticano dell’Immigrazione, Antonio Maria Vegliò -. Molti (soprattutto in Libano, Siria, Iraq, Iran, Egitto, Libia, Israele, Palestina) abbandonano la patria perché la guerra e la situazione sociale, economica e politica li spingono altrove, alla ricerca di un migliore destino». Il quadro è «inquietante». In Algeria il proselitismo è proibito, in Bielorussia i testi religiosi sono censurati, in Cina tra i 70 milioni di cristiani le Bibbie circolano clandestinamente, in Nord Corea è vietata qualunque forma di religione a eccezione dell’ideologia atea, in India la conversione è vietata per legge. «La convocazione in Vaticano del Sinodo speciale per il Medio Oriente esprime la preoccupazione del Pontefice per l’esodo e l’emigrazione forzata dei fedeli- spiega il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro degli Esteri della Santa Sede -. Il cristianesimo è nel mondo la religione che paga il più ampio prezzo della persecuzione». Ma «il sangue dei martiri, da 2000 anni, è seme di nuova fede e sarà ancora così», evidenzia il teologo Gianni Gennari che ricorda le parole di Giovanni XXIII all’inizio del Concilio: «È soltanto l’alba». Come allora «molti pensavano erroneamente che il futuro sarebbe stato corto e avverso», così oggi «l’intolleranza sembra prevalere, ma la speranza non deluderà».
Espansionismo islamico
L’espansionismo islamico, evidenzia Gennari, «è un fatto, dovuto anche all’emigrazione e alla povertà ingiusta in cui troppi interessi riducono grandi masse di popoli orientali». La fede in Gesù è contrastata da jihadisti asiatici e africani, comunisti atei, fanatici indù o nazionalisti buddisti: dalla Nigeria al Vietnam, dallo Yemen alla Cina, dall’Algeria all’Indonesia. «Servono libertà religiosa e dialogo per ovviare con la convivenza di famiglie di diverso credo religioso a quell’impoverimento del tessuto civile che alimenta violenze e conflitti», evidenzia il cardinale Silvestrini monitorando i cristiani martirizzati in Yemen, perseguitati in Sudan, cancellati in Afghanistan. «A San Bartolomeo all’Isola Tiberina, a Roma, c’è l’unico memoriale al mondo dei martiri contemporanei, cristiani di ogni confessione - sottolinea Marazziti -. Intanto in Iraq si guarda alla piana di Ninive come zona cuscinetto tra curdi e musulmani. C’è un radicalismo musulmano, indu, che innesca attacchi. In Medio Oriente i cristiani sono più attrezzati a vivere tra tradizione, antichi mondi orientali, e modernità». Non va meglio con il nazionalismo buddista». Nello stato himalayano del Bhutan i cristiani vengono incarcerati, torturati e, se non rinnegano la fede, espulsi.
Le distorsioni dei media
Puntualizza Marazziti: «Intanto in Occidente i cristiani non fanno fatica a stare nella modernità ma anche a tenere insieme i pezzi di società pluraliste, come a Londra. I cattolici, ritenuti “stranieri" e pericolosi, sono divenuti un ponte e un forte elemento di ricostruzione sociale. Un modello per la comunità islamica inglese». Inoltre, osserva Gennari, c’è un’ulteriore persecuzione: «È il pregiudizio costante e unidirezionale dei media. Spesso le parole del Papa e le intenzioni della Chiesa sono mutilate, fraintese, distorte». Nel «famoso discorso di Ratisbona», rimarca Gennari, «il Papa aveva citato una opinione su Maometto e sull’Islam dell’imperatore del tempo, con l’accusa di violenza intrinseca e aveva detto subito di non essere d’accordo, eppure i mass media hanno innescato una polemica mondiale che ha provocato anche vittime».
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