Tutti i media italiani insorgono uniti contro la condanna a morte di Tarek Aziz, nessuno escluso. Sinistra, destra, centro, è un coro che invoca clemenza, arrivando addirittura (Formigoni) a negare i crimini commessi dal sanguinario braccio destro di Saddam Hussein. Desta impressione questo coro di imploranti, se lo si paragona alla assoluzione, seguita dall'indifferenza, verso un altro criminale, tuttora attivissimo come boia, che opera a Teheran, Mahmud Ahmadinejad. Con lui, e la sua banda, tutto in regola, qualche appello ogni tanto, o poco più.
L'unico articolo, ripetiamo l'unico, oggi è quello di Carlo Panella su LIBERO, che peraltro è in prima fila nella difesa del "cristiano" Aziz, schierando firme su firme da sembrare l'Osservatore Romano. Il pezzo di Panella, intitolato " Si presenta al mondo come il volto pulito del regime, ma Tareq ha le sue colpe", è a pag. 19.
Riprendiamo anche dalla STAMPA di oggi, 27/10/2010, a pag.9, l'intervista di Maurizio Molinari a pag.9, dal titolo " Ma non aveva il potere di far cambiare idea al Raiss" con Jerrold Post, psichiatra alla Cia, un'opinione curiosa, che non assolve Tareq Aziz dai suoi crimini, e sottolinea quanto la fede cristiana non abbia mai giocato alcun ruolo sui suoi comportamenti.
Ecco i due articoli:
Libero-Carlo Panella: "Si presenta al mondo come il volto pulito del regime, ma Tareq ha le sue colpe"



dall'alto, a sin. Saddam Hussein,Tareq Aziz,Roberto Formigoni,Carlo Panella
La condanna a morte di Tareq Aziz - pur da esecra re - non stupisce, per la semplice e ovvia ragione che, nonostante l’apparenza bonaria e la consumata abilità nel ot-tenere in occidente immeritata fiducia - si è reso responsabile di efferati delitti. Non c’è stato un crimine di cui si sia macchiato dai rais iracheno Saddam Hussein, non uno, di cui Tareq Aziz, suo braccio destro, non sia re- sponsabile diretto per una ragione molto semplice: sin dal 1977 è stato membro del Consiglio del Comando della Rivoluzione (Ccr), l’organo collegiale, presieduto da Sad- dam Hussein, che dirigeva sia il Baath, che lo Stato irache- no.
FRONTE DEL NO
Oggi è amplissimo il fronte di chi chiede che la sua condanna a morte venga commutata in una pena detentiva, ma unicamente perché la pena di morte va rifiutata, sempre e comunque, anche per i responsabili di crimini efferati. Ma è assolutamente sbagliato sostenere, come fa Roberto Formigoni, che il settantaquatrenne ex vice primo ministro ed ex ministro degli Esteri iracheno «non si è mai macchiato di nessun delitto». Purtroppo, invece, il cristiano caldeo Michael Yuhanna (cambiò il suo nome in Tareq Aziz per occultare la sua origine religiosa appena entrato nel vertice del Baath), si è reso corresponsa- bile di una infinità di sangue versato e non solo delle decine di migliaia di morti della rivolta sciita di Bassora dell’inverno del 1991. La persecuzione contro i partiti politici sciiti di cui Aziz è stato pienamente responsabile non si limitò alla messa fuori legge dello Sciri dell’ayatollah Bagher al Hakim e del Dawa, in cui militava l’attuale premier iracheno Nuri al Maliki, i cui membri furono costretti all’esilio, imprigionati, torturati e spesso uccisi, con o senza processo. Nel 1980 la ferocia di Saddam Hussein e di Tareq Aziz arrivò sino alla decisione di impiccare, dopo averlo torturato, l’ayatollah Bagher al Sadr, leader degli sciiti iraniani, e di sua sorella Amina Sadr, e anche di ordinare l’esecuzio ne da parte di killer del Grande Ayatollah Sadigh al Sadr (padre di Moqtada al Sadr) che fu trucidato nel 1999 nella città santa di Najaf.
OMICIDIO DI STATO
Un “omicidio di Stato” che eliminò la massima autorità religiosa degli sciiti, che aveva un immenso seguito di mas- sa anche a Baghdad (in suo onore, da allora, i quartieri sciiti di Baghdad si chiamano “Sadr city”). Per questo, con- dannato nel 2009 a “soli” 15 anni per “delitti contro l’umanità” e a “soli” 7 anni per aver ordinato la deportazione dei curdi, Tareq Aziz è stato ieri condannato a morte. Perché la persecuzione politica degli sciiti è stata componente essenziale del regime baathista, dal “golpe interno” del 1979 (in cui Aziz fu responsabile con Saddam di centinaia di esecuzioni di dirigenti del Baath), sino alla caduta del regime nel 2003. Persecuzione attraverso migliaia di arresti e decine di condanne a morte, persecuzione delle manifestazioni di rivolta, come quella del 1991 (migliaia sono stati i corpi ritrovati dopo il 2003 nelle fosse comuni del Sud Iraq) e anche omicidi mirati di ayatollah.
RESPONSABILITÀ
Nel chiedere - come va chiesto - che questa pena di morte venga commutata, è bene quindi che la comunità internazionale e anche la Chiesa (il suo avvocato ha chiesto che intervenga il Vaticano, i fraticelli di Assisi si sono già mobilitati), non mettano in discussione le terribili e indubitabili responsabilità personali (e non solo “di regime”) di Tareq Aziz nell’arco di quasi tre decenni. La persecuzione degli sciiti di cui fu regista ha inferto ferite profonde e non ancora rimarginate nell’Iraq di oggi, ferite che è bene che l’Occi dente non ignori.
La Stampa-Maurizio Molinari: " Ma non aveva il potere di far cambiare idea al Raiss"


Tareq Aziz, Maurizio Molinari
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Tareq Aziz si presentava al mondo come un leader abile e sofisticato al punto da essere capace di influenzare le decisioni di Saddam Hussein, ma in realtà non riuscì mai a farlo»: chi parla è Jerrold Post, lo psichiatra della George Washington University a cui la Cia affidò in più occasioni il compito di analizzare la mente del Raiss di Baghdad, spingendolo così ad approfondire i legami con i suoi più stretti collaboratori.
Che idea si è fatto di Tareq Aziz dopo averlo tanto studiato?
«E’ un personaggio che ha legato la propria immagine alla credibilità che aveva nel mondo, era basata sul fatto che poteva essere in grado di influenzare l’opinione di Saddam Hussein, spingendolo a compiere determinate scelte».
Era vero?
«Ai tempi dell’inizio della prima guerra del Golfo, quando Saddam aveva occupato il Kuwait e George Bush padre minacciava l’intervento se non si fosse ritirato, il Segretario di Stato James Baker incontrò Aziz perché in molti a Washington pensavano davvero che era il canale più affidabile per tentare di ottenere qualcosa da Saddam. Ma non funzionò».
Che cosa fu che andò storto?
«Tariq Aziz non fu capace di convincere Saddam, o più semplicemente, non volle farlo. Vi furono altri episodi simili, negli anni seguenti. Saddam usava Aziz per mandare segnali al mondo, giocando sul suo profilo di leader pacato e ragionevole, ma in realtà quando Aziz tornava a Baghdad con i messaggi raccolti nelle cancellerie straniere Saddam non gli dava alcun ascolto».
Che tipo di rapporto c’era fra Saddam Hussein e Tariq Aziz?
«Sulla base di quanto avvenuto è difficile credere alla tesi dell’indipendenza di Aziz da Saddam. Io sinceramente ne ho sempre dubitato, per il semplice fatto che Saddam non ascoltava mai nessuno. Seguiva solo la sua mente. Aziz era uno dei consiglieri più stretti, con lui parlava e discuteva. Ma nulla di più. Non siamo a conoscenza di un singolo episodio che vide Aziz riuscire a spingere Saddam a cambiare direzione di marcia dal confronto aperto con la comunità internazionale. Nel migliore dei casi si può affermare che la capacità di Aziz di influenzare Saddam era molto limitata, ad aspetti formali, secondari, e non certo di sostanza».
La giustizia irachena lo ha condannato a morte imputandogli complicità nei crimini contro la minoranza sciita. Cosa pensa di questa sentenza?
«Non conosco i dettagli di tali imputazioni ma alla base sembra esservi la convinzione che Aziz condivideva le decisioni più importanti adottate da Saddam, e credo che questo nel complesso sia vero».
Quanto ha pesato in Aziz il fatto di essere un cristiano?
«Faceva certo parte della sua identità ma Aziz era soprattutto un nazionalista arabo. L’essere cristiano gli consentiva di avere una carta in più nelle sue missioni all’estero, soprattutto, in Europa ma non condizionava il legame con il Raiss. Bisogna tener presente che per Saddam la religione contava poco. Per gran parte della sua vita Saddam Hussein è stato molto laico, badava poco alle fede degli individui mentre ciò che gli interessava molto era la loro fedeltà assoluta nei suoi confronti. L’ostilità agli sciiti non era fondata sulla rivalità religiosa con i sunniti, a cui apparteneva, ma sulla sua convinzione che fossero dei traditori, costantemente impegnati a tentare di rovesciarlo. Tareq Aziz era cristiano ma ciò che contava per Saddam era il fatto di essere un suo fedelissimo. La svolta religiosa compiuta da Saddam quando iniziò a parlare di "Madre di tutte le battaglie" e aggiunse la scritta "Allah è Grande" sulla bandiera nazionale irachena non deve confondere sul vero dna dell’uomo, che era laico».
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