Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/11/2010, a pag. 44, l'articolo di Guido Ceronetti dal titolo " Angela e la fine del multiculturalismo, parole chiare".


Guido Ceronetti, Angela Merkel
Ritengo che la sola riflessione degna di essere pensata sia quella su temi e problemi insolubili. Angela Merkel, che ha da affrontare problemi nazionali ed europei da spalle di Atlante — se ne togliessimo l’entità Germania questa parte di Occidente sarebbe uno schiumare di anarchie e di vuoti di parole — ha rivelato una verità di scoramento non più reprimibile parlando a Potsdam, il 17 ottobre, al congresso giovanile della Cdu, della difficoltà di convivere serenamente dei residenti autoctoni di etnia tedesca e delle comunità immigrate arabo-turche irremovibilmente islamiche e minimamente germanofone. Testualmente ha dichiarato: «L’accostamento multiculturale e l’idea di vivere in pace fianco a fianco sono un fallimento, un completo fallimento».
Finalmente! Questo in Francia si chiama casser le morceau e in Italia sputare il rospo. Brava la cancelliera, che non ha sventolato utopie mendaci e che immagino anche lei, nella giungla urbana della Weltstadt, dipendente (come tutta la parte germanofona ateo-cristiana-neopagana) dal consumismo universale di ansiolitici e psicofarmaci. La potenza economica e culturale è in un’immensa ombra d’ospedale psichiatrico. Némesis è al lavoro sempre, con diligenza tedesca.
«Un completo fallimento». Due milioni e mezzo di turchi, braccia inevitabili, e almeno una decina di milioni di etnie diverse, islamiche e dell’Est. Quante cellule terroristiche possono rimanere, in finto sonno, nascoste là, nelle giungle urbane? Mohammed Atta era un integrato di Amburgo, se non sbaglio. La cancelliera sembra credere all’utilità, ancora, dell’integrazione, ma dovrebbe familiarizzarsi coi poteri irresistibili di sortilegio e di intorpidiment0 della volontà delle rime e della cantilena coranica irradiate dalle voci arabe di grandi esecutori.
Quella musica, con le sue vocali allungatissime, ha effetto antistress e antidepressivo che può riportare, in un credente rimasto senza lavoro, o rinchiuso in carcere, o abitante in un ghetto urbano di correligionari, un sentimento religioso sopito a una incandescenza sfidante qualsiasi rischio. Anche la lingua tedesca ha il potere di stregare la mente mediante il suono (è accaduto) ma è la varietà del pensiero che si esprime nel mezzo vocale a mantenere vivo il pensiero critico. (In questo senso lo stile di Heidegger è un po’ Corano).
Completo, associato a fallimento, non permette all’utopia ideologica di svolacchiare ancora.
In questa confessione pubblica mi piace l’assenza di tracotanza, come di autocommiserazione. Ma confessa la resa della statista di fronte all’insolubile. Annuncia ai giovani, significativamente, la trasmissione di una eredità bollente. Si rende conto che l’Islam è «parte della Germania» (dell’Europa non pare interessarsi) e che di fronte al fenomeno il mondo germanico rischia la crisi identitaria, un inizio di dissolvimento. Governa un colosso coi piedi profumati ma che non ubbidiscono al timone della razionalità che riteniamo normale. L’amico e il nemico della famosa Teoria di Carl Schmitt restano impenetrabili ombre.
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