Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Perchè nessuno parla più di Sakineh e dell'arresto di suo figlio ? commento di Bernard-Henri Lévy
Testata: Corriere della Sera Data: 26 ottobre 2010 Pagina: 46 Autore: Bernard-Henri Lévy Titolo: «Il silenzio dei governi e dei cittadini dopo l’arresto del figlio di Sakineh»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/10/2010, a pag. 46, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo "Il silenzio dei governi e dei cittadini dopo l’arresto del figlio di Sakineh".
Bernard-Henri Lévy
Sajjad, il figlio di Sakineh Mohammadi Ashtiani, è stato arrestato più di dieci giorni fa nello studio del proprio avvocato, Houtan Kian — arrestato anche lui —, e nessuno o quasi ne parla. Il giovane controllore sugli autobus di Tabriz, che difendeva coraggiosamente la madre, perorava instancabilmente la sua causa presso l’opinione pubblica mondiale e che, il giorno dell’arresto, stava dando a un giornale tedesco quella che forse resterà la sua ultima intervista, è stato con brutalità ridotto al silenzio: e tutti, o quasi, sembrano non curarsene. Uno Stato, guidato da fanatici e che un domani rischia d’essere dotato dell’arma atomica, si comporta come una gang, come una mafia, realizzando sul proprio territorio, e senza scrupolo alcuno, un rapimento, un sequestro di persona e forse, un giorno, già che ci siamo, un’esecuzione extragiudiziale: e tutti, o quasi, fingono di trovare la cosa normale. Certo, nessuno sa come reagire di fronte a un atto che calpesta ogni principio del diritto, va al di là di ogni semplice comprensione e lascia sbalorditi. Ma almeno ci piacerebbe sentire la reazione di coloro che — Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi in testa — hanno detto a proposito di Sakineh Mohammadi Ashtiani che era sotto la loro responsabilità. Almeno ci aspetteremmo una reazione diplomatica energica da un governo — quello tedesco — direttamente implicato in questa vicenda poiché è con due dei suoi cittadini, giornalisti di Bild, che Sajjad stava parlando quando sono spuntati i miliziani. Quanto alle organizzazioni di difesa dei diritti dell’uomo che da mesi si sono mobilitate per Sakineh, quanto alle associazioni femministe che non hanno risparmiato né il loro tempo né i loro sforzi per rendere popolare il suo volto e la sua causa, quanto alle centinaia di migliaia di persone che, nel mondo intero, hanno testimoniato, manifestato, firmato petizioni in suo favore, bisogna che trovino il mezzo di farsi sentire di nuovo e di dire l’orrore che ispira loro l’accanimento su questa famiglia e il suo martirio. Si può scrivere ai presidenti, ai presidenti del Consiglio e ai ministri degli Esteri dei nostri rispettivi Paesi (e anche ai commissari della diplomazia europea o al segretario generale delle Nazioni Unite) per scongiurarli di intervenire. Si possono inviare, come li invita a fare da Londra e da Berlino l’International Committee against stoning, lettere di protesta alle autorità giudiziarie iraniane (Head of the Judiciary, Howzeh Riyasat-e Qoveh Qaaiyeh, Pasteurt Sont, Vali Asr Ave, South of Serah-e Jomhouri, Teheran, 131 681 47 37, Iran). Si possono, si devono, trovare tutti i mezzi, anche i più umili, di rifiutare che la cappa del silenzio e dell’oblio si abbatta su una donna che, con l’arresto del figlio e del proprio avvocato, vede tagliato l’ultimo filo che la collegava al mondo e impediva che fosse assassinata, come tante altre, nell’indifferenza e nel silenzio. Una sola cosa sarebbe impensabile: restare inerti, e senza voce, di fronte a questa escalation insensata. Sarebbe sconfortante un mondo che si rassegnasse all’idea di una giustizia guidata da una forma appena attualizzata dell’antica colpevolezza collettiva: la colpevolezza filiale.
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