Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/11/2010, a pag. 14, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Bagdad, assalto a chiesa cattolica. I kamikaze fanno strage di fedeli ", l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Al Qaeda è tornata letale e recluta di nuovo i sunniti ". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo " E adesso per i cristiani comincerà un altro esodo ", preceduto dal nostro commento.
Nell'immagine a destra: " Il fondamentalismo islamico non è una minaccia? Dillo ai cristiani in Libano, ai buddhisti in Thailandia, ai copti in Egitto, agli Indù in India, agli israeliani e agli iraqeni...vedrai che cosa ti rispondono.
Tu sei il prossimo. E' ora di fare qualcosa. ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Bagdad, assalto a chiesa cattolica. I kamikaze fanno strage di fedeli "

Una foto d'archivio della chiesa assaltata
Ucciso sull’altare, mentre celebrava la messa. E’ tra i primi a morire padre Taher Abdel Nasih, 35 anni, «uno dei padri più giovani, il futuro della Chiesa irachena», dicono alla nunziatura di Bagdad. Sembra che a lui i terroristi abbiano sparato quasi subito, appena entrati nella chiesa di Saydat al-Najat (Nostra Signora del Perpetuo Soccorso), la cattedrale siriaco-cattolica nel quartiere di Qarrada, nel cuore della capitale. Ma il massacro più gravel ’haco mpiut a l’esplosione del giubbetto che indossava uno dei kamikaze al momento del blitz compiuto dalle forze speciali americane assieme a quelle irachene. Quanti morti tra i cristiani raccolti per la funzione domenicale? I numeri sono ancora confusi. Il dato fornito dai militari Usa in serata è di 10 morti fra gli ostaggi, 7 tra le forze irachene e 7 dei kamikaze. Ma alla nunziatura danno un bilancio molto più drammatico. «Ci sono tra i 20 e 30 morti, tra loro forse due preti, un terzo, padre Rufhal Koteini, è ricoverato in condizioni gravi all’ospedale. I feriti sono una cinquantina. Ma ancora non sappiamo con precisione. Riceviamo di continuo chiamate di aiuto dalle famiglie della nostra comunità. E’ un massacro terribile, assurdo», dicono concitati.
Se così fosse, occorre tornare agli attacchi contro le chiese della capitale nell’estate del 2004 per trovare bilanci tanto gravi. Il dato certo è che la comunità cristiana irachena torna nel mirino dell’estremismo islamico. Un fatto destinato ad aumentare l’esodo. Erano oltre un milione una ventina d’anni fa. Ora sono dimezzati. Fuggiti da Bagdad, perseguitati nelle zone di rifugio attorno a Mosul, persino nei villaggetti dell’antica tradizione caldea sulle montagne al confine con le regioni curde. La grande maggioranza è ormai emigrata all’estero.
L’attacco di ieri è firmato «Stato Islamico dell’Iraq», l’organizzazione che raccoglie i gruppi legati ad Al Qaeda. Quanti siano a fare irruzione nella chiesa ieri pomeriggio attorno alle cinque e trenta ancora non è chiaro. Forse quattro, forse più di dieci. In un primo tempo s e mbra c he attacchino i l nuovo edificio tutto vetri azzurrati della borsa. Ma la dozzina di guardie risponde al fuoco.
I l palazzo ècomunque chiuso da mezzogiorno. Allora si scagliano contro la chiesa, posta a un centinaio di metri. Sparano in aria tra la gente terrorizzata, per lo più bambini, donne e anziani. Si mettono in comunicazione con la televisione locale «Bagdadia». In cambio della liberazione dei fedeli, circa 150, esigono il rilascio di alcuni militanti di Al Qaeda nelle prigioni irachene ed egiziane. «I terroristi sembra non siano iracheni, ma stranieri. Parlano arabo classico, nessun accento locale», osservano i media di Bagdad. L’assedio dura oltre tre ore. Infine, verso le nove, ecco il blitz delle teste di cuoio irachene, coadiuvato dai gruppi speciali americani.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Al Qaeda è tornata letale e recluta di nuovo i sunniti "

WASHINGTON — In primavera, il Pentagono e il governo iracheno si erano sbilanciati: Al Qaeda è quasi sbaragliata, abbiamo neutralizzato 34 dei 43 dirigenti chiave. Nel computo dei nemicieli minatic’era no a nche due «HVT», target di alto valore. Abu Omar Al Baghdadi e Abu Ayyub Al Ma sri ,idue leader del movimento, uccisi il 18 aprile 2010. La risposta non si è fatta attendere e i terroristi hanno lanciato una serie di attacchi. Dopo l’estate, gli americani sono stati costretti a rivedere le loro analisi ammettendo la loro sorpresa davanti alla rinascita del movimento. Lo «Stato islamico iracheno» — questa la sua denominazione — dato per morto è invece vivo quanto letale. Lo dicono — per quel che valgono — alcuni dati. Nel periodo ottobre-dicembre 2009 c’era una media mensile di 15 tentativi di attentati di grandi dimensioni. Tra aprile e giugno 2010 la media è salita a 23. A luglio siamo passati a 34. Una sequenza con la quale i qaedisti hanno messo in serio imbarazzo il governo.
Gli analisti hanno offerto diverse interpretazioni sul ritorno degli estremisti, pur riconoscendo che alcuni aspetti rimangono misteriosi. Per quanto indeboliti, i militanti hanno ricucito rapporti con i ribelli nazionalisti (quelli del Baath) e altre formazioni sunnite. Offrendo denaro — segnalano gli esperti — i qaedisti sono riusciti ad ottenere la collaborazione persino dei nemici storici, gli sciiti. Alcuni di loro — per puro interesse economico — hanno offerto consigli sulle bombe e informazioni poi usate negli attacchi. Non è escluso neppure un sostegno segreto da parte dell’apparato clandestino iraniano (Armata Qods). Per creare difficoltà agli Usa e al tempo stesso rendere debole l’Iraq in modo da poterlo condizionare.
I qaedisti, per incrementare le loro finanze, si sono dedicati alle rapine in grande stile. Assalti a banche, furgoni blindati, gioiellerie e negozi accompagnati da uccisioni indiscriminate.
Negliulti mi me si , poi , avrebbero riaccolto nelle loro file diversi miliziani sunniti che avevano accettato di lasciare l’insurrezione per collaborare con il governo.
Non pagati, non reinseriti nella società come promesso, vittime di discriminazioni, hanno preferito tornare tra gli insorti. I pentiti si sono «ripentiti».
Per il Pentagono l’organizzazione è composta da un nucleo centrale di 200-300 membri ai quali si aggiunge un numero non definito di simpatizzanti. Al vertice dello «Stato islamico» c’è Abu Bakr Al Quraishi, assistito dal «premier» Abu Abdullah Al Quraishi (nessuna parentela tra i due) e dal «ministro della guerra», Nasser Abu Suleiman. Un triumvirato che impartisce le linee guida.
Sotto si muove una realtà di cellule indipendenti, ognuna formata dai 6 ai 20 mujahedin e comandata da un «emiro». È lui a decidere le azioni, a stabilire alleanze locali, a promuovere iniziative. La struttura flessibile permette di resistere ai colpi subiti. Le autorità distruggono una cellula ma il resto di un network agile è intatto. Se cade un «emiro», un altro prende il suo posto.
Interessante anche il modus operandi. Le azioni kamikaze — spesso affidate alle donne — sono alternate con incursioni stile commandos contro i simboli del potere. In estate i qaedisti hanno sferrato una campagna di omicidi mirati. I primi obiettivi sono stati ufficiali o dirigenti, quindi i poveri vigili urbani: li hanno freddati a decine per alimentare il caos nelle strade. Molti colpiti da killer che impugnavano pistole con il silenziatore.
Per gli analisti, i seguaci di Al Qaeda, a causa della mancanza di esplosivi, hanno ridotto le cariche sulle autobomba. Dai 300 chilogrammi sono scesi ai 70, spesso formati da fertilizzante e altri ingredienti di natura civile. Sufficienti però a continuare la guerra contro tutti. A cominciare dai cristiani.
La REPUBBLICA - Renzo Guolo : " E adesso per i cristiani comincerà un altro esodo "

Guolo conclude con queste parole il suo articolo: "Un senso di mancanza di protezione simboleggiato anche dalla recente condanna a morte di Tariq Aziz, un tempo l´esponente più forte della comunità cristiana al servizio di Saddam. I vescovi hanno criticato la sentenza,(...)Baath, nel quale militavano anche molti cristiani, nella vita nazionale. Intanto, come nella chiesa di Saiydat al Najat, i figli della Croce in Iraq continuano a morire ". La condanna a morte di Tareq Aziz non ha nulla a che vedere col massacro sistematico dei cristiani in Iraq.
La minoranza cristiana è vittima da tempo delle persecuzioni degli islamici. Non è la decisione di condannare a morte Tareq Aziz ad aver provocato questa situazione, ma l'intolleranza e la violenza islamiche.
Sarebbe interessante ascoltare un commento della Chiesa, al riguardo. Ma forse ritiene che le 'analisi' prodotte da Sinodo siano sufficienti. Solo qualche accenno al massacro di cristiani in Iraq e negli altri Paesi musulmani. Meglio, come sempre, nascondere la testa sotto la sabbia, attaccare Israele per colpe che non ha e non preoccuparsi delle vittime del fondamentalismo islamico.
Ecco l'articolo:
Ancora vittime cristiane in Iraq, a conferma della difficile situazione denunciata dal Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente. Questa volta è toccato alla comunità caldea di Bagdad, i cui fedeli sono stati presi in ostaggio mentre prendevano parte alla messa nella chiesa di "Saiydat al Najat", frequentata, quand´era un uomo libero, anche da Tareq Aziz.
L´attacco, che aveva anche altri obiettivi, è stato rivendicato dallo "Stato islamico in Iraq", organizzazione che raccoglie quel che resta di "Al Qaeda nel Paese dei Due Fiumi", gruppo indebolito nel tempo, oltre che dalla morte del suo leader Zarkawi, dal voltafaccia delle tribù sunnite, arruolate dal generale Petraeus dopo la suicida stagione dell´epurazione totale dell´era Bremer, che ha fatto mancare ai quaedisti un decisivo apporto militare e logistico. Costringendo una parte degli jihadisti a dirigersi verso altri fronti, Afghanistan e Yemen in primo luogo. Rivendicazione che non sorprende. I cristiani in Iraq sono visti dai qaedisti, ma non solo, come una sorta di "quinta colonna dell´Occidente" e ritenuti dei kafir, degli infedeli.
Il nuovo attacco contribuirà a incrementare un esodo che sta incrinando la loro lunga presenza in Mesopotamia. Caldei, copti, melchiti, greco-ortodossi, maroniti, cattolici-romani, che secondo un censimento del 1987 erano circa un milione e mezzo in un paese popolato da più di venti milioni di musulmani sciiti e sunniti. Numeri oggi decisamente ridimensionati. Nel giro di pochi anni, quelli segnati dalla guerra iniziata nel 2003, i soli cattolici sono diminuiti di circa centomila unità.
Le situazioni più difficili sono quelle delle aree miste. Oltre Bagdad, il problema è il Nord, in particolare nelle aree contese di Morule Kirkuk dove sunniti e turcomanni non intendono rinunciare al controllo delle ricche province petrolifere in cui vivono da tempo, reclamato però dai curdi, in passato costretti a abbandonare la zona da Saddam Hussein. Alla fine del 2008 attacchi a Mosul che hanno provocato quaranta vittime, hanno indotto dodicimila cristiani a abbandonare la provincia. Otto nuove vittime si sono aggiunte all´inizio dell´anno.
Sempre a Mosul i caldei sono stati obiettivo di una cruenta campagna del terrore nel 2004 e nel 2006, frutto di una duplice pressione, simile a quella che si vede in atto anche in questi mesi. Da un lato la spinta dei qaedisti, locali e non, intenzionati a provocare la partenza dei cristiani dal paese; dall´altro l´indifferenza delle altre comunità verso una presenza che complica la strategia dei diversi gruppi etnoconfessionale, che tendono a controllare e omogeneizzare, anche religiosamente, fette di territorio in previsione di quanto accadrà dopo il ritiro degli Stati Uniti.
Quotidianamente i cristiani, ritenuti generalmente dei benestanti, sono vittime di sequestri a scopo di estorsione. Il tutto nell´indifferenza delle forze armate o di polizia irachene. Il problema dei cristiani in Iraq è, infatti, la mancanza di una forza, esterna o interna, che li protegga. Una condizione che li espone a conseguenze e timori di ogni tipo. In alcune zone le donne cattoliche, nonostante non sia previsto dalla sharia, sono costrette a indossare il velo dagli islamisti radicali.
Un senso di mancanza di protezione simboleggiato anche dalla recente condanna a morte di Tariq Aziz, un tempo l´esponente più forte della comunità cristiana al servizio di Saddam. I vescovi hanno criticato la sentenza, letta come un tentativo da parte sciita di opporsi al reintegro dei membri del partito Baath, nel quale militavano anche molti cristiani, nella vita nazionale. Intanto, come nella chiesa di Saiydat al Najat, i figli della Croce in Iraq continuano a morire.
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