Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/10/2010, a pag. 54, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Se in Palestina arriva il riflusso, borse di studio meglio dell'Intifada ".

Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi conclude con queste parole il suo pezzo: " La chimera della «guerra santa» propagandata da Hamas si è esaurita da un pezzo. Ma non si vedono alternative all’orizzonte ".
Un'alternativa sarebbe quella di arrivare alla conclusione dei negoziati, la pace. Basterebbe uno sforzo minimo da parte dell'Anp, per esempio la fine dell'atteggiamento autodistruttivo e aggressivo che da sempre dimostra. Per quanto riguarda gli ultimi negoziati, per esempio, l'Anp ha richiesto a Israele di prolungare la moratoria sul congelamento degli insediamenti senza offrire niente in cambio se non il fatto di restare al tavolo dei negoziati. Ma che cos'ha fatto nei 10 mesi della moratoria? Nulla. Nessuno sforzo per dialogare con Israele.
Ecco l'articolo:
In italiano lo potremmo definire «riflusso», o meglio ancora «qualunquismo». Un fenomeno profondo e diffuso tra gli oltre tre milioni e mezzo di palestinesi in Cisgiordania e Gaza, che li vede sempre più concentrati sui loro interessi privati e meno coinvolti nella politica, sui temi sociali e nazionali. Se ai tempi dello scoppio della prima intifada, nel dicembre 1987, era facile trovare giovani pronti a sacrificare tutto, persino la prospettiva di una borsa di studio in Europa o negli Stati Uniti pur di restare a combattere contro l’occupazione israeliana, oggi avviene l’opposto.
Una recente inchiesta condotta dall’Università di Bir Zeit tra le nuove generazioni di Gaza ha rivelato la diffusa tendenza a sognare di poter emigrare all’estero e la critica radicale verso le classi dirigenti, senza particolari differenze che siano di Hamas o dell’Olp. Persino nei campi profughi più poveri ormai non è difficile trovare chi ti decanta con nostalgia «le vacche grasse» degli anni subito dopo la guerra del 1967, quando non esistevano muri, posti di blocco o fili spinati, e per qualsiasi palestinese era possibile salire in auto e viaggiare senza controlli verso Tel Aviv o Gerusalemme. E quando si potevano guadagnare anche 100 dollari al giorno nella quasi totale integrazione con l’economia israeliana. A Ramallah la nuova ricchezza cresciuta tra night club, ristoranti alla moda e lussuosi palazzi costruiti grazie ai fondi inviati dagli immigrati nella diaspora fa balenare un benessere che allontana dai sacrifici spartani della militanza politica.
I motivi del riflusso comunque sono tanti. Primo tra tutti la guerra civile strisciante tra Hamas e Olp, che dal 2007 ha distrutto miti, generato divisioni profonde, vanificato decenni di lotte. Seguono la debolezza del presidente Mahmud Abbas, percepito come un eterno numero due, che non è stato mai davvero in grado di rimpiazzare la memoria di Arafat. C’è infine l’eclissi di un progetto politico. La chimera della «guerra santa» propagandata da Hamas si è esaurita da un pezzo. Ma non si vedono alternative all’orizzonte.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante