Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/11/2010, a pag. 18, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Pacchi bomba, la soffiata del pentito ".

WASHINGTON — Un pentito avrebbe avvertito gli 007 sauditi dell’imminente complotto permettendo così di fermare l’attacco con i pacchi bomba.
Jabir Al Fayfi, 30 anni, viene catturato in Afghanistan dopo il 2001 e rimane nelle celle di Guantánamo fino al 2007. Gli americani lo consegnano ai servizi sauditi che lo inseriscono nel programma di riabilitazione. Al Fayfi diventa «buono». Ma per poco. Una volta libero torna nelle file di Al Qaeda: l’ennesimo voltafaccia che — secondo le autorità yemenite — nasconde una manovra dei servizi per infiltrare Al Qaeda. Il 4 settembre il militante (o agente doppio) si «ripente» e si arrende agli yemeniti che lo trasferiscono a Riad. A quel punto i sauditi ottengono le informazioni sui piani contro Francia e Usa.
Fin qui la storia ufficiale. Al c uni osservatori hanno espresso perplessità sottolineando come sia strano che i terroristi, una volta saputo che Al Fayfi si era consegnato (fatto emerso sulla stampa), non abbiano cambiato programma. Fonti investigative, peraltro, aggiungono che il pentito ha fornito indicazioni generali. Solo con un successivo lavoro gli 007 sauditi sono arrivati a scoprire i numeri elettronici che accompagnano i pacchi. La stampa ha poi ipotizzato un ruolo dello spionaggio britannico che avrebbe intercettato una comunicazione in codice: «Il regalo di nozze sta per essere consegnato». Una frase che combinata con gli altri dati ha aperto una finestra investigativa importante.
Dalla ricostruzione — dove sono ancora troppe le zone d’ombra — esce come un eroe il principe Nayef, responsabile dell’antiterrorismo saudita. È lui a gestire i pentiti, è ancora lui a guidare l’azione contro i qaedisti. Un’attività che mescola clemenza e repressione. Al punto che Nayef ha anche adottato due figli di un ricercato. Per i terroristi il principe è un uomo da abbattere e, infatti, ci hanno provato nell’agosto del 2009 con una delle micro-bombe dell’artificiere Ibrahim Al Asiri. Un attentato fallito che avrebbe dovuto indurre a stare in guardia contro i nuovi ordigni ma che è passato quasi inosservato.
Ora, invece, si cerca di correre ai ripari. In modo frenetico e casuale. Gli Usa hanno disposto verifiche severe su tutti i pacchi destinati verso il territorio americano. La Germania ha bloccato i voli passeggeri e cargo dallo Yemen. L’Italia ha rafforzato la vigilanza a Fiumicino. La Gran Bretagna ha deciso di proibire le cartucce per toner superiori ai 500 grammi nel bagaglio a mano. Un divieto giustificato dal fatto che gli ordigni partiti dallo Yemen erano contenuti proprio in cartucce per il toner. Ma è davvero raro vedere un passeggero che si imbarchi con un oggetto simile. E poi se stavolta hanno usato le cartucce domani cercheranno un altro «guscio» insospettabile. L’impressione è che si reagisca senza un’idea precisa. Resta poi da chiarire quale fosse l’obiettivo dei terroristi. Americani e inglesi — pur con distinguo — ritengono che fossero gli aerei. Ma su come i qaedisti avrebbero attivato le due cariche — 300 e 400 grammi di pentrite — è tutto da stabilire: un sms o una chiamata al cellulare collegato alla bomba quando i jet fossero arrivati a bassa quota? O un timer? La rete Abc, da parte sua, ha rivelato che l’Fbi, a metà settembre, ha intercettato un pacco contenente oggetti innocenti diretto a Chicago: probabilmente si trattava di una prova dei terroristi.
Sul piano militare, il Wall Street Journal ha rivelato che ci sono pressioni affinché la Cia assuma il controllo diretto delle unità speciali Usa incaricate di dare la caccia ai militanti nello Yemen. La Casa Bianca sarebbe pronta a intensificare le operazioni clandestine con commandos e velivoli senza pilota. Un intervento che potrebbe scattare anche senza il consenso delle autorità yemenite.
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